Stati Uniti Ucraina tradimento

Gli Stati Uniti hanno tradito Kiev, ma non è (tutta) colpa di Trump

Gli Stati Uniti hanno tradito l’Ucraina, lasciandola a metà strada e aprendo a una pace molto dolorosa. Ma non è tutta colpa di Trump…

 

Alla fine il misfatto si è compiuto, gli Stati Uniti hanno tradito l’Ucraina. Era prevedibile, e l’avevamo previsto. Ma il modo in cui è avvenuto, la sfacciataggine con cui Washington ha accusato Zelens’kyj di essere un dittatore, dichiarando illegittimo il suo governo e accusando Kiev di aver rubato denaro americano, ha stupito quella parte di opinione pubblica abituata al più paludato linguaggio delle amministrazioni democratiche. Tuttavia, l’operato di Trump si pone in continuità con la precedente amministrazione Biden. Già, perché gli americani non hanno mai voluto davvero vincere questa guerra. Ma andiamo con ordine.

Durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno concesso all’Ucraina sovvenzioni, prestiti e forniture a Kiev per un totale di 119,8 miliardi di dollari. Sembrano un sacco di soldi ma si tratta dello 0,4% del PIL americano. Gli Stati Uniti hanno speso cinque volte di più per la guerra in Iraq e addirittura quindici volte di più per quella in Corea. Lo stesso discorso si può fare per l’Unione Europea che ha speso dieci volte di più per il NextGenerationEU (il fondo per la ripresa dopo la pandemia) e sette volte di più in sussidi energetici per i propri cittadini. La capacità di spesa di Stati Uniti ed Europa avrebbe potuto essere maggiore, volendo. Ma, appunto: volendo. Evidentemente, non si è voluto.

Allo stesso modo non si è voluto mandare le armi necessarie a vincere. Gli Stati Uniti si decisero a inviare un numero limitato di missili ATACMS a lungo raggio solo nell’ottobre 2023, in quantità comunque insufficiente per poter sostenere la controffensiva ucraina che fallì anche per la mancanza di copertura aerea e di armi offensive. Analogamente, nel marzo 2024 il governo tedesco si oppose all’invio di missili Taurus. Dal canto suo il governo francese, che è molto più bravo a parole che nei fatti, è riuscito a inviare meno armi pesanti dell’Italia, che è stata piuttosto timida nell’invio di armamenti a Kiev. La volontà occidentale è sempre stata quella di condurre una guerra di difesa, senza troppa considerazione per l’esercito ucraino, costretto a logorarsi senza poter reagire.

Ma perché gli Stati Uniti non hanno voluto andare fino in fondo? La pubblicazione dei Pentagon Leaks ha chiarito – già nell’aprile 2023 – la strategia americana: condurre una guerra difensiva, che erodesse la capacità bellica russa e impedisse a Mosca future aggressioni. Una guerra che non puntava alla vittoria, ma al pareggio. al costo di centinaia di migliaia di vite umane. Vite sacrificate non per la liberazione del Paese, ma per giungere a un appeasement, magari a qualche forma di federalismo o, peggio, a dolorose spartizioni. Ma gli Stati Uniti avevano un secondo obiettivo, quello di interrompere l’interdipendenza economica tra Russia e Germania, che rappresentava una potenziale minaccia geopolitica per gli Stati Uniti. L’esplosione del gasdotto North Stream, avvenuta il 26 settembre 2022, ha rappresentato la fine materiale di ogni possibile interconnessione tra Mosca e Berlino che, non a caso, oggi versa in una crisi economica destinata a farsi sentire in tutto il continente. La crisi tedesca è uno dei frutti del conflitto, e l’Unione Europea emerge ora in tutta la sua debolezza e irrilevanza al punto che c’è da chiedersi se il progetto comunitario reggerà l’urto.

Washington può dire di avere in parte raggiunto gli obiettivi prefissati: lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine, la disconnessione tra Germania e Russia e in generale, il colpo esiziale inferto all’Unione Europea. Certo, anche Washington ha pagato un prezzo in termini di investimenti ma occorre ricordare che quelli statunitensi non erano regali, ma prestiti. Ad esempio, dei 60 miliardi stanziati nell’aprile 2024 dall’amministrazione Biden a sostegno di Kiev, una quarantina sono tornati nelle tasche americane sotto forma di acquisto di armi e forniture militari. Un affare lucroso per Washington che ha guadagnato sulla pelle altrui senza offrire un decisivo sostegno militare all’Ucraina che, indebitata fino al collo, si trova oggi a firmare contratti capestro per la fornitura di terre rare agli Stati Uniti.

Tutto questo non l’ha voluto Trump, anche se oggi i media e i politici liberal si affannano a descriverlo come l’unico colpevole. Il tradimento viene da lontano. Quanto sta accadendo è l’esito di decisioni e strategie precedenti a Trump il quale, con metodi e linguaggi assai più brutali, prosegue nel percorso tracciato. Ora Stati Uniti e Russia hanno l’opportunità di trovare un punto di caduta comune e porre termine a un conflitto che – adesso è evidente – è tra di loro. La guerra è tra di loro, gli altri sono pezzi sulla scacchiera. La vulgata per cui l’Ucraina aggredita è stata difesa dai paladini della libertà, nasconde l’opportunismo di Washington, pronta ad approfittare della situazione per indebolire la Russia con i soldati altrui. Nessuno qui vuole affermare che l’Ucraina sia un proxy statunitense, ma così è stata trattata. E questo non si dovrà perdonare.

immagine da rawpixel

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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