Dallo scorso dicembre la vita di Klubrádió, la principale emittente radiofonica ungherese schierata contro l’attuale governo di centro-destra, è più che in bilico, paralizzata in un circolo vizioso che non le permette di ottenere introiti pubblicitari. Nonostante le accorate manifestazioni in difesa del canale, l’agonia di Klúbrádio sta proseguendo e non sembrano esserci soluzioni definitive all’orizzonte.
L’Autorità dei Media ungherese ha da pochi giorni esteso la licenza di trasmissione provvisoria per la stazione fino alla data del 5 agosto, ma, allo stesso tempo, ha rifiutato di ridurre la tassa che Klúb è costretta a versare ogni due mesi. 6.5 milioni di fiorini che rappresentano un balzello piuttosto oneroso, considerando che anche in Ungheria le radio non navigano nell’oro. Ma il vero motivo per cui le condizioni imposte dall’Autority stanno strangolando Klúbrádio è il fatto di impedire una pianificazione del futuro e quindi di vendere spazi pubblicitari.
Il caso è iniziato già nel 2010, quando è stata scritta la nuova legislazione sui media e, tra alterne vicende, prosegue ancora, la radio tenuta in vita grazie a finanziamenti privati. Per far capire meglio cosa fa Klubrádió vi invito a pensare al giornalismo “watchdog”: una sorta di Striscia La Notizia, ancora più capillare nell’indagare i retroscena della politica oltre che diverse tematiche sociali (anche perchè l’Ungheria è un Paese piccolo), talvolta salace nelle sue battute, dai contenuti che restano comunque di stampo giornalistico se non addirittura d’inchiesta. In Italia forse un parallelo possiamo farlo con Il Fatto Quotidiano, mentre nel parco-radio azzardo un accostamento a Radio Popolare. Il 18 maggio la radio ungherese, nata nel 2000 e spolpata nel numero delle frequenze proprio dai provvedimenti degli ultimi due anni, ha comunicato attraverso il suo sito di trovarsi in serie difficoltà economiche e legali, tali da aver richiamato l’attenzione di Europa e Stati Uniti e da dover chiedere un supporto agli utenti. In un succinto comunicato pubblicato in inglese, infatti, Klubrádió invita a dare il proprio supporto, non alla stazione in sé quanto “alla libertà di stampa in Ungheria”, aggiungendo i dati per l’eventuale bonifico.
In Ungheria davvero non c’è più libertà di parola?
Una cosa però ritengo sia bene chiarirla: dire che in Ungheria non ci sono altri media di opposizione è un po’ come sostenere che in Italia non si poteva scherzare sul centro-destra durante l’esecutivo di Berlusconi.
La foto a fianco rappresenta un esempio minuscolo di presa in giro del primo ministro, pratica molto diffusa in un Paese che ha un modo di sdrammatizzare tutto suo. Una facilità all’ironia che mi ricorda quella dei pagliacci, anche se molto più sottile della seconda. Una nazione auto-ironica, dove tuttavia una strana gravità si sostituisce a quella spensieratezza di solito compagna dell’umorismo. Quindi si prende in giro Orbán come prima si prendeva di mira Gyurcsány – il primo ministro socialista dello scandalo del 2006 – e come prevedo che si farà con i futuri leader.
La precarietà su cui si regge Klubrádió riaccende l’allerta per la legge sui media varata nel 2010 e fa scalpore anche perché Klub è una rete seguita, in cui tante persone credono. Lo dimostra anche il gruppo Facebook “Salviamo Klubrádió” con i suoi oltre 10.900 iscritti – un bel numero, in un Paese che supera appena i 10 milioni con circa 3 milioni di iscritti a Facebook (secondo un’indagine 2011 dell’agenzia RG Stúdió). Tra questo e il dire che, se Klubrádió chiuderà i battenti, in Ungheria non ci saranno più fonti di informazione critiche, mi pare che ci passino diverse tonnellate di carta tra edicole e supermercati ungheresi e un’enormità di byte sul web. Che ci sia attenzione a quello che succede in Ungheria per quanto riguarda la salvaguardia della libertà di espressione mi sembra più che giustificato, ma non bisogna ridurre un Paese e tutta la sua cultura a una legge. Si rischia di affossarlo sempre di più.