STORIA: Stalingrado tra memoria e retorica contro il nazismo

Esattamente 82 anni fa, il 2 febbraio 1943, si conclude la battaglia più longeva e importante della Seconda guerra mondiale, dove il nazismo perse su tutto il fronte orientale. Oggi in Russia questa battaglia viene usata spesso come campo ideologico per elevare la Russia moralmente ai veri salvatori del nazismo.

Breve storia di Stalingrado: più simbolica che strategica

Il 22 giugno 1941, la Germania nazista lanciò l’“Operazione Barbarossa”, rompendo il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop del 1939. Le truppe del Reich avanzarono rapidamente nell’Europa orientale, attraversando Polonia, Bielorussia e Ucraina, fino a Leningrado e alla Russia occidentale. Tuttavia, l’offensiva su Mosca si arenò di fronte alla tenace resistenza sovietica, costringendo Berlino a spostare il focus sul Caucaso, cruciale per le sue risorse petrolifere.

Per Hitler, però, la conquista di Stalingrado aveva più ragioni ideologiche che strategiche: espugnare la città sarebbe stato un colpo simbolico per l’URSS. Stalin, per motivazioni opposte ma con la stessa logica ideologica, pur consapevole della scarsa rilevanza militare, ordinò di difenderla a ogni costo, ritenendo inaccettabile una resa.

Stalingrado non era solo una città sul Volga: portava il nome del dittatore sovietico. Per Hitler, conquistarla significava infliggere un’umiliazione personale al nemico; per Stalin, difenderla significava proteggere la città dove aveva vinto nella guerra civile del 1919 e, soprattutto, salvaguardare il proprio onore. Questa carica ideologica rese la battaglia la più lunga e sanguinosa della guerra. In sei mesi morirono quasi 3 milioni di persone tra civili e soldati.

Stalingrado nella memoria

Stalingrado divenne dunque il paradigma della resilienza e della determinazione sovietica, incarnando il sacrificio del popolo per la difesa del socialismo. La narrazione ufficiale evidenziava il ruolo centrale di Stalin come stratega della vittoria, esaltando al tempo stesso il coraggio dei soldati e dei civili.

Uno degli elementi chiave della commemorazione fu la creazione di medaglie e riconoscimenti. Nel 1945 venne istituita la medaglia “Per la difesa di Stalingrado”, assegnata a oltre 700.000 persone, inclusi militari e civili che avevano preso parte alla battaglia.

Dopo la guerra, Stalingrado venne ricostruita dalle macerie con ingenti investimenti governativi. Nel 1961, durante la destalinizzazione voluta da Nikita Krusciov, la città cambiò nome diventando Volgograd, ma il culto della battaglia non si affievolì.

Nel 1967 venne inaugurato uno dei memoriali più imponenti della Seconda guerra mondiale: Mamaj Kurgan, un complesso monumentale che include la gigantesca statua “Madre Patria chiama!”. Il sito divenne il cuore delle commemorazioni ufficiali, con cerimonie annuali che coinvolgevano le autorità sovietiche, i veterani e le giovani generazioni.

Cosa vuol dire oggi Stalingrado per la Russia?

Quando Putin divenne presidente della Federazione Russa fu chiaro che volle subito costruire una continuità con il grande passato sovietico e la Russia odierna. Il ricordo di Stalingrado e della Russia come salvatrice dell’Europa dal nazismo è più vivo che mai, e le ultime 24 parate per il 9 maggio ne sono la dimostrazione.

Il 2 febbraio 2023, durante l’80º anniversario della vittoria sovietica a Stalingrado, il presidente russo Vladimir Putin ha partecipato alle cerimonie commemorative a Volgograd, deponendo fiori alla tomba del maresciallo Vasilij Čujkov presso il memoriale. In tale occasione, Putin ha tracciato un parallelo tra la resistenza sovietica contro l’invasione nazista e l’operazione militare russa in Ucraina, presentandola come una lotta contro una nuova minaccia nazista.

“Non c’è terra oltre il Volga”

La battaglia di Stalingrado rimane un capitolo indelebile nella storia del Novecento, simbolo di resistenza e tragedia. Tuttavia, la sua eredità è oggi contesa tra verità storica e strumentalizzazione politica. Mentre il ricordo delle vittime e del sacrificio collettivo meriterebbe una riflessione universale sul costo della guerra, il Cremlino ha trasformato Stalingrado in un mito funzionale alla narrazione di una Russia eternamente assediata e redentrice.

Il parallelo tra l’eroismo sovietico contro il nazismo e l’invasione russa dell’Ucraina non solo distorce la realtà storica, ma riscrive cinicamente il passato per giustificare aggressioni nel presente. La retorica del “nuovo nazismo” svuota di significato la lotta antifascista, riducendola a slogan per legittimare ambizioni imperiali.

“Non c’è terra oltre il Volga” era un grido di disperazione e unità di un popolo in lotta per la sopravvivenza. Oggi, quelle parole rischiano di diventare un monito distorto, usato per alimentare nazionalismi e oscurare il dialogo. Stalingrado insegna che la memoria, quando diventa arma, può tradire sé stessa. Per onorarla davvero, occorrerebbe restituirle la sua voce più autentica: quella di un inno al valore umano, non di una marcia per la guerra.

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