allargamento UE

Allargamento UE, storia di una rimonta

di Michal Emerson e Daniel Gros – Bocconi IEP blog, febbraio 2024. Traduzione in italiano di East Journal

La strategia regionale di allargamento e vicinato dell’UE ha fatto la differenza nella convergenza macroeconomica di nuovi stati membri e paesi candidati. Un risultato cruciale per il dibattito su futuri allargamenti

Il modello di recupero (catch up) macroeconomico osservato nel processo di allargamento dell’UE è una storia notevolmente positiva, sebbene in gran parte non celebrata e ancora incompleta. Il recupero raggiunto finora è uno risultato cruciale per l’attuale dibattito sul futuro allargamento. Senza la rapida crescita economica degli stati di più recente adesione, sarebbe impossibile per l’UE contemplare l’idea di accogliere altri membri poveri.

Le prove del recupero

I paesi UE sono presentati in tre gruppi: stati membri pre-2004, stati membri post-2004 e stati candidati. I dati riportano rispettivamente i livelli di reddito nazionale lordo (RNL/GNI) pro capite nel 2022 e i tassi di crescita del PIL nel periodo dal 2004 al 2022 (figure 1 e 2)

Per quanto riguarda gli attuali livelli di RNL la gerarchia è chiara, con i tre gruppi di paesi nell’ordine che ci si potrebbe aspettare: i vecchi stati membri per primi, i nuovi stati membri al secondo e i candidati al terzo posto(tabella 1). L’unica deviazione da questo ordine nozionale si vede in due vecchi stati membri del sud, Grecia e Portogallo, ora in classifica in mezzo ai nuovi stati membri.

Introducendo i tassi di crescita macroeconomica dal grande allargamento del 2004 e ricordando anche la Dichiarazione di Salonicco del 2003 con cui l’UE ha promesso un ulteriore allargamento ai Balcani, la storia è ancora più notevole. Il modello di risultati nella Tabella 2 è un’immagine speculare della prima tabella con i livelli di RNL pro capite. Questa è la storia del recupero.

Tutti i nuovi stati membri sono cresciuti più rapidamente degli stati membri più vecchi. Le uniche due piccole eccezioni (Irlanda e Lussemburgo) sono dovute a stranezze statistiche relative allo spostamento della ricchezza da parte di imprese multinazionali. Gli stati candidati a loro volta sono cresciuti in media più rapidamente dei nuovi stati membri del 2004.

La maggiore anomalia di questo modello è l’Ucraina, che è il paese più povero e ha visto una crescita lenta fino al 2021, seguita nel 2022 da enormi perdite economiche subite nell’attuale guerra con la Russia. Le prospettive di un rapido recupero qui in uno scenario postbellico sono favorite dal livello relativamente alto di istruzione della popolazione e in particolare dalla sua prossima generazione che entrerà nella forza lavoro, che è più avanzata di qualsiasi altro candidato all’adesione (risultati OCSE/PISA). Ciò ovviamente presuppone un vasto ritorno dei rifugiati ucraini ospitati nell’UE.

La solidità di questa ampia narrazione di recupero [socioeconomico] può essere testata con alcuni contro-argomenti.

Un primo può suggerire che la vera storia è quella del fallimento della vecchia Europa nel crescere più velocemente. Di sicuro, il record di crescita degli stati mediterranei della vecchia Europa è scarso, in particolare l’Italia con una performance mediocre ormai da decenni e ancora di più la Grecia che si sta ancora riprendendo dalle perdite subite durante la crisi dell’euro di un decennio fa. Tuttavia, per la maggior parte della vecchia Europa la storia sembra piuttosto essere quella di economie che maturano a livelli di reddito piuttosto elevati e dove gli obiettivi sociali hanno teso a diventare meno incentrati sulla crescita economica e più sulla qualità dell’ambiente e dell’assistenza sanitaria e sulle preoccupazioni legate alla migrazione. Il PIL pro capite medio dell’UE in termini di parità di potere d’acquisto è infatti cresciuto circa allo stesso ritmo degli Stati Uniti, la cui crescita demografica spiega i tassi di crescita più elevati comunemente citati.

Un secondo contro-argomento è che il processo di recupero è meno spiegato dal processo di adesione all’UE e più dalla naturale ripresa dell’Europa centro- e sud-orientale  dalle grossolane inefficienze dei regimi comunisti. Questo argomento ha peso, soprattutto per paesi come Repubblica Ceca e la Slovacchia che avevano basi industriali ben consolidate prima del periodo comunista, e per gli stati baltici con la loro lunga tradizione commerciale anseatica. Tuttavia, da solo, esso non tiene conto delle sinergie tra il riavvicinamento all’Europa democratica e l’integrazione economica con il mercato unico. Gli altri paesi post-sovietici dell’Asia centrale non convergono, nonostante la forte dotazione di materie prime.

Un terzo contro-argomento è che mentre i paesi balcanici sono cresciuti relativamente velocemente, le loro prospettive di adesione sono diventate meno credibili. Per quanto ciò possa essere vero riguardo alle procedure formali di adesione, di fatto tutti gli stati dei Balcani occidentali sono ormai completamente circondati dall’UE e notevolmente integrati  economicamente con essa, soprattutto tramite la loro diaspora.

