Ucraina tregua

UCRAINA: Quale tregua? Un incontro a Trento

La Biblioteca Archivio del CSSEO, in collaborazione con East Journal e la casa editrice Morcelliana Scholé, organizza a Trento, nella “Sala conferenze” della Fondazione Caritro (Via Calepina 1), mercoledì 19 marzo 2025, alle ore 17,30, l’incontro dibattito Ucraina. La tregua: “Si, ma…” e la presentazione di La Guerra d’indipendenza ucraina. Come il conflitto ha cambiato il paese (2014-2024). Intervengono Fernando Orlandi e Matteo Zola.

L’incontro-dibattito può anche essere seguito on-line sulla piattaforma Zoom al seguente link:
https://us02web.zoom.us/j/86523674491

Si parla molto di pace in Ucraina, a parole sembra a portata di mano. Se la Russia di Vladimir Putin volesse la pace, sarebbe abbastanza semplice: il presidente, come il 24 febbraio 2022 diede l’ordine di attaccare uno stato indipendente al quale, in base ai trattati sottoscritti da Mosca, doveva tutelare l’indipendenza, può ordinare alle sue truppe di cessare il massacro di una nazione e la sistematica distruzione di un paese. Ma, a quanto pare, “pace” al Cremlino si declina altrimenti. Steve Witkoff, il nuovo inviato personale di Trump a Mosca, in sostituzione del generale Keith Kellogg, inviso al Cremlino, giovedì scorso si è incontrato con Putin. Trump ha manifestato un certo ottimismo: “Stiamo trattando e penso stia andando ragionevolmente bene”. Vedremo a cosa porterà l’annunciata telefonata tra Putin e Trump.

La seconda elezione di Donald Trump ha portato a un radicale sconvolgimento nella scena internazionale. Il nuovo presidente cerca anche di mantenere gli impegni assunti verso i suoi elettori: aveva detto che se fosse stato lui alla Casa Bianca nel 2022 la guerra non sarebbe scoppiata. Aveva detto che in due giorni avrebbe fatto cessare i combattimenti.

Ha detto molte cose Trump, anche che l’Ucraina sarebbe stata colpevole dell’aggressione. Ha pure organizzato, lo scorso 28 febbraio, assieme al suo vicepresidente James Vance, quella che ha chiamato “grande televisione”, ma che in realtà altro non è stata che una brutale imboscata al presidente Volodymyr Zelens’kyj. Questa vicenda, unitamente a cento altri episodi dello straordinario attivismo della sua Amministrazione, segnata da una strabordante “diplomazia” aggressivo-predatoria e mercatilistica, ha contribuito a dare la sveglia alla “vecchia Europa”. In meno di due mesi Trump ha sovvertito le consolidate linee di condotta della politica estera di Washington. Ma ha anche traumatizzato gli storici alleati degli USA, lasciandoli quasi inebettiti e afasici.

Si così è aperta una pagina nuova nei rapporti transatlantici. Il premier britannico Keir Starmer sabato ha radunato una larga “coalizione di volenterosi”: 29 stati che percepiscono il vuoto di sicurezza che si sta creando, perché pur di essere “first”, l’America di Trump è disposta a mettersi contro tutti, anche i suoi storici alleati, divenuti “cattivi”. Una fonte militare riportata ieri dal Sunday Times ha informato che 35 paesi hanno concordato di fornire all’Ucraina armi, logistica e intelligence, al fine di impedire a Putin di riprendere l’offensiva nel futuro. Inoltre, Starmer lavora alla costituzione di un contingente di peacekeeping e giovedì prossimo ha convocato una riunione operativa dei “volenterosi”.

Assai più lentamente si muove l’UE. Kaja Kallas, l’Alto rappresentante per la politica estera, proporrà ai ministri degli Esteri di approvare un piano da 40 miliardi di euro per fornire aiuti militari urgenti all’Ucraina. L’iniziativa tiene conto del possibile disimpegno di Washington dall’Ucraina e riveste un duplice obiettivo: consentire a Zelens’kyj di rifiutare un cattivo accordo imposto da Trump e Putin e rafforzare con grande urgenza Kyïv sul piano militare anche in caso di accordo di pace. I 40 miliardi equivalgono al valore dell’aiuto militare fornito lo scorso anno da americani ed europei. Purtroppo francesi e italiani stanno ostacolando il progetto, rifiutando la ripartizione dei contributi secondo l’usuale modalità impiegata per i contributi nazionali al bilancio comunitario, ovvero sulla base del Reddito nazionale lordo.

