Dalle origini a oggi: la lunga parabola del culto riformato nelle terre magiare
Secondo i rilevamenti più recenti, in Ungheria oltre un milione di persone si dichiara calvinista. Si tratta di una quota superiore al 10% della popolazione nazionale, a cui vanno aggiunte le migliaia di fedeli residenti nei vecchi domini della Corona di Santo Stefano, specialmente in Romania e in Slovacchia. La comunità riformata magiara rappresenta oggi l’estremo orientale del calvinismo europeo, un’isola religiosa circondata su ogni lato da confessioni diverse.
Un contesto favorevole
Fin dai suoi primi passi, la riforma protestante trovò terreno fertile nel Regno di Ungheria. Ciò dipese da una concatenazione di fattori, su tutti la profonda crisi della chiesa cattolica locale. Sempre più vincolata dalla prerogativa del Sovrano e di alcune grandi famiglie nobiliari, essa si trovava da tempo sconnessa sia dal suo vertice, il Papato Romano, sia dalla sua base, i sudditi della Corona ai quali restituiva l’immagine di una casta privilegiata e corrotta, distante dal messaggio evangelico. In secondo luogo influì la vicinanza geografica rispetto all’epicentro del terremoto luterano, che comportò fitti scambi culturali tra intellettuali, teologi, ma anche tra studenti: molti giovani ungheresi infatti decisero in quel periodo di formarsi in Germania.
Un’ulteriore accelerazione della Riforma si innescò con la traumatica di sconfitta di Mohacs del 1526 contro gli Ottomani, e con il successivo smembramento del regno. Una grossa fetta dell’episcopato magiaro cadde sul campo di battaglia e venne rimpiazzata da pastori protestanti, avvicendamento che favori numerose conversioni all’interno dell’aristocrazia. La borghesia cittadina, a netta maggioranza tedesca, aveva già abbracciato il credo luterano e negli ambienti rurali, infine, molti contadini si fecero convincere da predicatori autoctoni o inviati da fuori, mentre altri semplicemente abbracciarono (o talvolta subirono) la scelta del loro signore.
I nuovi occupanti turchi si insediarono soprattutto nell’Ungheria centrale, ma entrarono in competizione con il Sacro Romano Impero anche per gli altri territori del vecchio regno. Da qui la decisione di assecondare la transizione religiosa in atto, perseguitando i cattolici al punto tale che ultimi anni del Cinquecento essi si erano ridotti ormai al 10% del totale.
Lo stesso principio strategico ispirò poi il ribaltamento dei rapporti di forza interno al mondo protestante. Se la prima fase fu dominata dal Luteranesimo, con la diffusione delle idee di Giovanni Calvino i nobili ungheresi si convertirono in tutto il bacino dei Carpazi, dando un segnale di distinzione dall’elemento tedesco e ricercando quell’equidistanza politica tra Asburgo e Ottomani che garantisse loro un margine di autonomia.
L’apice e la riscossa cattolica
Gli anni cinquanta a sessanta del XVI secolo segnarono quindi l’impennata del calvinismo nelle terre ungheresi. Alla decisione pragmatica di molti aristocratici seguirono convinte conversioni da parte di prelati cattolici e protestanti: celebre fu quella del pastore Matthias Devay Birò, studente di Filippo Melantone in Germania e conosciuto per anni come il “Lutero d’Ungheria”, venne stregato dal pensiero riformato durante un viaggio a Ginevra, città dove Calvino si era trasferito, tanto che al suo ritorno si spese in prima persona per diffonderlo in patria.
Attraverso il suo esempio si moltiplicarono rapidamente missioni ed istituti scolastici sul territorio. Debrecen, grazie all’opera del suo grande Collegio Riformato (attivo già dal 1538), si impose come il centro nevralgico della nuova fede e nel 1567 ospitò il primo sinodo nazionale. “Gli organizzatori della chiesa calvinista ungherese furono il già citato Devay Birò e Peter Melius Juhasz [botanico e teologo]. Juhasz fu uno dei formulatori della Confessio calvinista magiara, che si attenne strettamente alle tesi ginevrine per quanto riguardava la predestinazione e l’eucarestia” (G.Nemeth-A.Papo, Storia e cultura dell’Ungheria, 2000).
Un caso peculiare fu quello della Transilvania, porzione orientale dell’antico regno tuttora abitata da una folta comunità magiara. Il suo status di relativa autonomia favorì un pluralismo religioso ancora più spiccato che comprendeva anche l’esperienza della piccola chiesa unitariana, nata in contrasto con il dogma trinitario. Il principe Giovanni Sigismondo decise così di concedere a tutti la libertà di culto con l’Editto di Turda del 1568.
Per il ritorno dei cattolici invece fu necessario attendere la controriforma e i Gesuiti, i suoi più ferventi militanti. Nel 1580 essi fondarono a Roma il Collegium Germanicum et Hungaricum, per la formazione dei prelati da inviare in loco a recuperare i fedeli perduti. Una seconda ondata di riconversioni venne imposta con le armi dalle truppe del Sacro Romano Impero durante la Guerra dei Trent’anni; la terza infine, che permise ai cattolici ungheresi di tornare maggioranza, si verificò spontaneamente a partire dal XVIII secolo, dopo la ritirata definitiva dei turchi.
I calvinisti ungheresi oggi
Pur ridimensionato, il calvinismo ungherese rimase una realtà solida. Nel corso del Novecento sopravvisse prima al trattato del Trianon, che nel primo dopoguerra frammentò la sua comunità in diversi stati nazionali, poi ai limiti imposti dai regimi comunisti filo-sovietici.
Solo nel 2009, presso la sede simbolica di Debrecen, il puzzle venne finalmente ricomposto. La chiesa riformata ungherese si dotò di una nuova costituzione unificata che ancora oggi coordina liturgia, formazione dei pastori, finanziamenti e volontariato in tutto il bacino dei Carpazi. Intorno a questo centro gravitano ora anche le vicine chiese calviniste di Croazia e Slovacchia, e i piccoli nuclei nati in Canada e negli Stati Uniti.
Immagine: chiesa riformata di Szentgyörgyvölgy (foto di Veronica Capaldo)