Un’ulteriore domanda è fino a che punto ci si dovrebbe aspettare che queste tendenze dal 2004 continuino. Un’estrapolazione ingenua dei tassi di crescita passati vedrebbe l’Estonia raggiungere il RNL pro capite della Francia (a sua volta vicino alla media dell’UE-27) all’inizio degli anni 2030. Tuttavia, la teoria convenzionale della crescita suggerisce che i tassi di crescita tendono a diminuire asintoticamente man mano che i livelli di reddito aumentano verso i livelli delle economie avanzate mature.

Mentre la tendenza positiva al recupero [macroeconomico] è benvenuta, sia la Commissione sia gli stati dei Balcani occidentali vorrebbero che gli stati candidati crescano più rapidamente, come riflesso nel Piano di crescita per i Balcani occidentali proposto insieme al pacchetto di allargamento della Commissione pubblicato lo scorso novembre [2023]. Questa iniziativa propone notevoli incentivi finanziari aggiuntivi condizionati a specifiche riforme e dovrebbe diventare un acceleratore della crescita.

Un successo anche rispetto ad altre regioni del mondo

Questa apparente storia di successo per l’UE e per l’Europa in senso lato è sottolineata dai confronti che possono essere fatti con altre regioni del mondo (Figure 3 e 4). Un confronto interessante è da un lato l’UE e i suoi nuovi stati membri e candidati all’adesione e, dall’altro, gli Stati Uniti in relazione ai suoi vicini meridionali più prossimi, quindi il Messico rispetto alla Turchia e le cinque repubbliche centroamericane rispetto ai sei stati dei Balcani occidentali.

Il Messico e gli stati centroamericani non sono riusciti a recuperare terreno con gli Stati Uniti, mentre i nuovi stati membri dell’UE, come la Romania, i Balcani occidentali e la Turchia, hanno tutti recuperato notevolmente terreno con la vecchia UE, rappresentata nelle figure dagli stati dell’Eurozona.

Le ragioni di questa esperienza divergente sono senza dubbio complesse e coinvolgono fattori culturali e storici. Tuttavia, c’è una grande differenza oggettiva tra le storie di questi due egemoni continentali e i rispettivi vicini: l’UE e i suoi vicini hanno una strategia di integrazione, mentre gli Stati Uniti non ne hanno alcuna con i loro vicini, fatta eccezione per la debole Area di libero scambio centroamericana (CAFTA) e il più approfondito NAFTA con il Messico, che tuttavia è stato diluito sotto la presidenza di Trump.

Gran parte dell’Asia meridionale e orientale ha recuperato rapidamente terreno con le economie più avanzate del mondo, ma questo non viene riportato qui perché l’attenzione è stata rivolta ai confronti tra i rispettivi vicinati dell’UE e degli Stati Uniti.

Come spesso accade, la parte più interessante della storia è quella che non appare. Quando l’UE stava pensando di allargarsi ai paesi allora molto più poveri dell’Europa centrale, i timori principali riguardavano la pressione migratoria e la concorrenza salariale. Questi timori si sono ora dissipati poiché la migrazione verso i vecchi Stati membri si è praticamente arrestata. Ciò è in netto contrasto con i continui problemi politici negli Stati Uniti con l’immigrazione dal Messico e dall’America centrale.

Lo stesso vale per la Turchia, da dove c’è un numero crescente di persone che chiedono asilo politico, ma senza una pressione su larga scala per la migrazione economica dato il netto miglioramento degli standard di vita.

I problemi dell’Europa con la migrazione sono molto più correlati al fallimento della convergenza nella regione nordafricana. Anche l’Africa subsahariana non ha fatto progressi e rimane a un livello simile all’America centrale rispetto agli Stati Uniti.

Conclusioni

La storia positiva del recupero [macroeconomico] nel vicinato europeo emerge chiaramente a due livelli. In primo luogo, nell’Europa più ampia vi è coerenza tra la gerarchia dei livelli di reddito RNL e dei tassi di crescita nei tre livelli tra gli stati membri dell’UE prima del 2004, gli stati membri dopo il 2004 e gli stati candidati. I tassi di crescita sono inversamente correlati ai livelli di reddito: i paesi più poveri crescono più velocemente di quelli più ricchi.

In secondo luogo, mentre questa storia positiva può sembrare abbastanza naturale, diventa ancora più notevole se si osserva che ciò non si verifica nelle Americhe, né per l’Europa rispetto ai suoi vicini non europei in Medio Oriente o in Africa.

Una differenza esplicativa fondamentale potrebbe essere che mentre l’UE guida un processo di integrazione regionale, sebbene con limitazioni molto dibattute, gli Stati Uniti non hanno una strategia regionale comparabile. Questo successo fornisce una storia sfondo spesso taciuta, ma indispensabile, che rende possibile la discussione su ulteriori allargamenti dell’UE.

Foto: EP / Alain Rolland

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