Negli ultimi anni, i foreign fighters provenienti dal Caucaso del Nord hanno giocato un ruolo cruciale nei conflitti in Medio Oriente, in particolare in Siria. La caduta improvvisa del regime di Bashar al-Assad, avvenuta lo scorso dicembre, segna una svolta storica per il Medio Oriente. Considerato a lungo come il “vincitore” della devastante guerra civile siriana, è stato costretto a fuggire a Mosca dopo un’offensiva ribelle lanciata da Idlib che ha annientato rapidamente le sue forze.
Tuttavia, le ripercussioni di tale evento si estendono ben oltre i confini siriani, influenzando profondamente anche le dinamiche del Caucaso del Nord, nonché gli equilibri geopolitici della Russia, che dal 2015 aveva investito risorse militari significative per sostenere il regime siriano. La presenza di combattenti principalmente ceceni, daghestani e ingusci, ha evidenziato le complesse dinamiche tra identità etnica, ideologia religiosa e resistenza politica contro l’influenza russa.
Tuttavia, con il cambiamento degli equilibri in Siria e l’emergere di nuovi fronti di conflitto, il destino di questi combattenti si presenta incerto.
L’esperienza siriana
Il conflitto in Siria ha rappresentato un’opportunità per molti foreign fighters del Caucaso del Nord di continuare la loro lotta contro la Russia, sebbene in un contesto differente. Gruppi come Ajnad al-Kavkaz e individui affiliati all’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) si sono distinti per la loro efficacia sul campo, spesso integrandosi in formazioni più ampie come Hayat Tahrir al-Sham. Il jihadismo ceceno in Siria ha mantenuto una forte componente nazionalista, con l’obiettivo di rafforzare la causa indipendentista attraverso la lotta armata. Basti ricordare uno dei più grandi e temuti comandanti dell’ISIS in loco, Omar al-Shishani. Georgiano di origine Kist (da parte di madre), proveniente Birkiani, un villaggio della valle georgiana del Pankisi caratterizzata dalla presenza di Kist, popolazione di etnia cecena. Valle divenuta famosa per essere stata un punto di transito cruciale per i ribelli durante la seconda guerra cecena, tra i quali Shamil Basaev e Ibn al-Khattab.
Anche in questo caso, la mobilitazione violenta di matrice religiosa ha svolto un ruolo fondamentale. Più che semplice radicalizzazione, si tratta di un fenomeno complesso in cui religione e nazionalismo si intrecciano, legittimando la violenza come strumento di resistenza. L’ideologia del “ghazavat” e del “jihad” è stata utilizzata non solo per giustificare la partecipazione al conflitto siriano, ma anche per mantenere viva la memoria della lotta contro la Russia.
Quali orizzonti per i militanti del Caucaso?
Con la progressiva riduzione dell’intensità del conflitto in Siria, i militanti del Caucaso settentrionale si trovano di fronte a scelte cruciali per il loro futuro:
Rimanere in Siria: alcuni potrebbero scegliere di stabilirsi definitivamente, approfittando delle offerte di cittadinanza da parte delle autorità ribelli locali. Ahmed al-Sharaa, leader di Hayat Tahrir al-Sham, ha già integrato combattenti stranieri in posizioni di comando. Tuttavia, la transizione da una vita di combattimenti a una realtà civile è complessa, ostacolata da tensioni con la popolazione locale e dal rischio di emarginazione.
Un nuovo fronte in Ucraina: La guerra in Ucraina rappresenta un’altra via per i combattenti desiderosi di continuare la lotta contro la Russia. Dall’inizio della crisi ucraina nel 2014, la questione del nazionalismo ceceno ha acquisito nuova rilevanza. Battaglioni come lo ‘Sheikh Mansur’ e il ‘Dzhokhar Dudayev’ operano già al fianco delle forze ucraine. Tuttavia, il trasferimento di combattenti dalla Siria presenta ostacoli logistici e politici significativi, inclusi i controlli alle frontiere e la difficoltà di garantire la sicurezza durante il viaggio. Il coinvolgimento dei combattenti ceceni in Ucraina è motivato sia da sentimenti di vendetta storica sia da una solidarietà ideologica. Il conflitto è infatti percepito come una continuazione della loro lotta per l’indipendenza dalla Russia. La narrativa del “nemico comune” ha facilitato il reclutamento, con la jihad che si intreccia a un forte desiderio di rivalsa.
Ritorno alle origini: Un’ulteriore possibilità è il ritorno nelle regioni del Caucaso del Nord per rilanciare un’insurrezione contro Mosca. Nonostante la repressione esercitata dalle autorità russe, recenti attacchi in Cecenia, Inguscezia e Daghestan suggeriscono che la resistenza non sia mai stata completamente soppressa. Tuttavia, il rafforzamento dell’apparato di sicurezza sotto il controllo di Ramzan Kadyrov (per quanto concerne la Repubblica Cecena) e la difficoltà logistica di organizzare un movimento coordinato rappresentano ostacoli significativi.
Prospettive future
Il crollo del regime di Assad potrebbe creare un vuoto di potere che influenzerà non solo la Siria, ma anche le dinamiche della lotta armata nel Caucaso e oltre. Sebbene l’Ucraina possa sembrare una destinazione logica per molti combattenti, le sfide pratiche rimangono considerevoli. Allo stesso tempo, l’instabilità economica e politica che colpisce la Russia potrebbe offrire nuove opportunità ai gruppi insurrezionali nel Caucaso del Nord.
In un panorama così incerto, il futuro dei militanti del Caucaso rimane aperto, sospeso tra la tentazione di nuovi conflitti e la difficoltà di trovare una collocazione stabile in un mondo in continua trasformazione. La loro evoluzione dipenderà da una complessa interazione di fattori geopolitici, ideologici e personali.