di Giovanni Catelli
Il fallimento di Gorbaciov – Osvaldo Sanguigni, Manifestolibri
Il 25 dicembre del 1991 veniva calata per sempre dal pennone del Cremino la bandiera rossa, sostituita dal tricolore della Russia : in seguito a quattro mesi di incredibili eventi l’Unione Sovietica scompariva dalla Storia, dopo 70 anni di esistenza : nessuno avrebbe presagito un crollo così repentino del sistema, che appariva granitico nonostante le difficoltà economiche degli ultimi anni, ma il suo processo di disgregazione, così come analizzato da Hélène Carrère d’Encausse, era più avanzato di quanto si potesse immaginare.
Questo libro di Osvaldo Sanguigni è ricchissimo di informazioni, e descrive la parabola dell’URSS durante l’era di Mikhail Gorbaciov, che tentò tramite la glasnost e la perestroika di riformare il sistema,e fu sconfitto, oltre che dagli eventi, dall’ambizione dei suoi nemici interni, in particolare Boris Eltsin, la cui brama di potere, unita a quella dei presidenti ucraino e bielorusso Kravchuk e Shushkievic, portò al “colpo di stato costituzionale” dell’8 dicembre 1991, in cui i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia, in un vertice presso Minsk, decisero l’indipendenza delle rispettive Repubbliche e la fine dell’URSS quale soggetto di diritto internazionale. Essi, invece di firmare, come pattuito con Gorbaciov, il nuovo trattato dell’Unione, annunciarono la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), un soggetto che presto avrebbe rivelato la sua sostanziale inconsistenza. Gorbaciov, indebolito dal tentato golpe di agosto, si dimise dalla carica di Segretario Generale del PCUS, erroneamente ritenendolo screditato di fronte al paese, ma così facendo offrì a Eltsin la possibilità di estrometterlo da ogni da ogni carica, con il colpo di mano dell’8 dicembre.
Le tremende difficoltà economiche generatesi nel corso della perestroika, e la crisi del sistema nella sua transizione verso il Mercato, minarono radicalmente l’azione riformatrice di Gorbaciov, e la sua caduta lasciò purtroppo campo libero a Eltsin, che lanciandosi in un capitalismo selvaggio, impoverì negli anni a seguire il 90 per cento della popolazione, e svendette parte dell’apparato industriale russo, a beneficio di alcuni paesi occidentali e soprattutto di losche oligarchie economiche ancora fortissime nella Russia di oggi.