NAGORNO-KARABAHK: il difficile processo democratico

Il movimento politico che ha avuto inizio in Karabakh nel 1988 non era solo volto a sostenere idee di tipo nazional-indipendentista, ma anche riforme democratiche. Quelle del 1988 sono state tra le prime manifestazioni di questo tipo ad avere luogo in Unione Sovietica.
La guerra che ha avuto luogo negli anni seguenti (1992-1994) ha spinto in secondo piano il processo di democratizzazione. Negli anni del conflitto armato, l’élite militare aveva concentrato il potere nelle proprie mani, e la stampa e la televisione, trovandosi sotto il completo controllo delle autorità, erano parte attiva di una macchina propagandistica che non accettava critiche. Sono serviti anni affinché si ritornasse a pensare in termini di vita pacifica.

La situazione post-conflitto, quando non c’è più la guerra ma non si vive ancora la pace, non è certo la base migliore per lo sviluppo della democrazia. Vi sono due fattori che in modo particolare rendono più complessa la strada della democratizzazione: la sensazione di minaccia esterna, rafforzata dalla retorica aggressiva del governo azero, e la posizione poco costruttiva della comunità internazionale.
Temendo la minaccia esterna, anche se non esiste formalmente censura, si rende più forte il fenomeno dell’auto-censura, non solo tra i giornalisti, ma anche tra i cittadini comuni. Gli interessi nazionali vanno prima di tutto.
Il comportamento della comunità internazionale è controproducente poiché, prima di ogni elezione in Karabakh, organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa raccomandano che le elezioni non si tengano affatto. Il timore è quello che il riconoscimento ufficiale del Nagorno-Karabakh possa destabilizzare l’area, un timore tanto forte che si preferisce bloccare lo sviluppo di uno dei pochi sistemi democratici del Caucaso. Non bisogna poi dimenticare quanti e quali interessi si giochino nell’area (vedi EstOvest-strategie energetiche).
La democrazia in Karabakh si trova a sopravvivere in queste condizioni. “Sopravvive”, benché in passato è sembrato che vi potesse essere un nuovo slancio democratico come quello del 1988.
In un modo o nell’altro, nella società del Nagorno Karabakh si è formata una tendenza ad avere una società monopolare dal punto di vista politico, e anche per questo l’uscita di 5 parlamentari dal gruppo di maggioranza in parlamento avvenuta lo scorso febbraio è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Il partito “Patria Libera” è quindi diventato il primo partito in parlamento.
Questo sembra essere solo un primo passo verso una nuova fase di rinnovato dibattito politico.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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