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ROMANIA: Basescu lascia i poteri, per ora. Un successo della piazza

In Romania c’è un presidente, Traian Basescu, uomo dal piglio padronale e autoritario, simbolo di corruzione e malgoverno. Sindaco di Bucarest dal 2000, Basescu è presidente della Repubblica dal 2004 succedendo a Ion Iliescu – l’uomo che represse nel sangue le rivolte democratiche del 1989 diventando così presidente della “nuova” Romania post-comunista – e del suo predecessore ha mantenuto la vocazione al potere assoluto. Già nel 2007 il parlamento votò un’atto d’accusa (impeachment) verso Basescu che dovette dimettersi ma un referendum popolare lo riportò in carica. In questi giorni sembra si stia ripetendo il copione del 2007: l’attuale maggioranza di centro-sinistra del premier Victor Ponta, di sospendere il presidente della Repubblica, il conservatore Traian Băsescu, e di convocare un referendum popolare il prossimo 29 luglio per decretarne il possibile impeachment. Starà ai romeni decidere se tenersi Basescu o liberarsene. Il referendum per essere valido dovrà essere votato dala metà più uno degli elettori. Basescu ha intanto trasmesso i suoi poteri a Crin Antonescu, che eserciterà ad interim le funzioni di presidente fino al referendum popolare del 29 luglio. Sarà dunque Antonescu, nel caso, a succedergli. Rispetto al 2007, però, sembra tirare un’altra aria.

L’aria è quella delle proteste popolari dei cosidetti “indignati romeni” che da dicembre 2011 animano (non solo) piazza delle Università a Bucarest, luogo simbolo della rivolta contro il regime di Ceausescu nel 1989.

Un Paese in perenne transizione

Qui occorre fare un passo indietro. La Romania è un Paese complicato, in perenne transizione tra il passato regime socialista e il nuovo regime democratico. Una democrazia incompiuta, gestita dagli stessi uomini del vecchio regime e dai loro figliocci. Dopo l’omicidio di Ceausescu a prendere il potere furono infatti – dopo averlo giustiziato – gli eredi del suo stesso regime. Iliescu era una seconda linea del partito comunista, benché sufficientemente lontano da Ceausescu per potergli succedere. Dopo Iliescu venne Basescu: pur distante dal primo per cultura politica, Basescu ne ereditò una prassi di potere autoritaria: il controllo di Basescu sul parlamento, sulla politica, sull’economia è sempre stato maggiore rispetto ai poteri che la sua carica di presidente gli conferisce. Nel dicembre 2011 una nuova generazione di giovani romeni trova la forza di dire basta a Basescu e alla sua gestione personalistica del potere: complice la crisi economica, alla protesta si unirono pensionati, donne, docenti, impiegati pubblici, ricercatori, operai.

I successi degli “indignati” romeni

La stampa locale li ribattezzò “indignati” sulla scorta dei fatti di Madrid. Chiedevano dignità, lavoro, equità. Avevano cartelli con una scritta sola: “jos Basescu, jos dictatura” (via Basescu, basta ditattura). La polizia, su ordine ministeriale, tentò dapprima di reprimere la rivolta. I media asserviti al governo (allora guidato da Emil Boc, uomo di Basescu) denigrarono i manifestanti chiamandoli “huligani”: la stessa accusa che Iliescu mosse agli studenti nel 1989, scatenandogli contro la repressione dei minatori. Non tirava una bella aria, insomma. Ma la polizia fraternizzò con i manifestanti e la “rivolta” trovò l’appoggio dei partiti di opposizione (che cercarono di cavalcarla a fini politici). Emil Boc si dimise nel febbraio 2012. Un primo successo.

Nuovo premier fu nominato Mihai Razvan Ungureanu, capo dei servizi segreti romeni. La reazione della stampa romena fu netta. L’opinione pubblica romena non si accontentò delle dimissioni di Boc. Anche il governo di Ungureanou cadde, sfiduciato dal Parlamento, nell’aprile 2012. Un secondo successo.

Il nuovo governo guidato da Victor Ponta, leader dell’opposizione social-democratica, ha oggi sfiduciato Basescu. Un terzo successo. O forse no? Secondo le cancellerie occidentali l’atto di accusa contro Basescu mette in pericolo quel poco di democrazia che resta in Romania.

Manovre di palazzo e diplomazie internazionali

Ridurre tutto a una vittoria delle piazze sarebbe sbagliato: in corso c’è una lotta tra poteri dello Stato e, forse, una guerra di successione. Oggetto dello scontro è anzitutto la Corte Costituzionale, che secondo l’attuale primo ministro Victor Ponta è sempre stata “influenzata dal presidente”. Il governo ha adottato un provvedimento d’urgenza con il quale sono state ridotte le prerogative della Corte costituzionale, che non potrà più pronunciarsi sulle decisioni del Parlamento. Una decisione che preoccupa Bruxelles per “la riduzione dell’indipendenza delle istituzioni che mettono a rischio lo Stato di diritto”. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha definito “inaccettabile” la decisione del governo romeno di mettere sotto accusa il presidente Basescu il cui operato, sottolineano da Berlino, “rispetta anche le misure di austerità” imposte al Paese a seguito dei prestiti internazionali della “trojka”. Se il referendum del 29 luglio fosse negativo per Basescu, a succedergli sarebbe Crin Antonescu, rapidamente nominato capo del senato dopo la destituzione di Vasile Blaga, uomo del partito di Basescu. Alcuni vedono in questo una manovra di palazzo.

Damiano Benzoni, corrispondente per East Journal da Bucarest, scrive: “Da quando Victor Ponta è stato nominato primo ministro ha continuato a demolire le istituzioni democratiche, esautorando di fatto la Corte Costituzionale e ottenendo con tempismo perfetto la sostituzione di Basescu con Antonescu. Ho idea che una piazza che non ha mai detto di supportare Ponta e Antonescu c’entri in definitiva poco”.

Una democrazia tra virgolette

Basescu, certo, non è una vittima sacrificale. La preoccupazione è che nel post-Basescu “tutto cambi affinché nulla cambi”. La rivolta degli indignati non può però dirsi compiuta. La “democrazia reale” (riprendendo lo slogan degli indignados spagnoli) in Romania è di là da venire. La disillusione e il cinismo potrebbero spegnere ardori. L’ottantanove romeno, ormai lontano, è sempre vicino nella memoria e ha lasciato un segno. Il segno di una “democrazia” tra virgolette.

Scriveva su queste colonne Clara Mitola, corrispondente da Bucarest nei giorni della rivolta degli indignati: “Qui la libertà, pare la facciano i soldi. E i soldi qui significano soprattutto ricatto sociale, mancanza di soldi. […] Flussi deviati, in modo evidente, indirizzati nelle tasche del singolo prima che nelle casse dello Stato, dove davvero necessari per far fronte a questioni come pensioni e stipendi indecenti e insufficienti a vivere, infrastrutture necessarie, e il randagismo animale e umano, tra gli altri, di anziani e bambini”.

Quello del 29 luglio sarà un passaggio cruciale, ma solo un passaggio. Liberarsi di Basescu sarà solo un primo passo verso un riscatto sociale e politico nazionale che tolga finalmente le virgolette alla democrazia romena.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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