Dopo oltre ottant’anni lo storico ponte Stari Savski Most (Vecchio Ponte Sava) a Belgrado, uno dei tanti ponti sull’omonimo fiume, verrà demolito tra le proteste dei cittadini.
Una demolizione pericolosa
Nonostante le proteste degli attivisti e il parere discordante di alcuni esperti, l’ottuagenario Stari Savski Most (Vecchio ponte Sava) a Belgrado verrà demolito, in ottemperanza alla relativa decisione governativa. Il Savski è uno dei tre ponti nel centro della capitale serba, insieme al ponte Branko e al Gazela, che collegano la città vecchia col quartiere di Novi Beograd, e che col tempo sono diventati simbolo della città. Questo trio rappresenta uno snodo essenziale per il traffico e il collegamento urbano, facendo circolare ogni giorno migliaia di persone. Non solo: il ponte Savski serviva anche il traffico tramviario, con tre linee di tram, oltre a quelle del bus urbano.
Già a partire dal 2016 e dal 2017 l’amministrazione comunale aveva decretato la demolizione del ponte per sostituirlo con uno più moderno e quindi più affine allo stile del controverso progetto Belgrade Waterfront, che sta plasmando drasticamente lo skyline della capitale (in quello che è stato definito un urbicidio) con nuovi scintillanti edifici, in una disneyficazione selvaggia e vagamente trash. Ma la demolizione del Savski Most si sarebbe resa necessaria anche alla luce del progetto Mali Metro (piccola metropolitana), con i sue due kilometri di tunnel che attraverseranno il ventre della città.
Marko Stojčić, responsabile della pianificazione urbana della città di Belgrado, ha chiesto ai suoi concittadini di avere fiducia e pazienza, assicurando che i lavori verranno effettuati nel più breve tempo possibile e nel migliore dei modi. Subito dopo però, in cerca di maggiori cautele, lo stesso Stojčić ha anche affermato che il cantiere sarà molto “impegnativo” proprio in virtù della sua stessa natura: da decenni non veniva infatti avviato un progetto di tali dimensioni.
Le proteste
Le proteste dei belgradesi non si sono fatte attendere; attraverso un comitato creato ad hoc, chiamato Most ostaje (il ponte resta), gli attivisti hanno organizzato una serie di manifestazioni dall’inizio della chiusura del ponte nel novembre 2024, dando luogo anche a incidenti occasionali con la polizia.
I rappresentanti di Most ostaje stanno protestando da mesi, opponendosi alla rimozione del ponte sicuri del fatto che la città di Belgrado non abbia adottato alcun nuovo piano urbanistico generale e che, in base a quello vigente del 2016, nessuno dei ponti sulla Sava deve essere demolito. Gli attivisti sono fermamente convinti che sarebbe una follia eliminare un ponte che convoglia un traffico così intenso in città. Ponte senza il quale gli ingorghi già enormi diventerebbero ancora più ingestibili.
Secondo Stamenka Stanković, professoressa alla Facoltà dei Trasporti e delle comunicazioni, se il Savski Most gestisce poco meno del “dieci per cento” del traffico urbano, è innegabile che la sua eliminazione porterebbe inevitabilmente i due ponti rimasti – Branko e Gazela – alla paralisi. Nell’ora di punta, solitamente dalle 18:00, l’imbottigliamento è spaventoso: uno studente dell’Università di Belgrado ha raccontato al quotidiano Vreme che sua madre ha percorso la tratta Smederevo-Belgrado (65 km) più velocemente di quanto lui abbia fatto da Dorćol a Zvezdara, due quartieri della capitale che distano più o meno 7 km. Insomma, Belgrado ha un disperato bisogno di costruire nuovi ponti, non di abbattere quelli esistenti.
Nonostante l’opposizione, il 20 novembre scorso è iniziata la rimozione di alcune parti del ponte sotto la supervisione della polizia, che ha arrestato due attivisti. Le immagini odierne del ponte mutilato, sezionato, e ridotto in blocchi fanno male al cuore. È questo il triste riflesso della grande vetrina scintillante voluta dal presidente Aleksandar Vučić per Belgrado: riscrivere la storia della capitale e del paese intero attraverso la demolizione, la distorsione, il revisionismo storico.
La storia del Savski Most
Per via della sua storia, il ponte ricopre un ruolo e un posto importanti nello skyline e nella memoria di Belgrado ed è considerato da molti cittadini uno dei simboli della città (come lo era il glorioso Hotel Yugoslavia, anch’esso fresco di demolizione).
Lungo 430 metri e largo 40, il vecchio Savski Most fu costruito nel 1942 durante l’occupazione nazista. Originariamente la costruzione del ponte era prevista sul fiume Tisa, vicino a Žabalj, in Vojvodina, ma i tedeschi cambiarono i piani dirottando la costruzione verso Belgrado. Grazie all’intervento di un professore, Miladin Zarić, il Savski Most fu l’unico grande ponte europeo a non essere demolito durante la ritirata tedesca: nell’ottobre del 1944 la Wehrmacht in ritirata progettò di minare e far saltare il ponte, ma Zarić, che viveva nei pressi del ponte, tenne d’occhio per giorni il punto in cui i tedeschi piazzavano gli esplosivi. Il 20 ottobre Zarić raggiunse il ponte e ne scongiurò l’esplosione, tagliando la miccia già accesa alle cariche pronte a esplodere. Il ponte riuscì a sopravvivere anche ai bombardamenti NATO durante le guerre jugoslave, ma non ha retto all’urto distruttivo della politica del presidente Vučić.
Il professor Zarić non poteva saper che un giorno, molti anni più tardi, i partiti al governo e quelli di opposizione avrebbero discusso sul destino del ponte che lui aveva salvato mettendo a repentaglio la propria vita. Sulla scia delle proteste studentesche che stanno infiammando la Serbia da oltre quattro mesi, sarebbe bello pensare che magari questa volta sia uno studente a salvare il ponte, raccogliendo così la lezione del prof. Zarić, attualizzandola. Ma lo stridìo assordante del ferro tranciato che rimbomba sulla Sava non lascia spazio a speranze.
Foto: Paolo Garatti