E’ passato un mese e mezzo dalla sentenza di primo grado per Milorad Dodik, che ha da allora scatenato una crisi politica e costituzionale. Cosa ci dice questa crisi della salute della Bosnia Erzegovina? Ne hanno discusso Sead Turčalo, rettore della facoltà di scienze politiche dell’Università di Sarajevo, Tanja Topić, analista dell’ufficio FES Banja Luka, e Jasmin Hasanović, professore associato dell’università di Sarajevo, in un seminario online organizzato in collaborazione con l’Université Libre de Bruxelles.
Dodik punta a soffocare e svuotare la sovranità della Bosnia Erzegovina
“La sentenza di primo grado per Dodik è stato l’innesco ma non la causa” della crisi, secondo Sead Turčalo. “Si tratta di una escalation deliberata, e presentata come una reazione. Da vent’anni, Dodik usa ogni crisi per diminuire la sovranità dello stato bosniaco, mettere alla prova la comunità internazionale, ed estrarre concessioni politiche altrimenti irraggiungibili.”
Dopo la sentenza, Dodik ha lanciato una campagna di provocazioni istituzionali, adottando leggi incostituzionali e mettendo al bando l’operato delle autorità statali di giustizia e polizia nella sua entità. “Ciò che conta non è l’assurdita legale di questi atti, ma la loro razionalità politica.” Dodik punta non a una rottura ma a “un lento e silenzioso soffocamento della sovranità della Bosnia Erzegovina” – un “secessionismo ibrido”, non dichiarato, secondo Turčalo, con la progressiva costruzione di uno stato-nello-stato tramite ostruzione e sabotaggio.
“Come già nel 2007, nel 2011, nel 2021: le azioni dello Stato o dell’OHR sono prese a pretesto dalla Republika Srpska per rispondere alzando la posta e richiedere, sotto ricatto, la rinegoziazione e lo smantellamento delle istituzioni statali. Ma l’offerta di negoziati è parte stessa dell’escalation, volta a creare l’illusione del dialogo, legittimando il presupposto che le competenze dello Stato siano negoziabili, normalizzando il relativismo costituzionale e svuotando la sovranità dello Stato.”
Il rischio, secondo Turčalo, è che la comunità internazionale cada nella trappola. “La mera gestione della crisi non garantisce la preservazione dello Stato. Siamo in una crisi della deterrenza. Ci devono essere consequenze per chi sabota le istituzioni. Per mantenere la propria sovranità, lo Stato deve smettere di negoziare il proprio stesso smantellamento.”
La soluzione è contro-intuitiva, afferma Turčalo. “Oggi le riforme richieste dall’integrazione europea rischiano di indebolire le istituzioni statali, che non riescono a metterle in atto, dimostrandosi deboli e vulnerabili agli attacchi di Dodik. Dobbiamo invece mettere in pausa l’integrazione europea, focalizzarci sul rafforzare le istituzioni, e riprendere e accelerare più avanti” il percorso verso l’Europa.
La sfida di Dodik ai poteri dello stato
Dodik conduce da decenni una politica del ricatto, secondo Tanja Topić. “E’ una secessione giuridica. Dodik ha usurpato i poteri dello Stato, ad esempio con la decisione di espellere una ministra tedesca in visita a Banja Luka. E’ un autocrate che afferma che l’UE sta cadendo a pezzi. Stiamo pagando caro l’approccio dell’UE alla stabilocrazia. Da vent’anni Dodik si basa sul separatismo, sulla narrativa Sarajevo, per i serbi, è terra straniera.”
Tre sono gli scenari possibili, secondo Topić. Nel primo, Dodik viene arrestato, dimostrando la forze delle istituzioni statali e dello stato di diritto. “Ma non sono così ottimista, le nostre istituzioni restano sotto il controllo dei partiti politici etnonazionalisti.” Nel secondo scenario, Dodik lascia il paese e si rifugia all’estero. Nel terzo scenario, i mandati d’arresto non vengono attuati, e si apre un dialogo politico che arriva ad alcune concessioni verso Dodik, col sostegno di Serbia, Ungheria, Russia e amministrazione Trump. “Se così fosse, la Bosnia Erzegovina ne uscirà sconfitta, e Dodik proseguirà verso la secessione”, conclude Topić.
Una strategia di nazionalismo postmoderno
Il caso di Dodik non è isolato, secondo Jasmin Hasanović. Si tratta dei risultati della disfunzione del sistema politico bosniaco. “Alcune fazioni bosgnacche stanno euforicamente chiedendo che si torni alla Costituzione pre-bellica del 1992, e proponendo che lo stato risponda come l’Azerbaigian verso il Nagorno Kabarakh, attaccando la Republika Srpska per farla tornare sotto la sovranità dello Stato.” Ma ciò sarebbe altamente controproducente, secondo Hasanović: “si convaliderebbe la narrazione di Dodik secondo cui è Sarajevo a causare l’escalation, mentre Dodik propone una ‘separazione pacifica’ che sa di non poter raggiungere senza un conflitto.”
Per Hasanović, Dodik sta riuscendo nel suo intento. Laddove le forze di polizia affermano che sia ‘troppo rischioso’ arrestare Dodik, è chiaro che il monopolio della forza è rotto. “I seri problemi di sovranità interna della Bosnia Erzegovina si allineano con la strategia di Dodik di ottenere una indipendenza di fatto della Republika Srpska all’interno dello Stato.”
Non un separatismo classico né una riunificazione tout court con la Serbia (entrambe impraticabili), quanto “la creazione graduale e capillare di legami speciali che espandono le strutture di uno Stato sul territorio di un altro Stato,” tramite iniziative quali l’Assemblea Pan-Serba, la Giornata dell’Unità dei Serbi, la Dichiarazione sulla protezione dei diritti del popolo serbo, tutte volte a impedire l’integrazione dei serbo-bosniaci nello Stato.
“Si tratta di un nazionalismo alternativo e postmoderno, non incentrato solo sul territorio, ma volto a unire le persone oltre i confini, indebolendo lo Stato. Ciò avviene tramite strutture di governance informali, parallele alle istituzioni ufficiali, e che le soppiantano nei territori sotto il proprio controllo,” conclude Hasanović.
Nel frattempo, il silenzio dell’Unione europea è assordante, secondo Hasanović. “Orban sostiene Dodik e la Croazia non vuole imporre sanzioni. Von der Leyen tratta Vučić come un partner e mediatore con Putin. L’UE non ha dato il suo sostegno nemmeno alle proteste degli studenti serbi. Le istituzioni UE sostengono i leader forti a scapito della democrazia, erodendo la fiducia dei cittadini [dei Balcani] nell’UE.”
Foto: Vasyatka1, CC BY-SA