Il ministro della sicurezza bosniaco Nenad Nešić è stato arrestato il 26 dicembre con l’accusa di corruzione per fatti avvenuti quando era direttore dell’agenzia delle strade della Republika Srpska.
Nenad Nešić, ministro della sicurezza in carica della Bosnia Erzegovina, è stato arrestato il 26 dicembre dalla polizia della Republika Srpska (RS), su mandato della Procura statale bosniaca. Assieme al lui sono stati arrestate altre sei persone tra cui Milan Dakić, direttore dell’azienda pubblica per le strade della RS (JP Putevi RS), e Mladen Lučić, imprenditore e fratello dell’ex ministro dei diritti umani Miloš Lučić, e persona di fiducia di Nešić. Le accuse sono di corruzione in appalti pubblici, concussione, riciclaggio, e abuso d’ufficio.
I fatti risalgono a quando Nešić era direttore di RS Putevi. Nešić e Lučić avrebbero incassato vari milioni dall’acquisto di sale anti-neve importato dall’Egitto, a tre volte il prezzo di mercato, dalla società Legend di Lučić. Nešić è stato anche indagato dalla Procura di Sarajevo Est con l’accusa di aver costretto l’azienda stradale ad asfaltare alcune strade prima delle elezioni.
L’inchiesta sulla corruzione
Secondo quanto rivelato da Istraga.ba, Nešić è sospettato di aver ricevuto tangenti di almeno 125.000 euro da Mirko Pandurević, proprietario dell’azienda Romanijaputevi, nell’ottobre 2019, come contropartita per vincere una gara d’appalto del valore di circa un milione di euro. Pandurević avrebbe riciclato tali denari tramite società fittizie messe in piedi da un gruppo di truffatori sarajevesi, tra cui Sanjin Avdić, Esad Avdić e Fehvad Begović. La polizia investigativa bosniaca (SIPA) aveva già segnalato alla Procura tali transazioni nel 2019 come a rischio di riciclaggio. Il ministero degli affari interni della RS ha quindi comprovato i crimini intercettando i sospettati (con l’eccezione di Nešić).
Sanjin Avdić (anche noto su TikTok come Fabriano Delux) era stato arrestato ad aprile 2024 dalla polizia sarajevese nell’ambito dell’operazione Triangle, con l’accusa di aver defraudato varie imprese bosniache. Il faccendiere aveva ammesso i contatti con Pandurević e rivelato la tangente consegnata a Nešić tramite Lučić.
Chi è il ministro Nešić
Nenad Nešić, nato a Sarajevo nel 1978, è il leader dell’Alleanza popolare democratica (DNS), un piccolo partito ultranazionalista serbo-bosniaco, che negli scorsi anni ha ondeggiato tra opposizione e sostegno a Dodik. Negli anni precedenti, Nešić ha lavorato per il ministero degli interni della Republika Srpska, e dal 2016 è stato direttore ad interim dell’azienda pubblica per le strade della RS (JP Putevi RS). Nel 2020 aveva preso la guida del DNS, portandolo per un paio d’anni all’opposizione a Dodik. Per ricompensare l’ultimo cambio di campo, Dodik ha nominato Nešić come ministro statale per la sicurezza nel governo di Borjana Krišto dopo le elezioni dell’ottobre 2022.
I problemi dei ministri della sicurezza bosniaci con la giustizia
Nešić è solo l’ultimo ministro della sicurezza bosniaco a finire nei guai con la giustizia. Il suo predecessore, il bosgnacco Selmo Cikotić (SDA), è stato condannato in primo grado a fine 2023 e in via definitiva a fine ottobre 2024 a tre anni per abuso d’ufficio. Quando era ministro della giustizia nel 2009-11, aveva infatti firmato contratti per l’export di armamenti verso la Croazia, causando un danno erariale di 5 milioni di euro.
Prima di lui, il magnate Fahrudin Radončić (SBB), editore di Avaz, aveva evitato di finire sotto inchiesta, ma le origini del suo patrimonio e i suo metodi imprenditoriali e politici restano molto discussi. Prima ancora, il serbo-bosniaco Dragan Mektić (SDS) era stato messo sotto inchiesta per corruzione in appalti pubblici su fondi UE a fine 2019, ma era stato poi assolto a marzo 2022. Ricordiamo infine il caso di Zoran Galić, ex direttore della Polizia di Frontiera, latitante in Croazia da luglio 2024 per sfuggire ad accuse di corruzione e abuso d’ufficio.
