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Armenia tra Russia e Ue: Il Ritorno della Geopolitica in Europa

L’Armenia sta rivoluzionando il proprio ruolo nel mondo e guarda all’Europa. Paese storicamente filorusso, aveva trovato in Mosca una garanzia per la propria sicurezza (o per meglio dire sopravvivenza) dal periodo imperiale fino a questi ultimi anni. Oggi questi schemi sono completamente saltati. Non c’entra l’identità e non c’entra la condivisione dei valori democratici. È semplicemente il percorso di un paese che si sente tradito e smarrito in un mondo in cui tornano a contare i rapporti di forza, è una questione geopolitica

L’Armenia vuole integrarsi in Europa ma parola d’ordine è ‘multipolarismo’

Pochi giorni fa il governo armeno ha approvato un disegno di legge che annuncia l’inizio del processo di adesione all’Unione Europea. L’obiettivo è disegnare con Bruxelles un percorso di integrazione, segnando la volontà armena di allinearsi sempre più l’acquis europeo. Il Primo Ministro ha però sottolineato che l’approvazione della legge non implica che il Paese entrerà letteralmente nell’Ue, in quanto una decisione del genere può essere presa solo tramite referendum, come previsto dalla Costituzione. Si tratta però di una scelta di campo da non sottovalutare.

Il piccolo paese caucasico aveva già sospeso la sua partecipazione al CSTO come conseguenza al terremoto geopolitico innescato in seguito alla perdita dell’Artsakh (ai più noto come Nagorno Karabakh). Yerevan aveva rimproverato Mosca per la mancata protezione, e per non aver svolto il suo ruolo di peacekeeper. Un immobilismo già evidente nel 2020 e che aveva convinto Baku a portare a termine la “questione del Karabakh” con l’offensiva finale del 2023. Il governo di Nikol Pashinyan è arrivato a definire, in una intervista al quotidiano “la Repubblica”, l’alleanza con Mosca “un errore strategico”, e ha mostrato la sua intenzione a intensificare i rapporti con i paesi occidentali. Vista la totale inaffidabilità della Russia, l’Armenia sta cercando di perseguire una politica estera multivettoriale, percepita come maggiore garanzia per la propria sicurezza.

Nell’ultimo anno Yerevan ha intensificato i rapporti con Teheran portandoli ad un livello di partnership strategica, ha iniziato ad importare armi da Nuova Dehli, e ha partecipato al vertice BRICS a Kazan. Dall’altra parte ha stretto importanti accordi con Parigi, svolto esercitazioni militari con Washington e dichiarato di non opporsi all’adesione all’Unione Europea. La diplomazia armena è in una fase di dinamismo che non ha precedenti. Se si fa un viaggio nella città di Kapan, capoluogo della provincia di Syunik a sud del paese, dove si avverte un diffuso clima di paura per una possibile invasione, si vede la rappresentazione plastica di questo dinamismo in politica estera in quanto proprio in quella città l’Iran ha già aperto una sede consolare e la Francia ha intenzione di fare lo stesso per dimostrare la propria vicinanza a Yerevan.

I rapporti con Bruxelles, infine, sono migliorati molto soprattutto in seguito all’ultimo conflitto con Baku, ma se si guarda il quadro di insieme si vede una Armenia che persegue una politica estera multilaterale, proprio per riempire un vuoto di sicurezza che non vuole ripetere.

“Dimmi, Armenia, è vero che hai voglia di Europa?”

Interpretare l’approvazione della legge come la volontà di Yerevan di gettarsi acriticamente tra le braccia dell’Occidente per una non chiara condivisione di valori sarebbe quindi fuorviante. È certamente vero che l’Armenia si sta avvicinando all’Europa sempre di più e come mai aveva fatto prima, fino al punto di considerare la possibilità di aderire all’Ue; ma è bene attenersi alle logiche della realpolitik per capire questa svolta. Soprattutto perché nel mondo di oggi tornano a contare, forse più di prima, i rapporti di forza nelle relazioni tra stati. Non c’entra l’identità, e non c’entra la condivisione dei valori democratici.

Camminando per le strade della capitale si percepisce come gli armeni si sentano altra cosa rispetto agli europei, e nel resto del paese l’Ue viene percepita come qualcosa di lontano e spesso di ipocrita. La questione è geopolitica. Dopo l’esito delle elezioni in Georgia, il governo dello “sbarbato Pashinyan”, si conferma l’ultimo esecutivo filoeuropeo nel Caucaso del Sud. Per questo motivo sia i paesi europei stessi, in prima linea la Francia, sia le istituzioni europee hanno tutto l’interesse a non chiudere le porte al piccolo paese caucasico. Va ricordato che Parigi vede nel Caucaso una possibilità di rilancio della propria politica estera dopo il proprio ridimensionamento nella regione africana del Sahel. Inoltre, l’Armenia, in quanto confinante con l’Iran, potrebbe avere un ruolo di transito per l’eventuale evacuazione di cittadini europei dalla Repubblica Islamica nel caso in cui la situazione in Medio Oriente dovesse veramente esplodere e andare fuori controllo. Infine, Bruxelles, già a luglio 2024, aveva attivato per la prima volta lo Strumento Europeo per la Pace, atto a sostenere attivamente le forze armate armene. La decisione fa parte di un approccio pragmatico dell’Ue che da un lato non vuole instabilità regionale, dall’altro non vuole perdere l’ultimo potenziale alleato nella regione.

La storia torna in Europa

Il 2024 è stato l’epilogo del ritorno della storia in Europa. Non solo la guerra in Ucraina e il massacro in Medio Oriente, anche il referendum in Moldavia e la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca oltre ai cambiamenti geopolitici nel Caucaso, sono segnali che Bruxelles deve affrettarsi nella definizione di una propria politica di sicurezza, iniziando a lavorare insieme per guidare una Unione della Difesa e cooperando tra loro in tre aree chiave di interesse comune: Mediterraneo, Est Europa, e Caucaso del sud. In poche parole, le regioni parte della Politica Europea di Vicinato (PEV). Rilanciare la PEV attraverso una cooperazione allargata che guardi a Mediterraneo e contenimento della Russia sarebbe un’operazione straordinaria in un mondo in cui tornano a contare i rapporti di forza. La legge approvata dal governo di Pasinyan non implica che l’Armenia entrerà in Ue, ma è il segno che l’Europa può e deve fare di più nelle relazioni esterne.

Foto: WikimediaCommons

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