Negli ultimi giorni un vento caldo ha soffiato in diverse città della Bosnia-Erzegovina. Non stiamo parlando di metereologia (anche se questa settimana il caldo in Bosnia è arrivato per davvero, e per fortuna, spazzando via un inverno da brividi), ma delle mobilitazioni studentesche che si sono svolte in tutto il paese. La Rete delle Assemblee degli Studenti (Mreža Vijeća Učenika BiH, MVUBiH) ha infatti lanciato, tra il 17 e il 26 aprile, la campagna “Vogliamo sapere” (“Zelimo znati”) per richiamare l’attenzione sui diritti degli studenti delle scuole superiori e sulla loro completa applicazione.
Secondo una ricerca realizzata dal MVUBiH su circa 10mila studenti delle scuole superiori in Bosnia-Erzegovina, circa l’80% non è a conoscenza dei propri diritti e non saprebbe a chi rivolgersi in caso di una loro violazione. Questi sarebbero infranti sistematicamente con gli abusi di autorità e i comportamenti oppressivi da parte del personale docente. Inoltre, in molte scuole le rappresentanze studentesche non sono ammesse a partecipare ai Consigli d’Istituto.
Per diffondere la campagna “Vogliamo sapere”, gli studenti di MVUBiH hanno realizzato manifestazioni in circa 20 città dell’intero paese, tra cui Sarajevo, Banja Luka e Tuzla, con lo slogan “Šuti i trpi” (ovvero “Taci e soffri”, frase celebre perché é il titolo di una nota canzone del gruppo Dubioza Kolektiv che denuncia l’inettitudine della classe politica bosniaca ai danni della popolazione). Durante i cortei gli studenti si sono tappati la bocca col nastro adesivo per denunciare che la cultura autoritaria presente nel sistema educativo che limita la libertà di espressione, non solo all’interno della scuola, ma più in generale nella società bosniaca. “Perché i nostri diritti e doveri non vengono mostrati nelle scuole?” “A chi ci possiamo rivolgere se i nostri diritti vengono violati?” “Perché la scuola superiore non è obbligatoria?”, recitavano alcuni striscioni.
È interessante notare che una delle richieste della mobilitazione studentesca sia l’approvazione di un Piano per la riforma dell’educazione a livello nazionale, comune alle due entità della Bosnia Erzegovina, Federazione di BiH e Repubblica Serba. È un nodo fondamentale: l’educazione è uno dei molti settori la cui sovranità appartiene esclusivamente alle due entità. Ed è proprio con l’educazione separata che la divisione istituzionale della Bosnia-Erzegovina esprime le sue più evidenti contraddizioni, seminando il germe della divisione su base etno-nazionale e religiosa. Va precisato, peraltro, che lo stesso movimento studentesco è diviso in due piattaforme parallele in Federazione e in Repubblica Serba, non per tensioni di tipo nazionale, ma proprio perché la legislazione è differente: è dunque inevitabile, anche per gli studenti, separare l’organizzazione del movimento. Proprio alla luce di questo, è un segnale importante che la Rete degli Studenti bosniaci richieda una riforma congiunta dell’educazione e attui una mobilitazione comune, tanto nella Federazione quanto nella RS.
Proprio negli stessi giorni, e per tutta un’altra vicenda, si sono mobilitati anche gli studenti dell’Università di Sarajevo. Nella giornata di lunedì 23, è stato convocato un presidio alla Facoltà di Filosofia, in seguito ad un episodio di discriminazione avvenuto la settimana precedente. Durante una campagna di donazione del sangue interna alla Facoltà, un annuncio segnalava la lista di categorie escluse dalla donazione e, tra esse, figuravano le persone omosessuali. Un gruppo di tre studenti, dopo aver chiesto spiegazioni sull’evidente contenuto discriminatorio di quella lista, è stato insultato, minacciato e quasi aggredito fisicamente da un operatore delle donazioni e da una bibliotecaria della Facoltà.
Ne è scaturita una mobilitazione spontanea in solidarietà con gli studenti e di denuncia contro la discriminazione, prima con un tam-tam sul web e poi con il presidio organizzato presso la stessa Facoltà di Filosofia. Che si è svolto con lo stesso “strumento” degli studenti medi: i circa 100 universitari presenti si sono tappati la bocca con il nastro adesivo e un pezzo di carta con la scritta “Facoltà di Filosofia”, per denunciarne il ruolo autoritario e censorio.
È evidente che le due mobilitazioni non sono collegate tra loro, ma si tratta comunque di segnali incoraggianti, tenendo presente che negli ultimi anni l’attivismo studentesco in Bosnia-Erzegovina non ha riscosso grande entusiasmo. Recentemente è stato più facile associare i giovani bosniaci ad un’inerte passività (quando non a gravi episodi di violenza urbana e da stadio) che a forme di mobilitazione sociale. Soprattutto, è estremamente curioso e significativo che la forma della protesta sia stata esattamente la stessa: quella di “tapparsi la bocca”, come atto simbolico di chi, invece, avrebbe molto da dire. E i giovani bosniaci, su quello che succede nel loro paese, hanno molto da dire.
Sono stato in Bosnia un anno e mezzo fa e ho trovato il paese in grande difficoltà, ma mi è sembrato di vedere nei giovani un certo cameratismo e una forza di volontà reale nel cercare di costruire una nazione che forse non è mai cresciuta del tutto. Come in ogni realtà sociale giovane gli studenti sono fondamentali nella ricostruzione del paese e fa piacere quindi sapere che la mobilitazione è in atto. La differenza che ho notato passando dalla Serbia alla Bosnia è la fermentazione culturale che ho trovato a Sarajevo e che invece manca a Belgrado, dove però la vita notturna del ‘divertimento’ è sicuramente più attiva…(pallida consolazione)
Mi associo a Fabrizio. L’idea che giovani studenti serbi, croati e musulmani scendano in campo affratellati da una causa comune é veramente bello.