di Marco Marchionni
Se ne parla poco, ma da ormai diversi anni è in corso una nuova guerra fredda. Anzi, freddissima. Teatro dello scontro è infatti l’Artico, polo strategico mondiale, dotato di immense risorse energetiche. Il mese di aprile, appena conclusosi, è stato piuttosto turbolento. I capi militari di Stati Uniti, Russia, Canada, Norvegia, Danimarca, Svezia, Islanda e Finlandia hanno iniziato a discutere la spartizione militare dell’Artico. Riuniti in una base canadese hanno concordato sulla necessità di una suddivisione vera e propria delle aree di influenza, oltre che la regolamentazione delle rotte commerciali e la spartizione delle enormi risorse energetiche, spartizione sulla quale al momento pare non esserci ancora nessun accordo.
Questa “conferenza” modifica la posizione iniziale di Mosca, da sempre contraria a una militarizzazione dell’Artico, che, per non essere estromessa da un territorio sul quale esercita storicamente la sua influenza, si è affrettata a dichiarare per bocca del ministo degli Esteri, Anton Vasiliev, come: “lo sviluppo della presenza militare nell’Artico è necessario per la realizzazione della sovranità dei paesi nordici, per la difesa delle risorse naturali e per il rafforzamento della sicurezza, l’aumento della consistenza numerica dei militari nella macroregione nordica non significa la militarizzazione dell’Artico ma la realizzazione da parte degli Stati della propria sovranità”.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti, insieme alla nuova Russia, al Canada, alla Norvegia e alla Danimarca hanno costituito tre organismi di cooperazione dell’area: Il Consiglio degli Stati del Mar Baltico (1992), la Cooperazione di Barents (1993), e il Consiglio Artico (1996), ma lo scioglimento dei ghiacci, con l’apertura di nuove rotte marittime commerciali e militari a Nord e le pretese sulla piattaforma sottomarina artica ricca di petrolio, gas e minerali (nickel, ferro, fosfati, rame, cobalto, carbone, oro, stagno, tugsteno, uranio e argento), hanno fatto salire la tensione, così che anche Stati non artici, come Francia, Gran Bretagna, Finlandia, Svezia e addirittura Cina ed Iran hanno cominciato ad avanzare pretese.
Il 19 settembre 2011, l’editorialista di Ria Novosti, Alexandr Latsa, scrive: “L’Artico è sempre più un formidabile teatro di operazioni, con un importante potenziale minerario. E’ anche una zona di rivalità tra grandi potenze, prefigurante la battaglia per l’energia che conoscerà senza dubbio questo secolo». Latsa fa notare che la Russia da sempre più importanza all’area: “Se l’Artico rappresenta solo l’1,5% della sua popolazione, la regione conta già per l’11% del suo Pil e per il 22% delle sue esportazioni. Infine, il 75% degli abitanti dell’Artico sono russi. La Russia ha anche la frontiera artica più lunga. Conseguentemente, una militarizzazione dell’Artico è in corso”.
Una militarizzazione tanto più necessaria agli interessi russi dopo che, nel marzo scorso, soldati dell’Alleanza Atlantica sono rimasti diversi giorni nei territori settentrionali di Norvegia e Svezia, prendendo parte all’esercitazione Exercise Cold Response 2012. Pù di 16.000 uomini, aerei e navi da guerra appartenenti agli eserciti di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e Olanda, per citare alcune nazioni, per un totale di 14 membri dell’Alleanza Atlantica. Secondo la Nato, l’obiettivo di questa prova è stato l’addestramento per operazioni militari in caso di conflitto e possibili “azioni terroristiche”. Le operazioni sono state così serie che cinque militari norvegesi sono morti durante lo schianto del loro C-130, avvenuto nelle vicinanze del monte svedese Kebnekaise.
Secondo gli analisti di Mosca “il vero obiettivo è la futura ripartizione delle risorse naturali della regione”, parola di Igor Korotchenko, esperto in materia di sicurezza. Egli ha anche affermato che: “la Nato cerca di mostrare i muscoli con la volontà di consolidare i suoi disegni geopolitici e diplomatici attraverso la potenza di fuoco”. A sua volta Vladimir Evseev, esperto di relazioni internazionali all’ Accademia Russa delle Scienze, aggiunge avvertendo che “le operazioni compiute nei territori di Norvegia e Svezia sono a due passi dal confine con lo stato eurasiatico.” L’analista afferma che queste esercitazioni avrebbero potuto effettuarsi sul territorio del Canada, e che il fatto che si sia invece fatta una scelta diversa è una minaccia alla sicurezza della Russia. La risposta del Ministero della Difesa russo non si fa attendere, tanto che vengono costituite nella Russia artica due nuove brigate pronte ad intervenire con rapidità ove richiesto, aggiunge Mosca, “nell’interesse del paese”. Russia e Norvegia danno poi il via all’esercitazione militare congiunta “Pomor” mentre la Svezia annuncia il 18 Aprile 2012 che intende sostenere l‘intezione della Cina di ottenere lo status di osservatore nel Consiglio Artico.
Si arriva così alla “conferenza” di fine aprile, necessaria se si vuole evitare che la guerra artica da fredda diventi calda. A complicare le cose c’è la questione cinese: lo “scontro” tra i paesi Nato e la Russia potrebbe favorire la “tigre asiatica”, che dopo aver ampliato la sua sfera di influenza nel continente africano, ora punta anche ad avere una presenza artica, mettendo sempre più in difficoltà, più che Mosca, la stessa Washington. Non è dunque un caso che il presidente del Consiglio cinese, Wen Jiabao, si sia recato in visita in Islanda e Svezia. Staremo a vedere con quali esiti.