Il primo luglio allo stadio Olimpijs’kyj di Kiev andrà in scena la finale dei Campionati Europei di calcio 2012, coospitati da Ucraina e Polonia. Aperto nel 1923, lo stadio fu rinnovato e ampliato nel 1941 e avrebbe dovuto essere inaugurato il 22 giugno 1941 con un incontro della Dinamo Kiev. Quel giorno la Wehrmacht tedesca iniziò l’Operazione Barbarossa contro l’Unione Sovietica occupando l’Ucraina e bombardandone la capitale. Molti giocatori, trattenuti nella capitale dal presidente dell’NKVD Lev Varnavskyj, parteciparono alla resistenza partigiana fino alla caduta della città, il 19 settembre 1941, facendo prigionieri seicentomila ucraini, costretti a firmare una dichiarazione di lealtà al regime nazista per poter tornare a Kiev.
Sullo sfondo della città occupata dai nazisti si staglia una storia talmente iconica da essere divenuta leggenda e distorta in più versioni: dalla propaganda sovietica, da sceneggiatori cinematografici e autori teatrali, dal passaparola e, magari, dagli stessi protagonisti sopravvissuti. La versione più affidabile e meglio documentata è quella di Andy Dougan, autore nel 2001 del libro Dynamo: Defending the Honour of Kiev. I nazisti organizzarono un campionato di calcio cittadino a fini propagandistici per rafforzare il proprio controllo sulla popolazione: Iosif Kordik, un imprenditore che era riuscito a farsi riconoscere lo status privilegiato di Volksdeutsche millantando cittadinanza austriaca, era riuscito ad assumere nella sua fabbrica di pane diversi ex giocatori della Dinamo e del Lokomotiv, creando una vera e propria squadra con le migliori stelle del calcio di Kiev.
Organizzatore e capitano carismatico della squadra era il portiere Mykola Trusevič e nell’FC Start – questo il nome della formazione – figurava anche l’ala Makar Hončarenko, che nel 1992 raccontò a una radio la sua storia, narrando di aver conservato la propria divisa e i propri scarpini all’arrivo dei nazisti: nazismo o comunismo, era sicuro che avrebbe avuto l’occasione per giocare a calcio. La Start partecipò al campionato infilando, grazie al valore dei suoi giocatori e nonostante la forma precaria dovuta alle ristrettezze della guerra, una lista ininterrotta di successi: ben presto diventò un talismano della città, ispirando la resistenza al regime nazista. Il destino del FC Start si scontrò contro il Flakelf, una squadra militare della Wehrmacht mandata a Kiev con lo scopo di piegarsi. Il Flakelf perse 5-1 la partita del 6 agosto 1942 nei giorni in cui Stalin spronava l’Unione Sovietica a non fare nemmeno un passo indietro.
Tre giorni dopo la rivincita, ammantata nella leggenda, fu vinta di nuovo dalla Start per 5-3, nonostante le intimidazioni ricevute dai nazisti e il rifiuto di fare il saluto nazista prima dell’incontro. Il risultato, secondo quanto racconta Duggan, scatenò la repressione: i giocatori vennero arrestati nel giro di pochi giorni con l’accusa di far parte dell’NKVD, da cui effettivamente dipendeva la Dinamo. Mykola Korotkich, a differenza dei suoi compagni, non era un dipendente del ministero dell’Interno sovietico solo nominalmente: riserva della Dinamo negli anni ’30, era anche un ufficiale in servizio dell’NKVD. A lui furono riservate le torture più atroci della Gestapo, venti giorni ai quali non sopravvisse. Gli altri giocatori furono deportati nel campo di concentramento di Syrec. Tre di loro furono fucilati, sempre secondo quanto racconta Duggan, la mattina del 24 febbraio 1943. Tra di loro c’era il portiere Trusevič, morto nella sua divisa da gioco nera e rossa, unico indumento caldo in suo possesso.
