di Pierluigi Mennitti
Da un lato uno storico museo sul comunismo, messo su quando ancora c’era il Muro da un bizzarro collezionista, poi allargatosi caoticamente negli ultimi anni con i cimeli raccolti dopo la caduta della Ddr. Dall’altro, una fila interminabile di fast food che emanano odori forti: kebab, currywurst, spaghetti cinesi e hamburger di Mc Donald’s. In mezzo, tra le auto che faticano a farsi strada, una moltitudine di turisti, aggrappata agli immancabili falsi soldati americani e sovietici per una foto ricordo o assiepata attorno al falso gabbiotto dove erano asserragliati i soldati dell’Us Army. Tutt’intorno, negozi di souvenir e bancarelle che espongono ogni genere di paccottiglia sovietica, vera e più spesso falsa, a prezzi sproporzionati.
Così si presenta uno dei luoghi storici di Berlino, il Checkpoint Charlie, il posto di controllo più famoso della guerra fredda. Per 40 anni, su questa frontiera si sono guardate in cagnesco le truppe delle potenze che avevano conquistato la capitale tedesca alla fine della seconda guerra mondiale. Gli Alleati da un lato, i sovietici dall’altro. Qui sono avvenuti alcuni dei tentativi più spettacolari di fuga, molti conclusisi tragicamente. Qui, in qualsiasi istante, un movimento falso o un ordine mal eseguito potevano far scoppiare un nuovo conflitto globale. Oggi la zona è più nota col soprannome di Snackpoint Charlie.
Un festival del kitch che nulla restituisce dei momenti drammatici che si sono vissuti su questo incrocio tra la Friedrichstrasse, la Mauerstrasse e la Zimmerstrasse. Domenica 8 aprile, il giorno di Pasqua, sono cadute anche le palizzate che nascondono una delle poche aree rimaste libere, per l’inaugurazione di una nuova struttura: il Freedom Parks».
Già il nome non prometteva bene. Gli autori del progetto sono convinti che sarà uno spazio di intrattenimento del tutto compatibile con il significato storico del luogo. Ci sono otto grandi box di vetro. Uno è destinato alla vendita di würstel, un altro vorrebbe essere il primo Mauershop di Berlino: sugli scaffali sono esposti dieci pezzi del vecchio Muro, ritrovati miracolosamente durante gli scavi. Per cifre oscillanti tra i cinque e i 35 euro, i turisti possono recuperare il tempo perduto e accaparrarsi uno degli ultimi pezzi originali del simbolo della città divisa».
Chissà cosa conterranno gli altri cubi di vetro. Per bilanciare, metà dei 3 mila metri quadrati dell’area sono occupati da un’installazione panoramica realizzata dall’artista Yadegar Asisi, che dovrebbe far tornare alla memoria la visuale che si aveva ai tempi del Muro dal quartiere di Kreuzberg. «Si tratta di una struttura simile a un gasometro in miniatura», ha rivelato l’ideatore alla Berliner Zeitung, «nel quale vengono proiettate scene di vita quotidiana negli anni della città divisa, a Est come a Ovest».
Facile temere che anche il Freedom Park entrerà a far parte di questa sorta di Disneyland della guerra fredda sorta senza criterio. Un progetto privato realizzato da un investitore irlandese di cui non è stato svelato il nome. Un altro quotidiano, la Berliner Morgenpost, si è chiesto: «Che cosa significherà questo per lo sviluppo dell’intera zona? È una resa definitiva al commercio? O il nuovo progetto riuscirà davvero a onorare il valore storico di questo luogo?».
I turisti non sembrano porsi troppi problemi. Il Checkpoint Charlie resta il sito più visitato di tutta Berlino, più della stessa Porta di Brandeburgo. E anche se di storico sono rimaste solo le foto d’epoca appese alle palizzate che circondano due aree non ancora edificate, è qui che i visitatori accorrono con l’illusione di respirare l’atmosfera della città divisa. Il museo degli Alleati, realizzato nel periferico quartiere di Zehlendorf vicino all’ex quartier generale americano, e che espone il gabbiotto originale che una volta sostava al Checkpoint Charlie, non attira più di 65 mila visitatori l’anno. Chi volesse ascoltare l’altra campana potrebbe visitare il Deutsche-Russische Museums nel quartiere orientale di Karlshorst, sede del comando sovietico: ma sono in pochi a farlo. E anche il memoriale a cielo aperto realizzato dalla Stiftung Berliner Mauer in un altro luogo simbolico, la Bernauer Strasse, che pure vanta quasi un chilometro e mezzo di Muro originale, è poco visitato.
Così, se i berlinesi storcono il naso e cercano di evitare il Checkpoint Charlie, i turisti vi accorrono in massa, per nulla turbati dall’atmosfera artificiale e carnevalesca. «È la testimonianza di come Berlino non sia mai riuscita ad andare d’accordo con la memoria storica del Muro», ha proseguito la Morgenpost, «fin da quando, nei giorni immediatamente successivi alla sua caduta, l’ordine venuto dall’alto fu quello di demolire tutto, il più in fretta possibile».
Sbriciolare il passato e costruirci sopra un’idea di futuro è in fondo sempre stato il filo conduttore di questa città, quella speciale Berliner Luft, aria berlinese, che si respira a pieni polmoni sognando di inseguire il mito di sempre, New York. Una corsa in avanti che non ha evitato i tragici inciampi nella storia. E anche adesso che i tanti fantasmi del passato non sembrano ripetibili, la Disneyland del Checkpoint Charlie lascia in fondo un retrogusto amaro, quello della banalità.
foto di Victoria Pickering