Una trafila di politici di corrotti, che hanno passato anni a ricoprire le più alte cariche contro la corruzione e il crimine organizzato. Non stupisce quindi che i rapporti annuali della Commissione europea notino una continua mancanza di progressi sul tema, sottolineando la pervasività della corruzione nei Balcani, come anche evidenziato dal recente arresto del ministro della sanità in Croazia.
D’altro canto, la cooperazione con le agenzie anti-crimine europee, Europol e Eurojust in primis, sembra stare dando uno scossone a pratiche consolidate, come dimostrato da casi di alto livello quali la condanna dell’ex premier della Federazione bosniaca Fadil Novalić (SDA). Resta da vedere se nel caso di Nešić si arriverà fino a una condanna definitiva, o se la giustizia colpisce i politici bosniaci solo una volta passati all’opposizione, come nel caso di Novalić.
La reazione di Dodik all’arresto del ministro Nešić
Nonostante Nešić sia stato arrestato dalle autorità di polizia della stessa Republika Srpska, il presidente dell’entità Milorad Dodik ha infatti denunciato un uso politico della giustizia.
“Il procedimento avviato dalla Procura della Bosnia Erzegovina è completamente inaccettabile. Questo modo di lavorare rappresenta la persecuzione del personale della Republika Srpska con l’obiettivo di destabilizzarla”, ha affermato Dodik, secondo cui la Procura statale “è diventata uno strumento delle ambasciate straniere e della scena politica di Sarajevo per una resa dei conti con la Republika Srpska”.
“Se ci sono sospetti di azioni illegali, il procedimento dovrebbe essere condotto in conformità con la legge e non trasformato in uno spettacolo mediatico“, ha concluso Dodik.
Nešić è il secondo ministro serbo-bosniaco a finire nei guai nel giro di pochi giorni. Solo il 18 dicembre scorso, gli Stati Uniti avevano adottato nuove sanzioni, colpendo tra gli altri anche il ministro del commercio estero Staša Košarac, “politico che svolge un ruolo chiave nel favorire la corruzione e l’agenda politica destabilizzante di Dodik”, secondo il Dipartimento di Stato USA.
Intanto, Dodik resta sotto processo
Lo stesso Dodik, intanto, resta sotto processo per aver disubbidito alle decisioni dell’Alto Rappresentante internazionale Christian Schmidt, che non riconosce. L’ultima udienza, che avrebbe dovuto tenersi il giorno di Natale, è stata rimandata al 30 dicembre – complice lo stato di salute di Dodik, reduce da un intervento chirurgico d’urgenza allo stomaco a Belgrado.
E proprio per fargli da scudo, la vigilia di Natale il parlamentino dell’entità a Banja Luka ha adottato delle conclusioni politiche che chiedono a Dodik di non presentarsi alle udienze, denunciando “il collasso dell’ordine giuridico e la violazione degli accordi di pace di Dayton” tramite le azioni della Corte costituzionale, del Tribunale statale e della Procura.
I legislatori serbo-bosniaci hanno inoltre richiesto ai rappresentanti serbi nelle istituzioni statali di sospendere ogni decisioni nel campo dell’integrazione europea “finché non saranno ristabiliti democrazia e stato di diritto” e un equo processo per Milorad Dodi. Un freno ricorrente (era successo lo stesso un anno fa) che giunge non appena i ministri serbo-bosniaci avevano dato l’ok, nel Consiglio dei Ministri, ai disegni di legge su protezione dei dati personali e controllo delle frontiere.
Le conclusioni adottate dall’Assemblea nazionale della Republika Srpska rappresentano una seria minaccia all’ordine costituzionale della Bosnia ed Erzegovina, ha affermato una dichiarazione congiunta delle ambasciate di USA, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e UE. I paesi del Quint aggiungono che in quanto tali sono “anti-Dayton e minano direttamente l’autorità delle istituzioni dello stato di diritto a livello statale e il percorso della BiH verso l’integrazione euro-atlantica”.
I diplomatici internazionali ricordano come le due entità della Bosnia Erzegovina debbano conformarsi alla Costituzione e non abbiano l’autorità per contestare l’operato delle istituzioni statali. “In un momento in cui l’apertura dei negoziati di adesione all’UE non è mai stata così vicina, un ritorno al boicottaggio avrebbe conseguenze negative per tutti i cittadini della BiH, la maggior parte dei quali sostiene l’adesione all’UE”, conclude il comunicato.
Foto: Slobodna Bosna