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Georgia, scoppiano le proteste in nome dell’Unione Europea

Dopo più di un mese di manifestazioni di dissenso contro i risultati delle elezioni di fine ottobre, il ri-eletto primo ministro georgiano, Kobakhidze, dichiara che ulteriori negoziati di adesione europea non saranno più una priorità per il nuovo governo fino al 2028. Scoppiano le tensioni in tutto il Paese.

La storia d’amore fra Unione Europea e Georgia sta attraversando una delle sue peggiori crisi. Il Paese caucasico si considera da sempre parte dell’Europa, in ragione di motivi storici, culturali e soprattutto religiosi. Dalla Rivoluzione delle Rose (2004) la direzione di politica estera della Georgia si è sempre indirizzata verso gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, come una via per ‘tornare a casa’ dopo l’esperienza sovietica. Tanto che nel 2014 è stato siglato l’Accordo di Associazione fra Georgia e UE, e nel 2017 l’adesione UE e NATO diventavano obiettivi costituzionali (art. 78), entrambi durante governi a guida Sogno Georgiano (GD). A prescindere dall’ultima dichiarazione, poi, la questione europea è rimasta centrale anche durante le campagne elettorali delle parlamentari di fine ottobre. Proprio durante l’ultimo comizio preelettorale dello stesso partito Sogno Georgiano, il suo fondatore, Bidzina Ivanishvili, confermava ad una folla sotto centinaia di bandiere europee che ‘se sogno Georgiano vincerà alle elezioni […] tutti ne saranno vincitori perché ci aspettano anni di sviluppo, ricostruzione e di integrazione nell’Unione Europea’. Obiettivo riconfermato il giorno dopo dal suo primo ministro, che in un’intervista  affermava come “l’attuale governo è chiaramente pro europeo e […] continueremo a fare di tutto per promuovere l’accesso della Georgia in Unione Europea”.

Le elezioni della discordia 

Tuttavia, negli ultimi due anni, e in particolare dallo scoppio della guerra in Ucraina, le parole del partito sembrano sempre più vuote, e nella pratica si è andato allineando sempre di più ad una linea definita ‘alla russa’. Le elezioni sono state l’occasione per far venire i nodi al pettine. Il 26 ottobre GD vince il 54% dei voti ma i risultati vengono duramente contestati dalle opposizioni, da ONG locali e dalla presidente Zourabuchvili, che si appella alla Corte Costituzionale, la quale alla fine, però, ne riconoscerà la validità. Anche l’OSCE sarà della stessa opinione e definirà ‘competitivo’ il processo elettorale. Nonostante questo, i leader d’opposizione hanno, da subito, chiamato la popolazione a manifestare tutti i giorni fino all’annullamento dei risultati elettorali e si sono rifiutati di sedersi ai seggi assegnatigli in parlamento. Intanto, gli appelli della popolazione e dei capi di partito d’opposizione ai leader europei hanno diviso l’opinione, fra coloro che promuovono proposte di avviare sanzioni contro GD, appoggiare nuove elezioni e di inviare una missione nel Paese; e chi le respinge (fra cui l’Italia). Ma anche chi, come nel caso delle Repubbliche Baltiche ha vietato l’accesso ai leader di GD nel territorio nazionale. 

In ogni caso, il 25 novembre, il nuovo parlamento procede all’insediamento con solo GD presente, il quale propone indisturbato il prossimo candidato alle presidenziali, che sarà eletto, il 14 dicembre, per la prima volta dal parlamento e non direttamente dal popolo. Di fatto, quindi, annunciando quello che sarà il prossimo presidente della Georgia: Mikheil Kavelashvili, ex calciatore, euroscettico e anti-NATO. A questo si somma, pochi giorni dopo, la famosa dichiarazione del 28 novembre di Kobakhidze secondo cui “oggi abbiamo deciso di non inserire la questione dell’apertura dei negoziati di adesione con l’UE nell’agenda fino alla fine del 2028. Inoltre, respingeremo qualsiasi sovvenzione di bilancio proveniente dall’UE fino a tale data”, che porterà allo scoppio delle proteste in tutto il Paese.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso

