La sera del 31 agosto l’Armenia ha bloccato i legami diplomatici con l’Ungheria in seguito all’estradizione di Ramil Safarov, ufficiale azero, condannato a morte per l’uccisione, avvenuta nel 2004 su suolo magiaro, di un militare armeno. Rispedito a Baku, Safarov è stato esonerato dalla condanna ed ha ricevuto il perdono ufficiale del presidente Ilham Aliyev. Dure le dichiarazioni del presidente armeno, mentre il popolo organizza le prime proteste e “bombarda” la pagina Facebook del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, di commenti al vetriolo, prontamente cancellati. Manca ancora una dichiarazione dall’esecutivo ungherese, su una decisione che destabilizza in modo netto le relazioni con un’area tesa come quella del Caucaso. Poco chiaro anche il futuro di Safarov, per ora riaccolto in patria alla stregua di un eroe di guerra, liberato dopo anni di prigionia.
Inequivocabile il commento di Obama, preoccupato dal perdono annunciato dal presidente azero, “Stiamo comunicando alle autorità dell’Azerbaijan il nostro disappunto circa la decisione di perdonare Safarov – scrive la Casa Bianca in un asciutto comunicato – questa azione è contraria agli sforzi in atto per ridurre le tensioni regionali e promuovere la riconciliazione”. Gli Stati Uniti stanno, inoltre, richiedendo una spiegazione all’Ungheria riguardo alla sua decisione di trasferire Safarov in Azerbaijan.
Il fatto
Il 13 aprile 2006, Ramil Safarov era stato condannato all’ergastolo dalla Corte di Budapest, dopo aver confessato l’assassinio del sottotenente venticinquenne armeno Gurgen Margaryan, occorso nel 2004, mentre entrambi si trovavano sul suolo ungherese per un corso di inglese organizzato dalla Nato nel quadro del programma “Partnership for Peace”.
Tra i due paesi confinanti scorre cattivo sangue, quindi l’Armenia non ha solo a cuore la giustizia contro l’uccisore di un suo cittadino per giunta parte del corpo militare, ma tiene anche a non cedere il passo all’Azerbaijan. C’è da considerare inoltre che in Azerbaijan sono in molti a considerare Safarov un eroe, proprio perché ha “freddato” un ufficiale armeno. Nella sua confessione al Tribunale di Budapest, Safarov raccontò di aver assassinato l’armeno Margaryan nel sonno, armato d’ascia. Le camerate dei due erano adiacenti e il gesto dell’azero sarebbe stato compiuto in risposta alle provocazioni dell’altro, che, insieme a un commilitone, lo avrebbe ridicolizzato con insistenza fino a poche ore prima. Subito dopo, Safarov si accanì sull’altro ufficiale armeno, ma fu fermato in tempo: i compagni di stanza degli ufficiali avevano avvertito i poliziotti ungheresi a sorveglianza dell’edificio. Secondo uno degli agenti, la vittima era stata aggredita con particolare crudeltà, riportava numerose ferite da arma da taglio sul petto e aveva la testa quasi del tutto staccata dal corpo.
Safarov confessò poi di aver perso del tutto il controllo, con la mente annebbiata dagli insulti subiti e da quelli sferrati contro la bandiera azera. Al centro della diatriba tra i tre ci sarebbe stata l’annosa questione, che mette l’una contro l’altra le due nazioni: quella del Nagorno-Karabakh. Gli episodi di violenza legati alla repubblica contesa al confine tra Azerbaijan e Armenia proseguono tuttora, a otto anni dalla fine della guerra della regione omonima (1992-1994).
