Il 25 marzo, Estonia, Lettonia e Lituania commemorano l’anniversario delle deportazioni russe nella storia, ricordando i 90.000 cittadini baltici che nel 1949 furono strappati dalle loro case e caricati su treni diretti in Siberia, dove molti trovarono la morte. A distanza di oltre settant’anni, la Russia torna a usare la minaccia della deportazione: una settimana fa, il presidente della Federazione Russa ha firmato un decreto che obbliga i cittadini delle zone occupate in Ucraina ad accettare la cittadinanza russa o ad abbandonare forzatamente i territori.
L’Operazione Priboj
Il 25 marzo 1949, l’URSS avviò l’Operazione Priboj, una deportazione di massa che colpì Estonia, Lettonia e Lituania. In tre giorni, 90.000 cittadini baltici furono strappati dalle loro case e inviati nei gulag siberiani. L’NKVD, con l’accusa di collaborazionismo o opposizione al regime, deportò contadini, intellettuali e intere famiglie. Il viaggio, in condizioni disumane, fu solo l’inizio di anni di sofferenze: freddo, fame e lavori forzati portarono alla morte migliaia di persone. L’operazione, parte della politica repressiva sovietica, mirava a spezzare la resistenza baltica e a consolidare il dominio di Mosca. Molti dei sopravvissuti poterono tornare solo dopo la morte di Stalin, trovando però le loro terre trasformate e la loro identità minacciata. Oggi, Estonia, Lettonia e Lituania commemorano l’evento come un simbolo della lotta per la libertà e la memoria storica contro le atrocità del totalitarismo.
In Russia si è firmato un nuovo decreto che sancisce la deportazione
Settantasei anni dopo l’Operazione Priboj, il 20 marzo 2025, la Russia torna a ricorrere alla coercizione dell’identità nazionale. Il presidente della Federazione Russa ha firmato un decreto intitolato: “Sulle specificità dello status giuridico di alcune categorie di cittadini stranieri e apolidi nella Federazione Russa, modificando e riconoscendo come non validi alcuni decreti del Presidente della Federazione Russa.” Il provvedimento impone ai cittadini ucraini residenti nei territori occupati di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk di ottenere la cittadinanza russa entro il 10 settembre 2025. Chi si rifiuta, dopo 90 giorni, sarà soggetto a espulsione forzata. Questa imposizione rientra nella lunga storia delle deportazioni russe, una strategia volta a cancellare identità nazionali e spegnere ogni forma di resistenza culturale.
Non è la stessa cosa, ma il metodo è lo stesso
Le deportazioni staliniste rientrano tra i più grandi crimini della storia dell’umanità. Furono operazioni di ingegneria sociale violenta, progettate per annientare intere culture, distruggere il tessuto sociale e spezzare qualsiasi forma di resistenza nazionale. Intere popolazioni vennero sradicate dalle loro terre, marchiate come “nemiche del popolo” e costrette a vivere in condizioni disumane nei gulag o nelle colonie di reinsediamento.
Quanto accade oggi in Ucraina non è paragonabile nella portata e nella brutalità, ma il modus operandi rimane inquietantemente simile. La Russia continua a utilizzare l’arma della deportazione per eliminare gli elementi considerati scomodi e rafforzare il proprio controllo sui territori occupati. La coercizione dell’identità, attraverso l’imposizione della cittadinanza russa o la minaccia dell’esilio, è una tattica già vista nella storia sovietica, volta a cancellare la memoria culturale e sostituirla con un’adesione forzata al regime. Oggi, come allora, il messaggio è chiaro: chi non si piega viene cancellato.
La memoria come arma contro la storia che si ripete
Il 25 marzo ci ricorda che la memoria storica non è semplice nostalgia, ma uno strumento fondamentale per evitare che gli errori del passato si ripetano. Se i crimini di ieri non vengono riconosciuti e studiati, rischiamo di non saper riconoscere quelli di oggi. Mentre l’Europa discute di riarmo e difesa comune, un’arma altrettanto cruciale è la consapevolezza storica. Solo attraverso la memoria possiamo smascherare la propaganda, combattere l’indifferenza e rispondere con lucidità alle minacce che si ripresentano. Ricordare le deportazioni russe nella storia significa riconoscere i segnali del passato nel presente. Perché, alla fine, in questi tre anni la Russia ha fatto della memoria una delle sue armi più potenti.