di Matteo Zola
Tutto iniziò a Smolensk. Le autorità russe avevano avvertito della pericolosità dell’atterraggio in condizioni ambientali sfavorevoli a causa di una fitta cortina di nebbia, suggerendo in alternativa l’aeroporto bielorusso di Minsk. Negli ultimi tempi però tra Varsavia e Minsk la tensione era montata sulla questione delle discriminazioni subite dall’Unione dei polacchi in Bielorussia, l’organizzazione civile più consistente in un paese in cui la libertà di associazione è limitata e in cui l’espressione del pensiero non è libera. Chissà forse anche per orgoglio nazionale il diniego di atterrare a Minsk, nonostante la scarsa visibilità a Smolensk. Il presidente Lech Kaczyński non aveva gradito che il suo primo ministro Donald Tusk fosse stato invitato dal capo del governo Vladimir Putin alla prima cerimonia di commemorazione delle vittime del massacro di Katyn che si era svolta il 7 aprile così la decisione di una seconda commemorazione il 10 aprile a cui avrebbe partecipato insieme a veterani e a esponenti dell’opposizione.
Oggi come allora Katyn è luogo del martirio della nazione, almeno secondo Lech Walesa che -con accenti mistici- ha ricordato come per due volte quel luogo abbia dato la morte alla classe dirigente polacca. La maggioranza degli ufficiali massacrati a Katyn settant’anni fa erano riservisti –medici, avvocati, professori insieme a numerosi preti e rabbini. Il film del regista polacco Andrzej Waida, il cui padre Jakub era proprio morto a Katyn, uscito nel settembre 2007, il giorno stesso dell’aggressione sovietica alla Polonia nel 1939, aveva contribuito a riportare l’attenzione nazionale e internazionale su quelle drammatiche vicende. Il film è stato trasmesso in prima serata anche dalla televisione russa. La verità riconquistata, la riconciliazione russo-polacca simboleggiata dalle parole di Tusk e Putin, che nel deporre la corona della propria nazione in memoria dei caduti polacchi si fa il segno della croce, appaiono promettenti segnali per l’avvio di una nuova fase di relazioni fra Europa e Russia. Una relazione che dopo il “reset the button” fra Mosca e Washington e la firma a Praga dello Start2 dovrebbe procedere sgombra da quelli che il presidente Medvedev aveva chiamato i “fantasmi sovietici”. I polacchi hanno apprezzato la collaborazione dei russi nella conduzione delle indagini sulla catastrofe area. La Russia ha proclamato un giorno di lutto nazionale mentre molte persone si sono radunate in segno di solidarietà davanti all’ambasciata polacca a Mosca e al consolato a San Pietroburgo.
La tragedia di Smolensk avrà però soprattutto conseguenze sulla politica interna polacca. La scomparsa nell’incidente di due candidati – il presidente Lech Kaczynski aveva intenzione di correre per un secondo mandato come candidato del partito di opposizione Diritto e Giustizia (PiS) e dell’ex ministro della Difesa Jerzy Szmajdzinski, che era il candidato della sinistra, Sinistra Democratica (Sld) – renderà l’agone politico meno competitivo e la vittoria già annunciata del partito di governo “Piattaforma civica” (Po) in un certo modo “mutilata”. Secondo gli ultimi sondaggi – prima dell’incidente aereo – il Po avrebbe raggiunto quasi il 46% dei consensi contro il 24,8% raccolti dal partito di opposizione PiS che ha perso nel solo mese di marzo il 4,7% del gradimento. La sinistra gode invece del 13,9% dei consensi dei cittadini mentre il partito agrario, partner del Po nel governo, raggiunge appena il 5%. È improbabile che la morte di Lech Kaczynski scompigli le preferenze di voto dei polacchi.
Se il Po, come probabile, vincerà le elezioni presidenziali e poi quelle locali, avrà l’opportunità di influenzare la nomina in posizioni chiave di esponenti politici della propria parte politica, dominando così la scena politica polacca non più polarizzata dalla coabitazione Kaczynski-Tusk. Ora il PiS rischia la debacle anche se recenti sondaggi lo danno in ripresa. Non ci sono solo il Pis e il Po. La morte di Jerzy Szmajdzinski, vice presidente del Parlamento, candidato alla presidenza per Sld, ha aperto una grave crisi nel partito che lo aveva scelto dopo un complesso compromesso fra le diverse anime del partito.
Se dalle urne uscirà vincitore Komorowski, come sembra probabile, la Polonia si troverà con un Presidente e un Primo Ministro dello stesso partito. Un’occasione unica per portare il Paese lontano dalla crisi economica, ma c’è bisogno di riforme non solo finanziarie: gli incubi del passato, tornati vivi nella coscienza collettiva polacca -estremamente consapevole del proprio retaggio storico- devono essere allontanati. La retorica della paura, dell’anti-russismo e anti-allemanismo, dell’antisemitismo, del fondamentalismo cattolico, del populismo gretto, va accantonata. Certo, non sarà facile. I Kaczynski hanno rappresentato la “pancia” del Paese, erano l’espressione di una Polonia narcisistica, che si specchiava nella tradizione e nel passato. Questa Polonia non è scomparsa.
La vittoria di Komorowski può così essere interpretata anche come un contraccolpo psicologico allo shock di Smolensk. Ciò che più di tutto muterà sarà infatti la politica estera ed è probabile che si assisterà a una riduzione del ruolo internazionale del Paese. Con i Kaczynski la Polonia si era guadagnata (o stava provando a farlo) una posizione di leader tra i Paesi slavi cattolici: il sostegno all’Ucraina, lo scudo spaziale con la Repubblica Ceca, le tensioni con Mosca e Minsk rientrano in questo quadro. La Polonia di Komorowski e Tusk sarà invece europeista, amica del Cremlino (e del suo gas) e assai lontana da Kiev. Forse così –potrebbero pensare i maliziosi- si eviteranno altri incidenti aerei sui cieli di Smolensk.
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