La condizione
L’Ungheria ha ceduto alle ripetute richieste di rimpatrio da parte dell’Azerbaijan e autorizzato l’operazione, a patto che all’ex detenuto fosse imposto di continuare la sua condanna a vita anche in Azerbaijan, attenendosi a quanto stabilito dal tribunale di Budapest. Il ministero di giustizia locale non ha rispettato i patti e ha fatto poi sapere che il rimpatrio e la presa in rivalutazione della condanna del militare sono in linea con quanto stabilito dalla convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento dei condannati, firmata sia dall’Ungheria che dall’Azerbaijan. In base al documento, la persona condannata in un paese del patto dell’83 può chiedere il trasferimento verso un altro stato membro della stessa convenzione, dove la sentenza sarà applicata o convertita dall’amministrazione locale. Atterrato a Baku, il 35enne è stato accolto da autorità, giornalisti e familiari. La stampa azera del 1 settembre mostra le foto del suo ingresso nella casa del padre, dove è stato scortato da funzionari del governo e ha ricevuto di nuovo il perdono presidenziale, di fronte alla famiglia riunita. Da parte sua, Safarov ha ringraziato il governo del suo paese, il suo popolo e l’ambasciata azera a Budapest, ma soprattutto il presidente Aliyev per la sua umanità e per aver firmato la fine della reclusione. Il crimine commesso da Safarov nel 2004 è punibile con l’ergastolo anche in Azerbaijan e occorrerà attendere i prossimi giorni per sapere cosa sarà deciso dalla giustizia locale.
La reazione armena
L’Armenia non l’ha presa bene. L’agenzia di stampa Armenpress riporta la lettera del capo dello stato armeno, Serž Sargsyan, agli ambasciatori di Ungheria e Azerbaijan, incaricati di presentarla ai governi e ai capi dello stato dei paesi in questione : “Tutto questo è avvenuto perché il governo dell’Ungheria, uno stato membro dell’Unione Europea e della Nato, ha stretto un accordo con le autorità dell’Azerbaijan. […] Fin da subito dopo l’omicidio, siamo stati continuamente redarguiti dalle autorità ungheresi, così come dai nostri partner paesi membri Ue e Nato, ad astenerci dal politicizzare il processo. Ci hanno ripetuto di fidarci della giustizia dell’Ungheria, paese membro di quelle importanti alleanze“. Il capo dello stato armeno ha spiegato di esser stato rassicurato più volte sull’esclusione di un rientro in patria del reo, anche fino a pochi giorni fa, dal ministero degli Esteri e del Parlamento ungheresi.
“Non ho niente da dire sull’Azerbaijan, proprio niente. Il Paese parla di sé stesso con le azioni che intraprende e non sono io a doverle spiegare” ha aggiunto Sargsyan, secondo il quale Ungheria e Azerbaijan avrebbero “aperto le porte al ricorrere di crimini simili” e “trasmesso un messaggio chiaro a tutti i “macellai” che sono messi al corrente dell’impunità di cui possono godere a fronte di massacri guidati da conflitti etnici o religiosi“. A questo punto il presidente alza il tono attraverso l’uso dei caratteri maiuscoli: “NON POSSO TOLLERARLO. LA REPUBBLICA DI ARMENIA NON PUÒ TOLLERARLO. LA NAZIONE ARMENA NON PERDONERÀ MAI L’ACCADUTO […] Chiunque lo tolleri, un domani sarà responsabile della storia“. Sargsyan ha infine precisato che, riguardo all’incidente, l’Armenia si aspetta una risposta precisa e non ambigua da tutti i suoi partner e che il loro atteggiamento nei confronti della sicurezza della nazione armena sarà valutato in base a tali dichiarazioni.
Silenzio, per il momento, dalle autorità ungheresi.
Proteste contro sedi diplomatiche ungheresi in Armenia e negli Usa
Da Yerevan, capitale armena, arriva notizia di un lancio di pomodori al palazzo che ospita il consolato onorario d’Ungheria, dove gli autori della protesta, scrive hvg.hu, avrebbero anche tirato giù la bandiera magiara. Oltreoceano, intanto, con metodi meno coloriti alcuni armeni hanno protestato di fronte all’Ambasciata di Ungheria a Washington.
Fonti: hvg.hu, today.az, armenpress.am, yerkirmedia.am