Di Denise Gislimberti
A fine novembre, l’Abkhazia, una regione separatista della Georgia riconosciuta come stato indipendente solo da pochi paesi, è stata attraversata da un’ondata di proteste di massa. Queste hanno portato alla luce tensioni profonde tra interessi locali e influenza russa, culminando con l’annuncio delle dimissioni del presidente Aslan Bzhania. La crisi politica in Abkhazia non è un evento isolato: i due presidenti precedenti si sono dimessi in seguito a proteste popolari nel 2014 e nel 2020.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso
Al centro delle manifestazioni del mese scorso c’è la controversa legge sugli investimenti russi in Abkhazia. Una proposta di legge che avrebbe consentito agli imprenditori della Federazione Russa di acquistare proprietà in Abkhazia con esenzioni fiscali per otto anni e altre condizioni particolarmente vantaggiose. La legge ha sollevato forti preoccupazioni sulla sovranità economica della regione, già fortemente dipendente dal sostegno finanziario e politico di Mosca e strettamente legata al settore del turismo – che la proposta avrebbe fortemente danneggiato. Molti, inoltre, hanno temuto che la nuova legge potesse favorire l’utilizzo di risorse locali da parte degli oligarchi russi, mettendo a rischio le attività delle piccole imprese abkhaze, già in difficoltà.
Le tensioni erano iniziate già in estate, quando il dibattito pubblico si era intensificato con la presentazione di un disegno di legge sullo status legale di aparthotel e appartamenti, che aveva generato critiche da parte di partiti politici, organizzazioni pubbliche e leader della comunità. Le accuse principali includevano la minaccia alle imprese locali, il rischio di sovraccarico delle infrastrutture e l’inadeguatezza della pianificazione economica ed ecologica. Inoltre, le relazioni tra Abkhazia e Russia sono andate deteriorandosi nell’ultimo anno, in parte anche a causa del rifiuto delle autorità abkhaze di implementare riforme considerate troppo favorevoli a Mosca. Rifiuto che, a settembre, ha portato a un taglio dei finanziamenti russi e sussidi che rappresentano una parte significativa del bilancio abkhazo, lasciando senza supporto molti dipendenti pubblici.
Le accuse alla legge e al governo Bzhania
Le proteste più recenti sono scoppiate l’11 novembre a Sokhumi, quando cinque attivisti contrari all’accordo economico con la Russia sono stati arrestati. Sebbene i manifestanti siano stati rilasciati poco dopo, la tensione è degenerata. Il 17 novembre migliaia di persone si sono radunate davanti agli edifici governativi, abbattendo le recinzioni e scontrandosi con le forze di sicurezza. La situazione è ulteriormente precipitata nei giorni seguenti, quando i dimostranti hanno preso il controllo del parlamento e di altre strutture governative. Durante questi scontri, cinque persone sono state arrestate e almeno 14 sono rimaste ferite. Molti manifestanti hanno accusato Bzhania di ignorare l’opinione pubblica e quella del Consiglio degli Anziani, accusandolo di “vendere” la terra. Altri, hanno espresso il timore che, con l’ingresso degli oligarchi russi, opportunità economiche per piccole imprese locali sarebbero venute meno, favorendo progetti russi.
La situazione ha alimentato richieste esplicite di dimissioni del presidente, accusato di incapacità gestionale e di utilizzare i rapporti economici (e non solo) con Mosca a proprio vantaggio e per consolidare il suo potere.
Durante l’occupazione del parlamento da parte dei manifestanti sono stati scoperti documenti che accusano il governo Bzhania di corruzione. Tra le accuse emergono l’utilizzo di fondi pubblici per fini personali e la creazione di una lista di ‘persone non fedeli allo stato’, tra cui giornalisti indipendenti, alimentando così critiche sulla repressione della libertà di stampa. Gli scandali hanno esacerbato il malcontento già diffuso.
Nonostante le critiche al governo locale, i manifestanti non hanno assunto posizioni apertamente anti-russe. Anzi, molti slogan inneggiavano alla Russia, al suo presidente Vladimir Putin e intonavano: “il nostro futuro comune è solo con la Russia”. Alcuni leader delle proteste hanno chiaramente dichiarato che non si trattano di proteste anti-russe, bensì, come dichiarato da media locali, “le proteste attuali sono rivolte esclusivamente contro le politiche corrotte di Bzhania e del suo team”
Le dimissioni di Bzhania: un passo verso la stabilità?
In risposta alle proteste, il presidente Aslan Bzhania ha affermato: “Quando lasceranno l’edificio, scriverò la mia lettera di dimissioni.” L’ormai ex-presidente ha ribadito la sua intenzione di partecipare alle elezioni presidenziali previste per la primavera del 2025, facendo intendere che, pur accettando le richieste di dimissioni, non abbandonerà la scena politica. Bzhania ha ufficialmente annunciato le sue dimissioni il 19 novembre, al fine di “preservare la stabilità e l’ordine costituzionale del paese.”
La crisi politica in Abkhazia rappresenta un momento cruciale per il futuro della regione, evidenziando il delicato equilibrio tra la necessità di preservare la sovranità locale e l’influenza della Russia. Le dimissioni di Aslan Bzhania non sembrano aver placato le tensioni, e il suo annuncio di ricandidatura rischia di alimentare ulteriori divisioni. I prossimi mesi saranno determinanti per capire se la leadership abkhaza saprà rispondere alle richieste di cambiamento della popolazione o se le tensioni continueranno a crescere, mettendo ulteriormente alla prova la stabilità della regione.
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Foto: Aslan Bzhania, WikimediaCommons