Gli studenti serbi partiti in bici da Novi Sad il 3 aprile sono arrivati a Strasburgo per rompere il silenzio dell'Europa sulla situazione in Serbia

SERBIA: Gli studenti in bici arrivano a Strasburgo e rompono il silenzio europeo

Gli ottanta studenti serbi partiti in bici da Novi Sad il 3 aprile per denunciare gli eccessi del regime di Vučić sono arrivati martedì sera a Strasburgo dopo aver pedalato per 1.400 km circa. Al loro ingresso in città una folla festante li ha accolti per celebrare quello che, secondo gli eurodeputati presenti, è un gesto che rompe il silenzio europeo sulla situazione in Serbia.

L’arrivo degli studenti a Strasburgo

Quando sono entrati in città era già sera. Come in ogni tappa lungo l’EuroVelo 6, da Subotica a Budapest e Bratislava, toccando poi Vienna, Monaco e Stoccarda, anche per questa ultima manche del tour si è osservato il rituale delle tappe precedenti: tappeto rosso, champagne, striscioni, inni e una folla festante che grida all’unisono “Pumpaj!”, lo slogan-tormentone delle proteste in Serbia. Dopo 13 tappe in altrettanti giorni, macinando quotidianamente tra gli 80 e i 145 km, gli studenti-ciclisti sono finalmente approdati a Strasburgo come da programma, visibilmente stanchi ma felici. Le immagini dell’arrivo sono davvero emozionanti, così come emozionati sono i ciclisti, che hanno restituito tra abbracci e lacrime di gioia la consapevolezza di chi ha raggiunto un traguardo politico importantissimo.

Partiti nella mattinata di giovedì 3 aprile da Novi Sad, gli ottanta studenti hanno pedalato verso la Corte europea dei diritti dell’uomo, sfidando la pioggia e le basse temperature per mostrare alle istituzioni europee la “perseveranza e la dedizione” degli studenti nel chiedere giustizia, e per sensibilizzare l’Europa sull’importanza della lotta per la democrazia che da mesi sta interessando la Serbia e che ha già generato potenti cataclismi sociali e politici.

Una volta giunti a destinazione, la missione degli studenti non era però ancora terminata: mercoledì si è infatti svolto un incontro coi rappresentanti di diverse istituzioni europee per dare modo ai ragazzi di esprimere le proprie richieste e denunciare gli abusi di potere che violano la democrazia e lo stato di diritto in Serbia. Nell’incontro è stato spiegato nel dettaglio quanto accaduto il 15 marzo durante la maxi-protesta di Belgrado, con l’uso di un cannone sonico da parte della polizia per disperdere i manifestanti. Gli europarlamentari presenti hanno promesso di “bussare alla porta” di Ursula von der Leyen e di portare le richieste degli studenti al Parlamento europeo.

Le richieste degli studenti alla Corte europea dei diritti dell’uomo

I ragazzi hanno presentato la loro lettera con le relative richieste al Consiglio d’Europa (e al presidente francese Macron, che ha recentemente incontrato il presidente serbo Aleksandar Vučić): “Ci rivolgiamo a voi come giovani che hanno deciso, a causa dell’ingiustizia e della mancanza di dialogo nel nostro paese, di venire qui in bicicletta. La nostra missione è semplice, ma importante: viviamo in un paese in cui le istituzioni curano gli interessi di una cerchia ristretta di governanti, dove i media sono sotto pressione, le elezioni sono truccate e il pensiero critico è censurato. La Serbia ha bisogno del sostegno dell’Europa. Non chiediamo sanzioni, ma verità e responsabilità. Non siamo venuti qui per fuggire dalla Serbia, ma per farvi ritorno”.

I ragazzi hanno anche denunciato il clima di indifferenza dei media nazionali nei confronti del loro operato, troppo spesso snobbato o sminuito, ponendo al contempo l’attenzione sul controsenso che sta vivendo la Serbia, alle prese con i negoziati di adesione all’UE da una parte, e con una sostanziale regressione in termini di libertà democratiche e stato di diritto dall’altra.

Ovviamente è stata anche ribadita la volontà di richiamare l’attenzione sulla tragedia della stazione ferroviaria di Novi Sad del primo novembre scorso costata la vita a sedici persone, dalla quale ha avuto origine la feroce indignazione dell’opinione pubblica per la corruzione omicida che avvelena la Serbia, con la conseguente valanga di proteste oceaniche che si è abbattuta nel paese. Proteste che si sono gradualmente trasformate in un vero e proprio movimento nazionale.

