“Durante i tre mesi di bombardamenti di città e villaggi, sono stati uccisi 2.500 civili, tra i quali 89 bambini, 12.500 feriti. In queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni delle bombe ad uranio impoverito”. Queste le parole di Boris Tadic davanti al Consiglio di Sicurezza della Nato, ricordando i 2.300 attacchi aerei che hanno distrutto 148 edifici, 62 ponti, danneggiato 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, così come 176 monumenti di interesse culturale e artistico. Molti i danni alle infrastrutture e alle aziende, con un danno di 30 miliardi di dollari, che nessuno è disposto a riconoscere e a risarcire. Dopo dieci anni dai bombardamenti della Nato, la Serbia ricorda, con le sirene e il silenzio, le vittime del massiccio bombardamento dell’Alleanza Atlantica sulla Serbia. “I bombardamenti Nato non hanno risolto il problema nel Sud della provincia per ristabilire la pace”, afferma il Primo Ministro Cvetkovic, in una sessione speciale del governo serbo dedicato alla memoria delle vittime dei bombardamenti Nato.
Restano da stabilire le cause che spinsero la Nato a quell’attacco. La Nato, si badi, non l’Onu. Eppure si addussero motivazioni umanitarie: liberare il popolo serbo dalla dittatura di Milosevic e, al contempo, soccorrere i kosovari perseguitati. Ma facciamo un passo indietro: tra il 1997 ed il 1999 gli attentati dell’UCK e le repressioni serbe crebbero sempre più in regolarità e ferocia, fino a quando scoppiò tra il movimento indipendentista ed il governo centrale una vera e propria guerra. Militarmente inferiore all’esercito regolare, l’UCK fondava la sua strategia sull’appoggio popolare, la conoscenza del territorio e sulle tecniche di guerriglia. Nel 1999 scoppiò la Guerra del Kosovo, tra l’UCK e la Repubblica Federale Jugoslava guidata da Slobodan Milosevic, ormai ridotta a solo alle repubbliche di Serbia (con il Kosovo e la Vojvodina) e Montenegro. L’esercito serbo lanciò una massiccia offensiva contro l’esercito di liberazione, che fu sostenuto dal mondo occidentale e dalla Nato, dopo i falliti accordi di Rambouillet.
Questi accordi prevedavano un’intesa ad interim della durata di tre anni tali da provvedere a “un’autonomia democratica, pace e sicurezza per tutti gli abitanti del Kosovo”. Dopo i tre anni “un’assemblea internazionale sarà convocata per definire una soluzione definitiva per il Kosovo. La volontà del popolo sarà un fattore determinante”. Il Kosovo avrebbe così potuto emenare leggi proprie, avere un proprio governo e gestire la sicurezza insieme alla “forza militare Kfor che sarà autorizzata a intervenire per garantire la conformità agli Accordi”. Inutile dire che l’Uck sarebbe stato smilitarizzato per poi rientrare dalla finestra, diventando polizia nazionale. Questi accordi furono confezionati dagli Stati Uniti in modo unilaterale, sottoscritti a Parigi coi rappresentanti kosovari e proposti il 18 marzo al governo serbo, che li rifiutò. Il 24 dello stesso mese i caccia della Nato iniziarono a bombardare Belgrado.
Occorre fare però ancora un passo indietro, non volendo credere alle motivazioni umanitarie della guerra, cosa spinse gli Stati Uniti alla guerra? Perché difendere il diritto di autodeterminazione dei kosovari e non quello dei ceceni? Perché durante la guerra in ex-Jugoslavia, la città di Sarajevo fu lasciata al suo destino mentre Pristina fu al centro dei pensieri di Washington? Le domande sono retoriche, è vero, ma le risposte non sono del tutto banali. La prima si chiama Camp Blondsteel, la più grande base militare americana in Europa, costruita sul finire del 1999. Camp Blondsteel è il prezzo che i Balcani pagano per la guerra fratricida: una volta emersa l’incapacità europea nella gestione del conflitto jugoslavo, gli Stati Uniti decisero l’intervento diplomatico (prima) e militare (dopo) allo scopo di stornare verso occidente un’area tradizionalmente di frontiera con “l’orto di casa” russo, di cui la Serbia ha sempre rappresentato una testa di ponte. Privare la Serbia del Kosovo e metterci una enorme base militare significa, per i Balcani, la definitiva adesione al campo occidentale, volente o nolente.
