Dodik

BOSNIA: La sfida di Dodik. Dopo il processo, è crisi politica

In seguito alla condanna emessa il 26 febbraio dal Tribunale statale della Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba del paese, ha promulgato delle leggi che hanno fortemente scosso i già precari equilibri interni, tanto da essere accusato dal governo centrale di “colpo di stato” e, dalla comunità internazionale, di minare l’ordine costituzionale, gettando il paese in una profonda crisi politica.

Verso una nuova instabilità

Il 26 febbraio il Tribunale statale della Bosnia-Erzegovina ha condannato Milorad Dodik a un anno di reclusione e a sei anni di interdizione dalla carica di presidente della RS a causa di alcune leggi promulgate nel 2023 che minavano l’autorità della Corte costituzionale statale e dell’Alto Rappresentante, Christian Schmidt. Dodik, che non riconosce tali istituzioni, ha reagito immediatamente: il 27 febbraio l’Assemblea della RS ha adottato dei decreti-legge il cui obiettivo è quello di impedire alle istituzioni statali di operare nel territorio della Republika Srpska.

Dodik, che più volte ha paventato la secessione, questa volta sembra più determinato che mai: il 5 marzo scorso ha controfirmato i decreti-legge, volti a impedire nell’entità le attività del Tribunale e della Procura statali, del Consiglio superiore della magistratura e dell’Agenzia statale per la sicurezza e la protezione (SIPA), l’unica forza di polizia centrale. Inoltre, il Parlamento della RS aveva già apportato modifiche al proprio codice penale che consentono di incriminare “qualsiasi serbo che continui a lavorare in queste istituzioni [statali]”. L’entrata in vigore era prevista per venerdì 7 marzo.

Definendo quello a suo carico come un “processo politico”, Milorad Dodik ha dichiarato: “Queste quattro leggi approvate dall’Assemblea Nazionale della RS restituiscono la soggettività e la giurisdizione costituzionale della RS, in un contesto di minaccia della competenza costituzionale della RS che dura da quasi 25 anni. Vogliamo fermare tutto ciò e riprenderci la RS”, sostenendo si tratti di un loro diritto.

Le risposte di Sarajevo e della comunità internazionale

Le azioni di Dodik hanno provocato immediate reazioni, sia a livello locale che internazionale. Il ministro degli esteri Dino Konakovic ha accusato Dodik di “colpo di stato” . Il ministro della difesa Zukan Helez ha invitato i cittadini alla calma, a non cadere nelle provocazioni di Dodik e ad avere fiducia nelle istituzioni.

Il membro bosgnacco della Presidenza tripartita Denis Bećirović ha sottolineato il ruolo cruciale della comunità internazionale nel garantire il rispetto degli Accordi di Dayton, sollecitando un rafforzamento della missione EUFOR e delle forze NATO già presenti sul territorio. Bećirović ha inoltre presentato ricorso alla Corte costituzionale contro le leggi adottate a Banja Luka, non appena controfirmate.

Anche la comunità internazionale è subito intervenuta: la Russia, sostenitrice di Dodik, ha richiesto per la sera del 6 marzo una seduta straordinaria a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per discutere della situazione. L’incontro, tuttavia, si è concluso senza una posizione ufficiale. I rappresentanti di Gran Bretagna, Grecia, Danimarca e Francia si sono dichiarati contrari alle posizioni russe.

Infine, secondo le istituzioni UE, le norme promulgate il 5 marzo minano l’ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina, oltre a rallentarne ulteriormente il processo di integrazione europea. La posizione è condivisa anche dal Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani e dal Segretario di Stato americano Marco Rubio. Secondo quanto dichiarato dalla congresswoman repubblicana Ann Wagner, l’amministrazione statunitense sta lavorando su come contrastare le mire secessioniste di Dodik.

Le ripercussioni interne

A livello locale, le leggi, entrate in vigore venerdì 7 marzo, hanno avuto effetti quasi immediati. La mattina stessa, i dipendenti della SIPA, hanno temporaneamente lasciato gli uffici di Banja Luka, capoluogo della RS, in seguito a notifica del direttore della Polizia della RS, Siniša Kostrešević, al direttore della SIPA, Darko Ćulum. Contemporaneamente, Emir Suljagić, il direttore del Centro Memoriale di Srebrenica, che si trova a Potočari, in territorio serbo-bosniaco, ne ha annunciato la chiusura temporanea per impossibilità di garantire la sicurezza di dipendenti e visitatori in un momento così delicato per il paese. La decisione, forse affrettata, rischia tuttavia di aumentare il panico nella popolazione e fare il gioco di Dodik.

Nel pomeriggio di venerdì, inoltre, il presidente della RS non si è presentato dopo esser stato nuovamente convocato dalla Procura statale come sospetto di eversione dell’ordine costituzionale – assenza per cui rischia nuovamente fino a cinque anni di carcere. Nelle stesse ore, la Corte costituzionale ha esaminato d’urgenza i provvedimenti adottati a Banja Luka, imponendone la sospensione fino a un giudizio di merito. Tuttavia, il fatto che Dodik e la RS non riconoscano l’autorità della Corte Costituzionale getta il paese in un’impasse politica.

Sempre venerdì pomeriggio, la missione militare europea EUFOR Althea ha annunciato l’attivazione temporanea delle forze di riserva, aumentando il contingente presente nel paese, come misura precauzionale per sostenere le autorità domestiche nel garantire sicurezza e stabilità a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina, secondo il mandato ONU.

La situazione resta dunque altamente instabile e nuovi sviluppi non sono da escludersi nei prossimi giorni. Ora ciò che conta è la capacità delle istituzioni centrali e della comunità internazionale di gestire questa nuova crisi politica con fermezza, garantendo l’integrità territoriale del paese e il rispetto degli Accordi di Dayton.

Fonte immagine: Ustavni Sud BiH

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