L’Italia, inoltre, sconta le difficoltà interne alla maggioranza di governo, e per questo lo rallenta ulteriormente cercando di ottenere tempo. Le posizioni di Parigi e ancora di più quella di Roma hanno creato “malumore” in molte cancellerie europee e costretto Kallas a modificare l’iniziale progetto: quello che era un “obbligo” diventerà un “invito”. Per evitare veti à la Viktor Orbán, l’adesione avverrà su base volontaria, una sorta di altra “coalizione di volenterosi”, di fatto fuori dalle strutture dell’UE. Una volta data l’adesione, il piano diventa “politicamente vincolante per i firmatari”. Ciò che doveva servire ad aiutare Volodymyr Zelens’kyj nei negoziati in corso con Stati Uniti e Russia rischia di vanificarsi. Ogni ritardo indebolisce non solo l’esercito ucraino sul campo di battaglia, ma anche Zelens’kyj al tavolo della trattativa.

Stiamo forse assistendo al costituirsi di un fronte internazionale del no a Trump; una coalizione, attenzione, che nasce non contro il presidente americano. Preserva la visione di alleanza e partnership con Washington. Ma si muove seguendo i propri interessi, dall’Ucraina ai dazi, esattamente come agisce Washington, non accettando ciò che vorrebbe imporre alla comunità internazionale.

Zelens’kyj ha accettato la tregua chiesta da Washington, ma Putin no. Si è lanciato in un circonvoluto e fumoso giro di parole per dire, dopo avere ringraziato e lusingato Trump per l’impegno per la pace: “Si, ma…”. Non potendo respingere la proposta americana, ha recitato un classico della “diplomazia” sovietica: “Siamo a favore, ma ci sono delle sfumature” da risolvere. Aggiungendo: “Concordiamo con le proposte per porre fine alle ostilità, ma devono essere tali da portare a una pace duratura ed eliminare le cause iniziali del conflitto”. Ha quindi preso tempo, anche perché Mosca e Washington in questi giorni discutono molti dossier di primario interesse per il Cremlino, che di fatto riporterebbero la Russia di Putin tra le nazioni civili. Nel corso della conferenza stampa in cui Putin era affiancato dal bielorusso Alyaksandr Lukashenka, ha detto che per accettare la proposta di cessate il fuoco vuole delle rassicurazioni.

Anche per l’interruzione delle forniture statunitensi di intelligence e armamenti, come ha riconosciuto lo stesso Zelens’kyj, la situazione dell’Ucraina si è fatta più difficile sul campo di battaglia e il “dialogo” tra Mosca e Washington sulla testa degli ucraini, con l’urgenza di Trump di intestarsi “una pace”, può avere per Kyïv degli esiti imprevisti.

Una cosa, purtroppo, resta certa, anche alle luce delle recenti dichiarazioni di Putin e del suo portavoce Dmitrii Peskov, e del ministro degli Esteri Sergei Lavrov: quello che il Cremlino chiede è l’asservimento del paese, la sua demilitarizzazione, nessun futuro accesso alla NATO. Con l’aggiunta del riconoscimento dell’annessione illegale delle regioni di Donets’k, Luhans’k, Zaporizhzhya e Kherson (peraltro neppure controllate) dalla Russia.

Putin chiede “garanzie” a Kyïv e Washington, ma non ne offre nessuna. Non si deve dimenticare che la Russia, oltre ad essere l’aggressore, ha sistematicamente violato diversi trattati sottoscritti e pure, per quanto riguarda l’Ucraina, non solo il Memorandum di Budapest ma pure gli Accordi di Minsk.

Non solo Putin non offre garanzie di sorta, ma Mosca sta costruendo velocemente una grande autostrada e una linea ferroviaria che collegano territori e città ucraine occupate alla Russia, destinate a rafforzare le capacità di trasporto militare nella eventualità di una futura offensiva nell’Ucraina meridionale. Non a caso, recentemente Putin ha affermato che la “Novorossiya” è parte integrale della Russia e il suo portavoce Peskov ha definito la “Novorossiya” come l’Ucraina orientale e meridionale, comprese le regioni di Dnipro, Kharkiv, Mykolaïv e Odesa. Qualsiasi cosa possa accadere è difficile che l’Ucraina e il suo popolo possano riconoscere i territori occupati come russi.

È invece possibile che il “Si, ma…” di Putin porti a richieste inaccettabili per l’Ucraina ma ammissibili per Trump. Una negoziazione perfetta “alla sovietica”, destinata a scaricare su Zelens’kyj la responsabilità di un eventuale fallimento del negoziato.

Discuteremo della corrente situazione, in vertiginosa accelerazione, nell’incontro-dibattito che si terrà mercoledì 19 marzo nella Sala conferenze della Fondazione Caritro di Trento (Via Calepina 1) alle ore 17,30.
Nel corso dell’incontro verrà anche presentato il recente La Guerra d’indipendenza ucraina. Come il conflitto ha cambiato il Paese (2014-2024) (Scholé, 2025).

Chi è redazione

East Journal nasce il 15 marzo 2010, dal 2011 è testata registrata. La redazione è composta da giovani ricercatori e giornalisti, coadiuvati da reporter d'esperienza, storici e accademici. Gli articoli a firma di "redazione" sono pubblicati e curati dalla redazione, scritti a più mani o da collaboratori esterni (in tal caso il nome dell'autore è indicato nel corpo del testo), oppure da autori che hanno scelto l'anonimato.

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