Insomma, il fulcro della richiesta resta lo stesso: giustizia per le vittime di Novi Sad, stop alle pressioni e alle violenze del governo contro i manifestanti, pubblicazione immediata di tutti i documenti relativi ai lavori di costruzione e ristrutturazione della stazione ferroviaria. Le autorità affermano di aver reso pubblici tutti i documenti disponibili, ma i manifestanti hanno sempre respinto tali dichiarazioni.

I commenti della politica

La Commissaria europea per l’allargamento Marta Kos ha dichiarato che la Serbia va riportata sul “binario europeo“: grazie alla pressione esercitata a livello internazionale dalla storica impresa dei ciclisti serbi, la comunione d’intenti tra UE e manifestanti serbi è ormai evidente, dal momento che secondo la Commissaria Kos “quello che l’UE chiede alla Serbia per l’adesione corrisponde a ciò che chiedono i manifestanti“. In linea con quanto rivendicato dalle piazze serbe in rivolta da cinque mesi, Marta Kos ha ribadito l’improrogabilità delle questioni sullo stato di diritto e sulla lotta alla corruzione interna. 

Irena Joveva, eurodeputata liberale slovena presente a Strasburgo, ha definito “commovente” l’arrivo dei ciclisti in città, dando merito ai ragazzi di essere i primi depositari di un “messaggio di speranza fondamentale” non solo per la Serbia, ma per tutta l’Europa. L’eurodeputato croato Gordan Bosanac, del partito verde “Možemo!”, dopo aver sottolineato l’emozione “palpabile” provata dalla diaspora serba, ha poi ribadito il ruolo cruciale degli studenti: aver “rotto il silenzio” su ciò che sta accadendo in Serbia aiutando le istituzioni europee ad essere sempre più consapevoli della complessità della situazione interna nel paese. Una complessità che non va trattata solo come questione interna alla Serbia: lo tsunami sociale, politico e geopolitico che sta attraversando il paese balcanico non mette a repentaglio solo gli equilibri interni, ma anche quelli regionali ed europei.  

Nel frattempo il governo serbo ha nominato nuovo premier l’endocrinologo (senza alcuna esperienza politica) Djuro Macut, il quale ha recentemente dichiarato che la Serbia “è stanca di divisioni e blocchi”, dimostrando quindi una palese discrepanza con la richiesta di Marta Kos di esortare il nuovo governo ad appoggiare le riforme.

La Serbia deve scegliere il proprio futuro

Dal canto suo il presidente Aleksandar Vučić, dopo il raduno di fedelissimi dello scorso fine settimana nel quale è stata annunciata la creazione di un nuovo movimento politico filo-governativo, continua nel suo imperterrito rifiuto di riconoscere la realtà, abbagliato da una sete di potere che lo sta incartando in tutte le partite che gioca. La sua politica e quella dei suoi seguaci non cambia rotta, insistendo sul  doppiogiochismo degli ultimi tempi: se da un lato strizza l’occhio all’Europa trattando l’adesione della Serbia all’UE, dall’altro Vučić (insieme al leader separatista serbo-bosniaco Milorad Dodik) ribadisce un categorico no alle sanzioni a Mosca, continua a lasciare nel pantano la situazione con il Kosovo e impone al paese una classe dirigente impreparata e allo sbando. Nel frattempo le piazze si riempiono, l’opposizione cresce, e il paese si spacca.

La Serbia si trova ora alle prese con la sua scelta più difficile: decidere se continuare in questa specie di precarietà controllata che in qualche modo sembra sopravvivere nonostante tutto stia crollando, oppure se scrollarsi di dosso l’incertezza e stabilire finalmente quale direzione intraprendere per evolversi. I tempi sembrano maturi, per lo meno da parte della società civile. Tentennare ancora potrebbe essere pericoloso, perché il rischio di chi tentenna troppo è sempre lo stesso: a furia di temporeggiare, di non scegliere, la Serbia potrebbe finire per subire le scelte di altri

Foto: n1info.rs 

Chi è Paolo Garatti

Appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto a Sarajevo e Belgrado per qualche tempo. Laureato in Filologia moderna presso l'Università degli studi di Verona, viaggia da solo ed esplora l'Est principalmente in treno

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