Di Fabrizio Polacco
L’incontro-scontro dialettico tra Trump/Vance da una parte e Zelenskyy dall’altra, simile a una partita di tennis giocata da un ‘doppio’ tennistico da una parte, e da un ‘singolo’ dall’altra della rete, è emblematico e, probabilmente – ahinoi – epocale. Emblematico perché ha fatto cadere in modo plateale e in diretta televisiva la maschera di buoni propositi e di nobili principi che, da che mondo è mondo, ogni potere di tipo imperiale, o aspirante tale, utilizza per ingannare, sedurre, blandire chi vuole ridurre in suo potere.
I Meli e Atene
Ignoro se qualcuno dei protagonisti avesse familiarità con le pagine di Tucidide – lo storico ateniese che raccontò in maniera esemplare le vicende del conflitto tra Sparta ed Atene: a occhio e croce direi che i due statunitensi non lo abbiano mai sentito nominare, mentre ho qualche dubbio su Zelenskyy. Ed è un peccato, perché, sia pure ad un livello di bon ton ed intellettualmente più basso, i tre ci hanno dato una interpretazione moderna di una delle scene più significative e fatali della storia greca: quella del dialogo tra i Meli e gli Ateniesi, in una fase decisiva della guerra del Peloponneso. I Meli, da una parte, erano piccoli (gli abitanti antichi dell’isola egea oggi chiamata Milo: sì, quella della ‘Venere’), gli Ateniesi grandi (avevano più abitanti di ogni altra città-stato greca); i Meli erano deboli (e fuori da ogni alleanza militare), gli Ateniesi erano strapotenti e a capo di un’alleanza-impero che dominava i mari e aveva sconfitto più volte i Persiani in passato. I rappresentanti Ateniesi erano venuti sull’isola pretendendo che la neutrale Melo si assoggettasse al loro volere, cadendo di fatto in mano loro, e offrivano in cambio la propria ‘protezione’. Da chi? Ma dagli Ateniesi stessi, perbacco, che l’avrebbero assalita e distrutta se non avesse ubbidito. Quindi erano dalla parte del torto. I Meli, timorosi e sbigottiti, protestavano la propria innocenza poiché mai avevano né avrebbero fatto nulla di ostile contro gli Ateniesi, e non capivano in che modo quel loro essere neutrali e militarmente inermi avrebbe potuto danneggiare gli interlocutori. Erano, quindi, dalla parte della ragione.
Ma proprio in quell’occasione, come nello Studio Ovale di Washington, i rappresentanti della democratica Atene, la città che aveva liberato l’Ellade dalla minaccia persiana e costituito un’alleanza a quel fine con le altre poleis del mar Egeo, gettarono la maschera di quella che ormai era diventato un vero e proprio dominio sugli altri Greci. Dissero che, indipendentemente dal torto o dalla ragione reciproche, al di là dei principi di libertà sempre sbandierati dalla superpotenza attica – ma anche contro ogni regola diplomatica e perfino contro la volontà, se esistevano, degli dei – ad essi semplicemente tornava utile che Melo si assoggettasse. E se ciò ai Meli non conveniva, nulla importava: non avevano nessuna carta da giocare, erano infinitamente più deboli, e, se si fossero rifiutati, avrebbero causato la propria rovina.
Inutile ricordare qui l’esito immediato della vicenda – chiunque volesse rinfrescarsi la memoria potrà andare a rileggere quelle pagine del libro V delle ‘Storie’ di Tucidide -, poiché quel che soprattutto interessa è la conclusione più a lungo termine degli eventi. Alla fine, infatti, Atene, perderà disastrosamente la guerra a oltranza con Sparta, sebbene avesse frattempo provato, con un voltafaccia clamoroso, ad allearsi contro di essa con il nemico storico di tutti i Greci, la Persia. E perderà sia per cause interne – la sperimentale, ardita democrazia ateniese fu fiaccata dai continui cambi di politica estera e dall’ascesa dei cosiddetti ‘democratici radicali‘: per certi versi i populisti di allora –, sia per cause esterne: gli Ateniesi si erano via via trasformati, dopo le guerre di ‘liberazione’ contro la Persia, da leader a padroni assoluti dell’alleanza costituita con le altre poleis dell’Egeo, traendone risorse e ricchezze per una politica divenuta ormai imperiale (ma anche, ad esempio, per erigere la splendida Acropoli che oggi tutti ammiriamo).
Tucidide, Washington e Bruxelles
Ma che cosa aveva reso possibile questa trasformazione di Atene da liberatrice a tiranna? È a questo punto delle ‘Storie’ che i leader dell’Unione Europea e dei singoli Stati che si riuniscono a Bruxelles o altrove per valutare il da farsi, dovrebbero aguzzare gli occhi e drizzare le orecchie. Tucidide descrive come gradualmente gli alleati della potente Atene trovarono più conveniente, più economico, meno sgradito ai propri cittadini delegare alla città egemone dell’alleanza la difesa armata comune, contribuendo all’alleanza con risorse in definitiva assai minori di quelle che avrebbe comportato la creazione, la manutenzione e l’attività delle loro flotte ‘nazionali’, cioè delle singole città-stato.
Così Atene si trovò ad accrescere ancor di più il suo ruolo predominante, poiché i suoi armamenti e il potenziale bellico crescevano man mano che quello degli alleati quasi s’annullava. Finché, a un certo punto, coloro che avevano sacrificato le proprie capacità di autodifesa all’accrescimento del benessere interno scivolarono a poco a poco dal ruolo di alleati minori a quello di sudditi: inermi, e perciò ricattabili. Come direbbe qualcuno, erano rimasti senza ‘carte in mano’. I pochi che nel tempo provarono a ribellarsi furono puniti spietatamente. Come altrettanto spietatamente furono puniti i Meli poco dopo il dialogo di cui sopra.
Alla lunga, però (e questo invece dovrebbe far drizzare le orecchie a Washington), le poleis greche democratiche non trovarono più alcuna differenza tra l’essere dominate da Atene anziché da Sparta o dalla Persia, poiché gli ideali comuni erano venuti meno: ed episodi come quello dell’isoletta di Milo lo avevano fatto capire agli ultimi che ancora ci credevano. Atene cadde rovinosamente pochi anni dopo quel confronto narrato da Tucidide: per il progressivo sfilarsi degli alleati e per il voltafaccia dei Persiani che a quel punto non esitarono ad appoggiare nel conflitto l’illiberale Sparta, in fondo meno estranea e pericolosa per essi della ‘democratica’ Atene. E la democrazia, già in declino e in mano ai politici demagoghi di turno, si spense lentamente. Occorsero circa ventidue secoli perché dei governi in qualche modo liberali, se non ancora pienamente democratici, vedessero la luce dalle parti dell’Occidente.
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Foto: Dialogo dei Meli dal sito Treccani