Di fatti, la dichiarazione del Primo ministro è ben più articolata, e parla non di un blocco, ma dell’ ”intenzione a continuare il percorso verso l’Unione Europea con dignità. […] e non come se la nostra integrazione nell’UE fosse un favore da ricevere. […] Alcuni politici e burocrati hanno provato a definire le relazioni fra Georgia e UE come unilaterali. Coloro che sperano nella nostra sconfitta hanno portato il Parlamento Europeo a diventare strumento di minaccia contro la Georgia. […] Oggi alcuni politici europei attaccano il nostro legittimo processo elettorale e mettono in dubbio lo stesso report dell’OSCE/ODIHR con lo stesso fervore dei leader dell’opposizione radicale in Georgia. […] Considerando tutto questo – conclude il Primo ministro – oggi abbiamo deciso di non inserire la questione dell’apertura dei negoziati con l’UE in agenda fino alla fine del 2028. Quando saremo adeguatamente preparati dal punto di vista economico per avviare i negoziati per l’adesione all’UE nel 2030.”

A prescindere dalla genuinità delle parole del primo ministro, diventa comunque chiaro come la dichiarazione arriva in risposta all’ambigua reazione dei leaders e delle istituzioni europee nei confronti del nuovo governo e della sua vittoria alle elezioni. Inoltre, l’ingresso finale nell’UE non è stato ‘rimandato’ o ‘bloccato’, essendo già previsto per il 2030, come dichiarato in altre occasioni a febbraio e ottobre di quest’anno. A cambiare sarebbe la strada che il governo vorrebbe percorrere per arrivare a questa data, ovvero, facendo conto sulla rinvigorita forza economica derivata da rimesse, turismo e investimenti dei russi che, per aggirare le sanzioni, scelgono la Georgia come propria destinazione e a cui il governo non vuole rinunciare spostandosi troppo a occidente; e sottraendosi al monitoraggio delle istituzione europee che minerebbe la possibilità di ricorrere a metodi più autocratici per rimanere al potere, ed in particolare l‘uso del sistema giudiziario come strumento politico.

Le proteste si inseriscono, quindi, nella più ampia concatenazione degli eventi, e in un clima di altissima tensione. A seguito delle parole del primo ministro cinque ambasciatori georgiani nel mondo si sono dimessi dall’incarico (USA, Bulgaria, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Lituania); la presidente Zourabichvili, ha dichiarato che non lascerà la presidenza fino all’annullamento dei precedenti risultati elettorali e, a partire dalla sera stessa del 28 novembre, la popolazione è tornata a riempire lo spazio antistante il parlamento, nella capitale, o delle sedi di partito GD, nelle altre città del Paese, in maniera del tutto spontanea per la prima volta dalle elezioni. A Tbilisi, nella notte, sono poi iniziati gli scontri più violenti con le forze dell’ordine che hanno risposto con idranti e altra violenza, consegnando ai cittadini un ulteriore motivo di protesta. Nei giorni seguenti, gli scontri sono andati aumentando e diventati sempre più organizzati: da una parte, la polizia procede ad arresti sommari, violenze sui civili anche attraverso proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Dall’altra, i manifestanti, si riparano dietro a barricate improvvisate e rispondono all’acqua con fuochi d’artificio e petardi lanciati direttamente contro le forze di polizia.

Una situazione che continua da giorni e non accenna a fermarsi e che è la massima espressione di frustrazione dei georgiani, compressi fra l’autoritarismo del governo (e le violenze delle forze dell’ordine) e il clima di sempre maggiore tensione provocato, anche, dalla retorica delle opposizioni. Confermato dal fatto che la situazione non si sia attenuata neanche a seguito del dietrofront del primo ministro del 2 dicembre, quando è arrivato a chiedere agli USA un ‘reset‘,  e ha riconfermato l’integrazione europea al ‘top delle priorità‘ e ‘al massimo dell’intensità‘, sottolineando come la sospensione non fosse mai stata intenzione del governo. 

Chi è Luca Ciabocco

Ha ottenuto una laurea triennale in lingue e culture straniere presso l'Università di Urbino, ed è attualmente studente magistrale di studi dell'est Europa ed euroasiatici a Bologna. I suoi interessi riguardano nazionalismo, identità e aspetti sociali e culturali dello spazio post-sovietico.

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