Da Fiume o Morte! a Perla, le proposte del cinema dell’Europa Orientale al Festival del cinema di Rotterdam.
Il Festival del cinema di Rotterdam è noto per avere uno dei programmi più ricchi, con circa 200 film presentati, tra nuove anteprime e opere riprese da altri festival. Nelle competizioni principali – la Big Screen Competition e la Tiger Competition, il cinema est europeo (soprattutto quello balcanico) ha brillato particolarmente, con varie opere che meritano di essere tenute in considerazione.
Fiume o Morte! dir. Igor Besinovic
Rijeka per Besinovic non è un luogo storico, ma il luogo in cui è cresciuto. Da questo incipit parte l’esplorazione dell’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio, in un film che non è strettamente docu-fiction, ma è sperimentalismo puro. Interpretato da attori non professionisti originari della città, per la maggior parte croati di madrelingua, Fiume o Morte! ricostruisce nella sua interezza l’anno durante il quale D’Annunzio ha assoggettatola città, ripercorrendo prove fotografiche, eventi importanti, materiale d’archivio che fungono da contrappeso alle rievocazioni che il film compie nella città contemporanea. D’Annunzio non giunge più alla città con camion militari, ma moderni TIR (ed ad interpretarlo è un croato), il suo grande discorso alla vigilia dell’occupazione lo fa si sul davanzale originale, ma che ora si rivolge su una strada trafficata ed indifferente. Besinovic usa un effetto satirico per poter descrivere in modo chiaro il legame di D’Annunzio con il fascismo, tema ancora troppo raramente affrontato in Italia, e nel contempo racconta la città di Rijeka, tra ieri ed oggi. Il film ha ottenuto il premio al miglior film nella Tiger Competition ed uscirà nelle sale italiane a partire dal 24 Febbraio (ne consigliamo assolutamente la visione).
Wind, Talk to Me, dir. Stefan Djordjevic
Debutto lungometraggio dell’attore divenuto regista Stefan Djordjevic, Wind, Talk to Me esula ogni definizione: potrebbe benissimo essere descritto come un film di famiglia, come un docu-fiction, o un’opera meditativa e profonda. Il resoconto di un viaggio di Stefan (interpretato dallo stesso regista) che visita i familiari (interpretati da sé stessi) per commemorare il compleanno della madre defunta è incasellato tra scene con un’aspirazione più poetica, in cui metafora e la ricerca di un contatto con la natura divengono centrali. Wind, Talk to Me riesce così a distinguersi dal ben consolidato cinema che si dedica a racconti ordinari di realtà familiari, siano esse in ambito documentaristico o finzionale, diventando un film che, in primis, è cinema.
Perla, dir. Alexandra Makarová
La voce fuori campo dell’inizio del film allude all’apertura delle frontiere tra il blocco orientale ed il blocco occidentale del 1989, eppure l’opera seconda di Alexandra Makarová, cineasta di origini slovacche trasferitasi in Austria in età adolescenziale, è ambientato poco prima, quando ancora l’Europa era divisa dalla Cortina di Ferro. Pur essendo un film di produzione maggioritaria austriaca, Perla racconta la storia di una donna slovacca, fuggita negli anni ’80 in occidente, pittrice (come la madre della cineasta), e che in seguito ad una telefonata ritorna in Cecoslovacchia per affrontare un passato che si è lasciata indietro. Uno schema molto ricorrente nel cinema che cerca di raccontare la Guerra Fredda vista dalla prospettiva di chi l’ha vissuta, e che quindi per alcuni versi frena l’opera, ma che comunque si rende particolare per una prospettiva obliqua che la cineasta pone sull’esperienza della protagonista, un po’ distaccata – come molte delle soluzioni compositive – ma partecipe, donando un’immagine dell’Est che equivale ad un trauma o un incubo. Forse non è il film più innovativo sulla Cortina di Ferro, ma resta impresso.
Back to the Family, dir. Šarūnas Bartas
Il ritorno alla casa natale per assistere un parente in fin di vita, uno spunto riflessivo attorno al proprio passato, nonché ai limiti dell’esperienza di vita rurale, è un tema molto ripetuto, in particolare in film di debutto. Maryna Vroda con Stepne usò una premessa molto simile per la propria opera prima, ma costruì attorno una considerazione molto più ampia, sul folclore, sull’identità frammentaria e gli effetti degli eventi storici sul territorio, sul passaggio del tempo. Da uno dei registi viventi più importanti dello scenario lituano, Šarūnas Bartas, ci si sarebbe aspettato un trattamento similmente approfondito ed arricchito di un soggetto così ampiamente ribattuto. Eppure, per quanto cerchi a volte di soffermarsi sullo scenario crepuscolare della campagna lituana, per quanto gli attori donino vita a dei personaggi interessanti, sconvolgenti per la loro spietatezza ma non abbastanza da spezzare l’illusione del realismo, Back to the Family soffre dei limiti che di solito possono essere riscontrati in questo tipo di storie, solitamente imputabili alla natura d’esordio dell’opera, che in questo caso non funge da giustificazione.
Wondrous is the silence of my master, dir. Ivan Salatic
Già nel titolo emerge il senso di mistero dell’opera, che ha come premessa il contesto storico dell’occupazione ottomana dei balcani, nel diciannovesimo secolo, ed una serie di scritti dal contenuto indecifrabile, attribuito ad un servo del sovrano delle tribù montanare, che nei secoli si opposero all’egemonia turca in una tacita forma di resistenza. Il film si fa carico di questo bagaglio quasi arcano per costruire un’atmosfera mistica, in cui il signore delle montagne appare come il detentore di una conoscenza e saggezza nascosta, ed il suo servo, dapprima assoggettato dal suo carisma, da osservatore diventa personaggio che agisce, una volta compreso la realtà dei fatti, durante uno dei molteplici soggiorni esteri del suo sovrano. Un’opera con un’autorialità sua, che spesso bilancia poesia visiva e realismo storico, con un’attenzione fotografica che ricorda le composizioni di Ingres o altri pittori della sua epoca. Wondrous is the silence of my master è un film sontuoso, da cui forse manca un’ulteriore elaborazione tematica, dato che a tal punto sceglie di tacere da, talvolta, risultare troppo enigmatico. Pochi sono i film del Montenegro che giungono nel circuito dei festival, ma il film di Salatic addirittura arriva a dominare tra i film della selezione.