La seconda ragione si chiama Ambo, e sta per Albanian Macedonian Bulgarian Oil, entità registrata negli USA per costruire un oleodotto da 1,1 miliardi di dollari (noto anche come Trans-balcanico) che dovrebbe portare il petrolio dal Mar Caspio a un terminal in Georgia e da lì verrebbe trasportato via nave attraverso il Mar Nero fino al porto bulgaro di Burgas per poi attraversare la Macedonia fino al porto albanese di Vlora. La guerra della Nato voluta da Clinton contro la Jugoslavia era cruciale per l’accesso strategico a Vlora, dove il greggio deve essere imbarcato sulle petroliere dirette alle raffinerie statunitensi sulla West Coast. Va detto che lo studio originale di fattibilità dell’Ambo, che risale al 1995, è stato condotto dalla Kellogg, Brown and Root, una sussidiaria dell’Halliburton, compagnia che si dice vicina al vice presidente Dick Cheney. L’Ambo si accorda infatti con la griglia energetica perseguita da Cheney (e, prima di lui, da Richardson, ministro per l’Energia di Clinton) volta a escludere la Russia dalla competizione energetica. Tuttavia tale progetto è ancora sulla carta, pur non essendo mai stato abbandonato, e rappresenta un’alternativa ai progetti energetici russi (come il cosiddetto Turkish stream, anch’esso sulla carta).
Dietro alle retoriche dell’emergenza umanitaria si nascondono, come sempre, ben più urgenti ragioni politiche ed economiche. Il bombardamento di Belgrado, celebrato come “un giorno importante per la democrazia mondiale”, fu il risultato del convergere di questi interessi e si dovette anche all’incapacità europea di risolvere la questione Milosevic in modo autonomo. Oggi le conseguenze di quel bombardamento sono evidenti: le guerre jugoslave hanno spinto i paesi balcanici verso regimi a libertà limitata, ora nell’alveo dell’Unione Europea, ora sotto la tutela militare euro-americana. L’indipendenza per cui gli slavi del sud sono stati spinti a combattere forse sarebbe stata meglio garantita salvaguardando (e rifondando) la Jugoslavia. Ora che i nuovi padroni sono entrati in casa, non si potrà più farli uscire.
Questo indica che di sinistra è rimasta solo quella parte del corpo…
Non possiamo chiedere scusa, ma perdono si. Vergognamoci! Abbiamo bombardato un popolo che non poteva controcambiare. Abbiamo violato la nostra Costituzione, che da allora è carta straccia.
Ma l’oleodotto poi è stato ultimato alla fine del 2011?
macché, i lavori non sono ancora cominciati. Per adesso gli Usa (che sono i finanziatori del progetto) si sono concentrati sulla costruzione di Camp Blondsteel “una piccola Guantanamo” come hanno detto gli osservatori del Consiglio d’Europa. Da quel che ne so, è la base più grande in Europa. Geopoliticamente ha il suo peso, piazzata lì in mezzo ai Balcani…
m.z.
interessante…ho appena letto il tuo articolo a proposito della fresca elezione di Nikolic e mi chiedevo a quale base americana facessi riferimento. Grazie per articolo e risposta.
Io avevo 5 anni quando ci hanno bombardato e mi ricordo la paura e il suono delle sirene. Il bombardametno è durato per tre mesi, e quell’ anno non potevamo andare al mare, ne festeggiare i compleanni, ne andare a casa la mattina e guardare i cartoni. Non capisco come mai quest’evento può essere legato all’ evento importane per la democrazia mondiale.