Dalla Grecia all'Italia, la paura (o la voglia) di un golpe?

Lo so già, mi direte che scrivo scempiaggini. Però ho qualche dubbio. La questione è questa: è possibile che gli Stati più esposti alla crisi economica, in vista di possibili sconvolgimenti sociali e proteste violente, stiano cercando di rafforzare gli organi di polizia e l’esercito? E, in tal caso, ciò è bene o male? Partiamo dunque dall’esercito greco, i cui vertici sono stati azzerati il primo novembre scorso e rimpiazzati da uomini più vicini al governo. Il capo di Stato maggiore interforze e i comandanti di Esercito, Marina e Aeronautica vengono sostituiti, e con loro una decina di alti ufficiali. L’impressione è che, in piena crisi economica, con il rischio di una crisi sociale alle porte, si sia voluto imprimere all’esercito una linea che fosse vicina alle istituzioni democratiche. Una buona notizia, insomma?

L’esercito in Grecia è stato oggetto di diverse riforme da quando fu protagonista del colpo di Stato dei “colonnelli”. Nel maggio del 2011 il tabloid tedesco Bild rivelava i timori della Cia per il rischio di un colpo di stato in Grecia in caso di gravi disordini sociali. Il 25 ottobre, sul Telegraph, si poteva leggere: «Scherzando solo per metà qualche volta si è detto che un uso del denaro tedesco migliore del buttarlo giù nello scarico per altri bail-out, sarebbe sponsorizzare un colpo di stato in Grecia, e risolvere il problema in questo modo, dato che la dittatura è incompatibile con l’adesione all’Unione europea». Cosette mica da ridere, ma si sa che i giornali dicono un mucchio di fanfaronate.

Scrive Limes che la difesa greca, secondo un recente studio, nel 2010 era composta da ben 156.600 militari su una popolazione di circa 10mln di abitanti, con una spesa (nel 2009) dell’1,8% del pil, cifra considerevole date le dimensioni elleniche. Considerando che in Grecia è ancora attiva la leva e guardando al contesto regionale, con la Turchia aggressiva e i Balcani turbolenti, è facile capire come l’esercito sia una questione delicata.
Che di fronte al rischio di una crisi sociale lo Stato si rafforzi può apparire naturale, qualche angoscia però la mette. Certo c’è da tutelare l’ordine pubblico, e già sono molti gli episodi di violenza urbana: solo nel febbraio scorso, quando ad Atene sono scese in piazza 80mila persone, si sono verificati attacchi incendiari, palazzi dati a fuoco, esplosioni di molotov e bombe carta. Voci non confermate ci dicono che l’esercito sta sostituendo in alcune funzioni di ordine pubblico la polizia, numericamente insufficiente. Normalmente la polizia difende i cittadini dai pericoli interni. L’esercito difende lo Stato da quelli esterni. Se l’esercito viene usato come forza di polizia, i nemici dello Stato sono i suoi cittadini? Contro cosa si stanno preparando le forze di polizia e le autorità elleniche?
Le misure di austerità sono sempre state, dove si sono applicate, causa di gravi retrocessioni democratiche. Come? L’assunto è semplice: lo Stato prende i soldi dal Fmi e ne applica le misure di austerità. Le politiche economiche del Fmi sono obbligatorie, e scavalcano la consultazione dei cittadini: la democrazia ne esce perciò impoverita. I cittadini, esasperati dalla disoccupazione e dall’inflazione, protestano invano contro le misure di austerità e contro i governi che le hanno introdotte (accettando l’aiuto del Fondo).  Il fatto è che le misure imposte dal Fondo non sono negoziabili. Le proteste, così frustrate, si fanno sempre più violente. Diventa allora necessario rafforzare gli organi di sicurezza e reprimere il dissenso.
Rafforzare gli organi di sicurezza significa investire risorse non solo nell’esercito ma anche nella polizia. Nel caso greco, a preoccupare, è quanto riportato dall’Ansa, ovvero che oltre la metà dei poliziotti avrebbe votato per Alba Dorata, il partito neonazista greco, che secondo alcuni avrebbe persino dei contatti con esponenti dell’esercito. E’ dato di fatto che il leader di Alba Dorata sia stato nominato ai vertici del partito per ordine diretto di Georgios Papadopoulos, promotore del colpo di stato e capo proprio del Regime dei Colonnelli.
Dunque c’è voglia di “colonnelli” in Grecia? I sondaggi per le prossime elezioni, che si terranno il 17 giugno, danno in testa Syriza (di sinistra ed europeista, pur critica) con il 32%. Il clima non sembra propizio alla dittatura. Vero è che la dittatura non ha bisogno del consenso, ma della forza.
Lasciando perdere le connessioni di fatti e suggestioni fin qui riportate, non è temerario affermare che in caso di bancarotta e uscita dall’euro uno scenario possibile sia quello della rivolta sociale. Inoltre, l’uscita dalla moneta unica della Grecia potrebbe causare contraccolpi alle economie europee, Italia in testa. Allo stesso modo la rivolta sociale potrebbe contagiarsi ai Paesi vicini i quali si stanno premunendo. Anche nel Belpaese la nomina di De Gennaro (che senza esser tacciati di giacobinismo, possiamo ritenere responsabile morale degli abusi compiuti alla caserma Diaz al G8 di Genova) a sottosegretario di Stato agli Interni è un segno di quel rafforzamento dello Stato in senso poliziesco che dicevamo sopra. Non solo, il compito di De Gennaro sarà quello di potenziare l’intelligence, come richiesto dal ministro degli Interni. Lo stesso ministro ha espresso la necessità di avere più esercito per le strade e che ha ipotizzato di utilizzarlo anche per difendere (non già le banche, come in Grecia) le sedi di Equitalia.
L’allarme terrorismo è la motivazione ufficiale di queste misure. Come tutti sanno, l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, è stato gambizzato. Si segue la pista anarchica e, come tutti sanno, pare che porti proprio in Grecia. Altre connessioni, altre suggestioni. Vi lascio con l’ultima di queste suggestioni, citando Il cavaliere e la morte di Leonardo Sciascia, in cui un ispettore di polizia indaga sull’omicidio di un avvocato, tale Sandoz, rivendicato da una sigla sconosciutai figli del ottantanove che, ipotizza l’ispettore, potrebbero ispirarsi alla rivoluzione francese, avvenuta appunto nel 1789:
Altra telefonata ebbe più precisa intestazione: Figli dell’ottantanove, gruppo Saint-Just. “Aveva ragione lei”, disse il Capo. […] “Ma non è questo il punto. Il punto è che i figli dell’ottantanove stanno nascendo ora, per mitomania, per noia, magari per vocazione a cospirare e a delinquere; ma non esistevano un minuto prima che la radio, la televisione e i giornali ne dessero notizia. Il calcolo di chi ha ucciso o fatto uccidere Sandoz li ha creati, appunto calcolando sul risultato minimo di annebbiarci, ma forse anche sul risultato massimo che qualche imbecille rispondesse all’appello professandosi figlio dell’ottantanove. […] Ci troviamo di fronte a un problema, a un dilemma: i figli dell’ottantanove sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?”

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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