Alla storia della Partita della Morte verrà dedicato un nuovo film che già ha attirato tante polemiche da far ritardare la sua uscita a dopo l’Europeo. Come il film, anche il torneo non smette di far discutere proprio per il ruolo dell’Ucraina come paese organizzatore, tra minacce di boicottaggio e proteste da parte di gruppi per il rispetto dei diritti umani, leader politici dei paesi dell’UE, gruppi femministi e animalisti. A sollevare discordia sono più argomenti: dalle accuse di abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, allo sterminio dei cani di strada per rendere le città di Euro 2012 più appetibili ai turisti, dalle preoccupazioni sulla sicurezza all’indomani dell’attentato avvenuto il mese scorso a Dnipropetrovs’k fino alla delicata questione sull’incarceramento di Julija Tymošenko e sul rispetto dei diritti umani nel carcere di Charkiv dove l’eroina della Rivoluzione Arancione è detenuta dallo scorso anno. Non mancano nemmeno le contro-polemiche: perché i leader che ora alzano la voce contro il regime del presidente Janukovyč non hanno alzato un dito in occasione dell’Olimpiade in Cina e continuano tranquillamente a fare affari con gli autocrati delle risorse energetiche dell’Asia Centrale e con Vladimir Putin? L’Europeo in Ucraina rischia quindi di essere ricordato per ragioni che esulano dal rettangolo: invece che dell’ultimo palcoscenico internazionale di Andrij Ševčenko e della squadra messa insieme da un nome storico del calcio ucraino come Oleh Blochin, il riflettore potrebbe essere puntato sui diritti umani e sulle lotte di potere della repubblica ex sovietica più di quanto non sia mai avvenuto per nessuna manifestazione sportiva fino ad oggi.
A questa vicenda è ispirato il bellissimo film del regista ungherese Zoltán Fábri “Due tempi all’inferno” (Két félidö a pokolban), girato nel 1963. Riporto di seguito la descrizione:
“Ucraina, aprile 1944. Un ufficiale tedesco scopre che in un campo di prigionia gestito da militari ungheresi, tra oppositori politici ed ebrei, è costretto ai lavori forzati anche un famoso calciatore. Lo incarica perciò di allestire una squadra per una partita di calcio contro una rappresentativa dell’esercito tedesco, da disputarsi per festeggiare il compleanno di Hitler. Ma quando infine scenderanno in campo, gli ungheresi avranno sulla testa la spada di Damocle di una probabile fucilazione, avendo tentato l’evasione durante un allenamento…
Se questa trama vi ricorda qualcosa, ebbene sì: quasi 20 anni dopo, nel 1981, John Huston girerà il remake, “Fuga per la vittoria”, con Pelè e tanti altri calciatori famosi.
Questo film però non è una parata di stelle. Gli “ospiti” del campo di concentramento sono quasi degli scheletri, fanno la fame e si ammazzano di lavoro. Il loro unico scopo è mangiare e portare a casa la pelle, in attesa dei russi di cui già si odono in lontananza i cannoni.
In mezzo a tanta sofferenza, far parte della squadra di calcio significa poter mangiare e condurre un’esistenza quasi normale.
A differenza del film di Huston, dove la partita è lo scopo del film, qui la partita è un mezzo per far emergere e scoppiare tanti drammi, per mettere i singoli davanti a un bivio, per costringerli a scelte difficili e irrevocabili.
E la partita non si svolge in un grande stadio, bensì in un campetto improvvisato, allestito per l’occasione, dove su una collina – in posizione privilegiata – vediamo i militari tedeschi e una tribunetta d’onore, mentre dall’altra parte vediamo gli internati del campo tenuti a bada dai soldati. Nessun radiocronista, come nel film di Huston, e il terreno è brullo con pochissima erba. Anche il finale sarà diverso.
E’ insomma un film molto vicino a “Il generale della Rovere” e molto lontano da “Momenti di gloria”, tanto per capirci.”
Se volete vedere questo film in lingua originale, potere registrarvi e scaricare i sottotitoli italiani sul nostro sito, http://www.yound.net.
Ciao, e complimenti per i vostri articoli!
Grazie del commento Lorenzo. Se per caso rileggerai qua sotto tra i commenti, ti invito ad ascoltare Radio 24 domenica 17 giugno alle 14:30 (la trasmissione “A bordo campo”): parlerò di questa partita. E grazie per il link, ora mi ci ingegno perché voglio veramente vedermi il film!