A che punto siamo con i negoziati tra Russia e Stati Uniti? Come procede la guerra sul campo e cosa vuole la Russia? L’Europa cerca di colmare il vuoto lasciato da Washington, ma ne è in grado? E la “coalizione dei volenterosi” a che punto è? Davvero dobbiamo temere un’invasione russa?
A rilento
Il processo negoziale tra Russia e Stati Uniti procede a rilento, come prevedibile. Il Cremlino intende massimizzare il proprio vantaggio sul campo, in modo da ottenere il più possibile al tavolo delle trattative. Così, mentre la mediazione americana per giungere a un cessate il fuoco non sta producendo risultati, le bombe continuano a cadere in Ucraina – l’attacco che ha colpito il centro della città di Sumy il 13 aprile scorso, nella Domenica delle Palme, uccidendo almeno 36 persone e ferendone 119, tra cui due bambini, è solo l’ultimo in ordine di tempo. Una strage dai contorni poco chiari, poiché è lecito domandarsi perché organizzare una cerimonia militare per la consegna di medaglie proprio in una città così vulnerabile, a due passi dal fronte, e a rischio di attacchi missilistici russi. L’attacco segna il ritorno a carneficine in cui lo sconcertante numero di vittime palesa sia la debolezza ucraina, sia la rinnovata pressione russa, mostrando al contempo l’indifferenza americana – il presidente americano, Donald Trump, ha minimizzato l’accaduto.
Trump non ha le carte in mano
Lo stesso Trump continua a minacciare sanzioni e tariffe commerciali alla Russia per spingerla a compiere un passo avanti, ma la strategia non funziona per una semplice ragione: sono gli Stati Uniti a voler uscire dal conflitto, e non viceversa. E per quanto al Cremlino possa far comodo trovare un punto di caduta comune, e mettere fine al conflitto, ha ancora il tempo dalla sua parte. Washington invece ha fretta di portare a casa un accordo per lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine che, per come è stato fin qui proposto, rappresenterebbe una sorta di protettorato economico americano sulle risorse naturali del Paese. Un accordo siffatto basterebbe a far cantare vittoria alla Casa Bianca e sarebbe, unitamente alla concessioni territoriali, il sigillo su quella che alla fine dei conti altro non sarebbe che l’ennesimo, criminale, rapace, esempio di proxy war. In merito alle concessioni territoriali, Trump – che è già arrivato ad ammettere la possibilità di dichiarare russa la Crimea – è prontissimo a discutere le richieste di Vladimir Putin, vale a dire il controllo degli oblast’ occupati mentre si discute sulla sorte di Odessa, Kharkiv e della centrale di Zaporižžja – che gli USA vorrebbero tenere per sé. La verità è che Trump non ha le carte in mano, e deve giocare di rimessa cercando di non perderci la faccia e continuando a recitare il ruolo del mediatore, mentre è parte in causa – e pure la parte più debole.
I punti di Mosca
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato in un’intervista alla rivista francese Le Point, pubblicata il 23 aprile, che gli obiettivi di guerra della Russia non sono cambiati dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina e che la Russia raggiungerà questi obiettivi “pacificamente o militarmente”. Uno di questi obiettivi è “la rimozione dell’attuale governo ucraino”. Il segretario del Consiglio di Sicurezza russo, Sergei Shoigu, ha dichiarato in un’intervista all’agenzia stampa del Cremlino TASS, pubblicata il 24 aprile, che il Cremlino è “pronto a un cessate il fuoco, a una tregua e a colloqui di pace”, ma solo se ci sarà un cambio di regime in Ucraina, la smilitarizzazione dell’esercito ucraino, la neutralità dell’Ucraina e la cessione alla Russia tutti i territori illegalmente annessi nelle oblast di Luhansk, Donetsk, Zaporižžja e Kherson. Nelle ultime ore l’esercito russo è avanzato nella regione di Donec’k, occupando alcuni villaggi intorno Pokrovsk e Toretsk. e sono avanzate negli oblast’ di Kharkiv (a nord di Kupiansk) e in quello di Luhansk. Nei giorni scorsi, attacchi missilistici sono stati compiuti a Dnipro, uccidendo tre persone, e Kharkiv, dove alcuni droni hanno colpito un condominio uccidendo una persona e ferendone più di cento.
Europa divisa
Intanto gli europei si battono il petto, si costernano, s’indignano, pronti a gettare la spugna con gran dignità. La “coalizione dei volenterosi“, messa in piedi da Londra e Parigi, è già divisa al sua interno tra coloro che vorrebbero fornire a Kiev le garanzie militari richieste e quelli che si oppongono a qualsiasi intervento diretto nel contesto ucraino. Il presidente francese, Emmanuel Macron, intende svolgere un ruolo di primo piano all’interno della “coalizione” e ha già parlato di estendere l’ombrello nucleare francese al resto d’Europa, di inviare truppe in territorio ucraino, di ripristinare il servizio di leva militare, perché “la Russia ci minaccia tutti“. Peccato che il piano europeo di finanziamento all’Ucraina – circa 40 miliardi – sia stato affondato proprio dalla Francia, sorda alle richieste di Kiev. Lo stesso piano, che la sua estensora, Kaja Kallas, alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, ha provato a riproporre in versione low cost, è stato infine cestinato dalla stessa presidente della Commissione Europea, Ursula von der Layen, impegnata a promuovere il suo ReArm Europe. Insomma, l’Europa procede divisa e ognuno ha la propria agenda: l’Ucraina è solo una bella scusa.
Una pace ingiusta
Le chiacchiere, però, stanno a zero. Nessuna forza di “rassicurazione” europea potrà essere mandata in Ucraina prima della fine del conflitto, poiché implicherebbe il coinvolgimento della NATO; né verrà inviata dopo, “a tutela della pace” – sempre citando Macron – in quanto non sappiamo quali saranno i contorni di quella pace. Sappiamo però che il Cremlino ha più volte ribadito di volere “la de-militarizzazione dell’Ucraina”. Insomma, i soliti conti senza l’oste. A cosa serve dunque soffiare sui venti di guerra proprio ora che si sta cercando di raggiungere una pacificazione? Si dirà che una pace fatta di mutilazioni territoriali è una pace ingiusta, e sta bene, ma allora perché le cancellerie europee hanno sempre mandato le armi con il contagocce? Perché affossare il piano Kallas?
L’impressione è che alcune piccole potenze – Francia, Gran Bretagna, Germania – vogliano affrontare il proprio declino politico e la propria crisi economica buttandosi sul militarismo e sull’industria degli armamenti. La minaccia russa è un pretesto, a meno che non si voglia davvero credere che un Paese enorme e spopolato, con un esercito affaticato da una guerra logorante e un’economia provata da tre anni di guerra, abbia la forza di marciare su Varsavia, Tallinn o Riga – superando il muro missilistico americano di Redzikowo e le forze NATO nel Baltico.
Nei passati tre anni ci siamo sentiti dire e ripetere che la pace in Ucraina doveva necessariamente passare per un ritiro delle truppe russe dai territori occupati. Ora che questo si dimostra impossibile, quale prospettiva ha realmente da offrire l’Occidente? Una pace ingiusta sembra l’unica prospettiva rimasta. Oppure si vuole davvero una guerra? Tertium non datur.
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Immagine CC – Sumy after Russian missile strike, 13 April 2025 / ДСНС України