L’abbattimento dell’aereo azero causato dal sistema di difesa russo mette in discussione il pragmatismo storico di Baku verso il Cremlino. Il leader ceceno contribuisce positivamente al ripristino del dialogo.
Dagli eventi del ‘gennaio nero’ 1990, i rapporti fra Mosca e Baku sono stati storicamente altalenanti, espressione delle contraddizioni a cui un piccolo stato come l’Azerbaijan deve necessariamente cedere quando si confronta con una potenza asimmetricamente superiore. Eppure, l’abbattimento accidentale dell’aereo passeggeri azero causato dal sistema di difesa aereo russo, mette oggi Baku in una posizione difficile da bilanciare. Fra il risentimento interno e considerazioni economiche e politiche, il governo azero manda segnali di sfida a Mosca e sembra mettere in discussione lo storico pragmatismo che ha definito i rapporti fra i due stati.
Cooperazione e contenimento
La politica estera dell’Azerbaijan, da quando è in mano agli Aliyev – padre e figlio –, si fonda quasi esclusivamente su fattori materiali, facendosi profondamente pragmatica e combinando attentamente cooperazione e contenimento. Potendo contare su una mano fortunatissima in risorse energetiche, lo stato caucasico ha infatti puntato sulle politiche di export energetico come elementi integrali della propria politica estera, oltre che come strumento per il mantenimento di una piena indipendenza e sovranità rispetto gli ingombranti vicini.
Sul versante del contenimento, la Repubblica azera ha adottato una politica estera dichiaratamente “bilanciata e multivettoriale” e lo ha fatto attraverso la realizzazione di una rete di transito energetico che contemporaneamente smarcasse Mosca dalla sua posizione privilegiata di paese di transito, e garantisse vie alternative a Baku per accedere al mercato europeo. Ne sono risultato le “rotte petrolifere verso l’Occidente”, inaugurate nel 1994 con il “contratto del secolo”, e proseguite con i successivi gasdotti che collegano Baku con Ceyhan (BTC, 2006), e con l’Europa meridionale (TAP e TANAP, 2020).
In tema di cooperazione, invece, l’Azerbaijan non ha, finora, disprezzato il – più o meno soft – power esercitato dal Cremlino nel territorio della Repubblica. Anche in virtù del proprio passato sovietico, iniziative linguistiche e culturali, e strategie politiche hanno definito il grado di cooperazione fra i due paesi: dall’ingresso dell’Azerbaijan nel Commonwealth degli Stati Indipendenti (CIS) nel 1993, ai piani di azione del 2018 e l’alleanza militare del 2022.
Rispetto a quest’ultima, in particolare, i rapporti fra Baku e Mosca sembravano stringersi in quella che era state definita una “gestione dei conflitti autoritaria”. Un’alleanza che si è rivelata ancor più logica durante la seconda guerra del Karabakh, alla luce del silenzio delle forze di peacekeeping russe rispetto alle operazioni azere sul territorio del Karabakh, e dell’interesse azero nel mantenerle attive contando su una fase negoziale successiva che si svolgesse fra attori autoritari, piuttosto che occidentali o internazionali.
Tuttavia, l’alleanza si era già dimostrata problematica, e gli eventi di dicembre 2024 non hanno fatto che minare ancor di più questa rinnovata – e fragile -cooperazione.
Il pomo della discordia
Il 25 dicembre 2024, l’aereo del volo J2-8243 della Azerbaijani airlines (AZAL) con tratta Baku-Grozny, nel tentare un atterraggio di emergenza, finisce per schiantarsi tragicamente nelle vicinanze di Aqtau – nel Kazakhstan occidentale – causando la morte di 38 dei 67 passeggeri.
In un primo momento le cause rimangono incerte, ma con l’avanzare delle indagini diventa sempre più evidente come la causa dell’incidente fosse legata al sistema di difesa russo, che in quel momento lavorava a pieno regime per far fronte agli attacchi di droni ucraini che contemporaneamente colpivano il Caucaso settentrionale. La responsabilità russa sarà poi confermata dal ritrovamento di frammenti di un missile pantsir-S – di proprietà russa- sul luogo dello schianto.
Da questo momento, le autorità russe commentano gli sviluppi con una certa lentezza ed evasività, di cui il tiepido rammarico di Putin “per il fatto che l’incidente sia avvenuto nello spazio aereo russo” è indicativo. Una mancata presa di responsabilità che ha lasciato il popolo azero e il suo leader ben poco soddisfatti. Quest’ultimo dichiarerà infatti che “ci saremmo aspettati che la Russia si prendesse pubblicamente la responsabilità per aver abbattuto l’aereo e che risarcisse le vittime. Invece, per i tre giorni successivi allo schianto non abbiamo sentito nulla da parte russa, se non versioni assurde”; anzi, continua Aliyev “Siamo stati testimoni di tentativi di insabbiare l’incidente”.
Le tensioni fra i due paesi aumentano, e il 6 febbraio il ministero degli esteri azero mette fine a tutte le attività di Russkij mir e Rosotrudnichestvo nel territorio della Repubblica, arrivando, secondo alcune fonti, a considerare di introdurre sanzioni contro Mosca.
Di fronte a questo scenario, gli analisti si sono divisi fra chi vede nell’incidente un’occasione per Aliyev per uscire finalmente dall’ombra del padre e sfidare il Cremlino riuscendo contemporaneamente a consolidare la propria legittimità interna e mostrarsi capace di tener testa a Mosca sul piano internazionale. E chi, invece, anche alla luce del precedente russo-turco – quando fu Erdogan a doversi scusare con Putin per un simile incidente– vede la reticenza di Putin come parte di un piano più ampio per seminare caos nel Caucaso meridionale e mantenere la propria influenza.
Kadyrov risolve la crisi?
Un’eventuale escalation delle tensioni, oltre che poco probabile, non converrebbe però a nessuno. Sia Mosca che Baku avrebbero troppo da perdere, e l’occasione per superare l’impasse la offre – a sorpresa – Ramzan Kadyrov, leader della Cecenia, da dove è stato lanciato il missile della discordia. Kadyrov, a inizio marzo, ha insignito della medaglia al valore i due membri dell’equipaggio sopravvissuti all’incidente, e annunciato l’installazione nella capitale cecena di una placca commemorativa alle vittime dell’incidente. Un gesto che è stato accolto di buon grado dal governo azero che accetta “anche se in ritardo” cogliendo l’occasione per far sapere di essere a conoscenza del mancato coinvolgimento delle autorità cecene rispetto all’incidente.
Un’assoluzione che si rivela fondamentale. Infatti, considerati i delicati equilibri fra il Cremlino e Grozny, Putin non avrebbe potuto facilmente attribuire la colpa ai ceceni né costringere Kadyrov a individuare dei capri espiatori da punire per risolvere la crisi, riducendo le possibilità di manovra per il Cremlino. Così, invece, Putin potrebbe facilmente smentire chi lo accusa di voler artificialmente aumentare le tensioni nella regione, e sciogliere la crisi in poche mosse, permettendo a tutti di voltare pagina. Se è quello che vuole.