Zhanaozen è da mesi al centro delle attenzioni del regime kazako. Nel dicembre 2011, dopo mesi di proteste, gli operai della città petrolifera di Zhanaozen, hanno scatenato una rivolta che a sua volta è stata seguita da una dura repressione poliziesca. La vicenda East Journal ha seguito nel suo svolgersi, è giunta alla sua conclusione con le sentenze emesse dal tribunale di Aktau, compentente per ragioni territoriali. Dei 37 imputati 34 sono stati giudicati colpevoli, e di questi 12 condannati a pene detentive comprese tra 3 e 6 anni; significativa eccezione Roza Tuletayeva condannata a 7 di reclusione per via del suo essere stato figura di primo piano nel corso della protesta sindacale che ha causato alla compagnia KazMunaiGaz mancati guadagni per circa 300 milioni di dollari.
Come prevedibile le reazioni dei familiari e dei diversi attivisti presenti sono state veementi, accusando i guidici di avere incancerato persone innocenti come capri espiatori dei disordini, costati la vita a 17 persone. Le stesse accuse alla magistratura sono venute anche da parte dei 6 ufficiali di polizia arrestati dopo i fatti di dicembre e successivamente condannati a pene tra 5 e 7 anni di reclusione. Tuttavia i poliziotti imprigionati si dicono capri espiatori ma senza coinvolgere i propri superiori.
Un’analisi della sentenza mostra come la magistratura (e dietro di essa il governo) abbiano tentato di mantenere una linea di equilibrio tra repressione e assoluzione; infatti se da un lato sono state condannate 34 persone dall’altro molte delle pene, comprese quelle detentive, sono state sospese. Va poi sottolineato come il processo sia stato usato per eliminare possibili oppositori al regime lanciando un chiaro messaggio: dei 37 imputati infatti solo 18 erano lavoratori in sciopero, mentre gli altri erano esponenti a vario titolo della società civile, sindacalisti o attivisti per i diritti civili.
Il governo kazako sembra lanciare un preciso avvertimento ai militanti dell’associazionismo, come dimostra anche l’arresto di numerose persone che nel corso dell’istruttoria hanno accusato le forze dell’ordine di avere estorto agli imputati confessioni mediante tortura, accuse che sono state poi ritenute non fondate.
La volontà governativa di non esarcebare gli animi e’ stata evidente fin dai giorni seguenti i sanguinosi scontri, quando alcuni dirigenti del settore petrolifero ed il sindaco di Zhanaozen vennero arrestati per corruzione; ma come nel caso dei funzionari di polizia sopra citati l’”epurazione” rimane ad un livello medio basso, senza mai coinvolgere alte personalita’ del regime. A conferma del tentativo di non inimicarsi la popolazione, Astana ha anche annunciato che 29 milioni di dollari saranno destinati alla ricostruzione di quanto danneggiato dalle violenze, nonche’ la riassunzione per molti degli operai licenziati.
Il rischio di emulazione dei fatti di Zhanaozen e’ infatti alto, come dimostrato dallo sciopero di 300 minatori nella citta’ di Zhezkazgan, che a maggio hanno incrociato le braccia per chiedere salari piu’ alti. In questo caso le controversie sono stare risolte in via amichevole con una serie di compromessi, compresa un’ inchiesta interna alla compagnia mineraria che ha fatto ricadere la colpa dello sciopero su pochi lavoratori spalleggiati da attivisti politici.
E negli stessi giorni in cui ad Aktau la sentenza veniva pronunciata il Kazakistan si trovava di fronte ad un altro grave episodio: in una cittadina lungo la frontiera cinese sono stati rinvenuti i corpi di 15 persone (di cui 14 guardie di confine). Le autorita’ hanno dichiarato trattarsi di un atto terroristico, ma il fatto che il confine kazako-cinese non abbia mai registrato problemi di sorta rende il fatto difficilmente spiegabile, diventando un nuovo grattacapo da risolvere per il governo kazako.
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