Turchia e Israele

TURCHIA: Il futuro dei rapporti tra Tel Aviv e Ankara passa da Damasco

“Fomentando le affiliazioni etniche e religiose in Siria e incitando le minoranze contro il governo, stanno cercando di indebolire la rivoluzione dell’8 dicembre”.
Con queste parole lo scorso 11 aprile il presidente turco Erdoğan si è rivolto allo Stato di Israele, in occasione di un forum tenutosi nella città di Antalya in cui era presente anche Ahmad al-Shara’, l’attuale presidente ad interim della Siria. Il forum si è tenuto quasi in concomitanza con degli incontri avvenuti a Baku tra delle delegazioni turche e israeliane, i primi dopo il 7 ottobre 2023. Nella capitale azera, la Siria è stato l’argomento cardine dell’incontro turco-israeliano: ad oggi, il futuro dei rapporti tra Tel Aviv e Ankara passa necessariamente da Damasco.

L’incontro di Baku e le due visioni

Il ministro della difesa turco, Yaşar Güler, ha affermato che l’incontro tra le due delegazioni aveva l’obiettivo di discutere della creazione di un meccanismo volto ad evitare possibili incidenti indesiderati negli scenari futuri. D’altronde, il terreno siriano rischia di diventare un potenziale punto di scontro tra Ankara e Tel Aviv. Se, con la caduta di Assad, il presidente turco Erdoğan ha conseguito il raggiungimento di un obiettivo geopolitico a lungo perseguito e Netanyahu ha visto la fine di uno storico membro dell’asse della resistenza a guida iraniana, il futuro potrebbe essere meno conciliante per i due Paesi.

Nei giorni successivi alla caduta di Damasco, Israele, temendo i nuovi padroni della Siria, ha provveduto a bombardare e distruggere all’incirca l’80% delle infrastrutture militari siriane, rendendo così il Paese militarmente inefficace. Israele ha poi approfittato del caos rivoluzionario per allargare la propria presenza in Siria, estendendosi ben oltre le Alture del Golan (la cui occupazione dal 1967 è ritenuta illegittima dall’ONU) e superando l’area cuscinetto della missione ONU “UNDOF”. D’altronde le alture del Golan godono di una posizione strategica che le rende indispensabili per lo Stato ebraico: se ad ovest permettono infatti il controllo su Tiberiade e parte della Galilea, ad est dominano una vasta parte della pianura siriana. In più, le alture del Golan sono tra i più grandi serbatoi idrici del Medio Oriente: le parole di Netanyahu – che ha affermato che questo territorio “farà parte di Israele per l’eternità” – assumono sotto questo aspetto una specifica rilevanza.

La Turchia, da parte sua, sicuramente non ha fatto mistero di aver gradito poco le continue incursioni militari israeliane sul territorio siriano. Fin dall’inizio delle rivolte anti-Assad nel 2011, infatti, Erdoğan si è posto l’obiettivo di destabilizzare la Siria con il fine di condurre il regime baathista alla sua fine: l’8 dicembre 2024 il Rais turco è riuscito a portare a termine l’obiettivo che si era posto ben tredici anni prima. Un avvenimento che ha colpito anche Donald Trump, che con la schiettezza che lo contraddistingue si è rivolto al presidente Turco affermando: “Congratulazioni, hai fatto ciò che nessuno era riuscito a fare in 2000 anni. Hai conquistato la Siria”. Con l’attuale governo reggente in Siria, Erdoğan non solo è riuscito a far passare Damasco sotto la propria sfera di influenza, ma ha rimosso l’influenza di Teheran, storico avversario di Ankara per il dominio sulla regione.

Se da un lato la caduta di Assad e una minor presenza iraniana possono aver portato vantaggio a Israele, gli attacchi di Tel Aviv hanno lanciato un messaggio molto chiaro: Ankara non deve superare la linea rossa. I rapporti tra Turchia e Israele hanno subito un costante deterioramento negli ultimi 18 mesi e la Siria rischia di diventare un luogo per saldare i conti tra i due Paesi.

Il nemico del mio nemico

Nonostante il leader curdo Öcalan abbia dato il via ad un processo di riconciliazione con il governo turco con la deposizione delle armi da parte del PKK, le forze democratiche siriane restano motivo di preoccupazione per la Turchia, al punto che Ankara sembra intenzionata a monitorare l’evoluzione dell’ultimo accordo stipulato con l’attuale governo siriano.
Qualora in futuro la situazione dovesse precipitare e le forze curde dovessero arrivare ad uno scontro con l’amministrazione centrale, vi è una buona probabilità che la tensione tra Turchia e Israele possa sfociare in uno scontro “per procura” sul territorio siriano.

Sotto questo aspetto, se sul fatto che Ankara continuerà ad appoggiare l’attuale governo siriano non dovrebbero esserci dubbi, il rapporto tra le forze curde e Tel Aviv presenta minori certezze e desta senz’altro maggior interesse. Lo Stato ebraico, storicamente, ha sempre tentato di far leva sulle minoranze di queste realtà, tra cui anche i curdi, con l’obiettivo di creare una rete di alleati in Paesi ostili. Qualora l’amministrazione autonoma curda finisse sotto il mirino di Damasco, la possibilità che Israele intervenga anche in un’ottica anti-turca non è così remota.

Nel frattempo, la proposta di svolgere il ruolo da mediatore tra Turchia e Israele è giunta dal presidente americano Donald Trump. Il tycoon, forte dei buoni rapporti sia con Erdogan che con Netanyahu, potrebbe effettivamente porsi come intermediario tra Ankara e Tel Aviv. D’altronde, nelle ultime settimane il presidente statunitense non ha proferito parola sull’arresto di Imamoglu e ha continuato ad appoggiare apertamente le azioni del governo israeliano sulla Striscia di Gaza: un inquilino perfetto alla Casa Bianca per Ankara e Tel Aviv.

 

Immagine: Agenzia Nova

Chi è Marco Pedone

Classe 1999, una Laurea Magistrale in "Lingue e Civiltà Orientali" e un Master di II livello in "Geopolitica e Sicurezza Globale" presso l'Università La Sapienza di Roma. Appassionato di Vicino Oriente, area MENA e sport.

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