Il 17 novembre esponenti di spicco dell’opposizione russa si sono riuniti a Berlino, dando vita alla “Marcia contro la guerra”. Dal piccolo parco Henriette-Herz il corteo di circa tremila persone si è recato nei pressi dell’ambasciata russa, passando per Checkpoint Charlie. East Journal è stato alla manifestazione e ve la racconta in questo articolo.
Manifestazione nuova, volti vecchi
Processare Putin come criminale di guerra, rilasciare i politici imprigionati dal Cremlino e ritirare le truppe dal territorio ucraino. Queste le tre richieste principali avanzate dai leader della manifestazione, Yulia Navalnaya, Ilya Yashin e Vladimir Kara-Murza. La prima, moglie del defunto Alexei Navalny, ha da poco deciso di raccogliere il testimone del famosissimo
oppositore russo, mettendosi a capo della Fondazione Anticorruzione. Yashin e Kara-Murza, politici di più lunga data, sono stati liberati dalle carceri russe questo agosto, in uno scambio
di prigionieri.
“È interessante vedere per la prima volta queste persone insieme” ci dice Oksana, la sera prima della manifestazione. Vive a Berlino da ormai quindici anni ma ha sempre seguito ciò che accadeva in Russia. E già da parecchio tempo ha deciso da che parte stare: contro Putin e il Cremlino. A testimoniare il suo coinvolgimento c’è un’enorme bandiera Ucraina coperta di firme appesa nel salotto. “Viene da Mariupol” dice Denis, il marito di Oksana. “Ce l’hanno data perché in questi tre anni abbiamo fatto diverse donazioni all’esercito ucraino. Per noi è un enorme regalo.”
A convincerli a partecipare alla manifestazione è stata la richiesta di ritiro delle truppe dall’Ucraina. “Prima tutti i messaggi riguardavano i russi: i russi in prigione, le finte elezioni, la dittatura di Putin. Sono tutte cose importanti da ribadire, ma adesso c’è un conflitto aperto, che sta distruggendo l’Ucraina”.
Alla ricerca dell’unità
L’unità sembra essere il filo conduttore dell’evento. Gli unici battibecchi, riguardanti l’opportunità di partecipare alla manifestazione con il tricolore russo (invece della ben più presente bandiera bianco-blu-bianca), sono subito rientrati. Dal palco – un tavolo che viene allestito ogni volta che il corteo si ferma – Ilya Yashin chiede il rilascio dei politici in prigione, Yulia Navalnaya ricorda il marito e chiama Putin assassino; Vladimir Kara-Murza ricorda Boris Nemtsov (assassinato nel 2015) e le manifestazioni sulla Piazza Rossa del 1968, quando l’Unione Sovietica entrò con i carri armati a Praga. I cori si susseguono uno dopo l’altro, più o meno ripresi dalla folla: “Putin assassino”, “Navalny eroe della Russia”, “Russia libera”, “Fuori le truppe dall’Ucraina” e “Bielorussia libera”.
Ma a sorprendere, soprattutto, è la grande varietà di bandiere ed organizzazioni presenti all’evento. Riuniti sotto un enorme striscione nero, dove campeggia la scritta “Morte all’impero”, ci sono anarchici e anarco-comunisti. Quasi una decina di persone ha portato in manifestazione cartelli e simboli del Corpo dei Volontari Russi (RDK), un gruppo di estrema destra che combatte in Ucraina insieme alle truppe di Kiev. Altri cartelloni a supporto della Legione “Russia Libera” (LSR), un gruppo analogo ma più liberale. E ancora bandiere della comunità LGBT+ e delle repubbliche della Federazione Russa.
Alina è arrivata tardi alla manifestazione. Il cartellone che ha portato alla marcia recita “Siberia contro la guerra” da un lato e “Libertà per la Siberia” dall’altro. Ha incontrato per caso delle altre manifestanti che sventolavano una bandiera siberiana e ha continuato la manifestazione con loro. “Non so a cosa porterà tutto ciò nel futuro”, ci ha detto ad evento concluso. Se pensa al destino del suo villaggio, vicino a Krasnoyarsk, Alina si emoziona. “Non so quando e se potrò tornarci”. Ma di una cosa è più certa: “ci vuole uno stato siberiano. L’Oriente russo è semplicemente troppo lontano da Mosca, abbiamo interessi diversi, culture diverse. Quando Putin parla di ‘popolo nazionale russo’ a me, che ho un padre siberiano e una madre tatara, viene da ridere”.
Uniti a metà
Anche Sasha e Polina sono arrivati alla manifestazione quando già si stava concludendo. Quando abbiamo chiesto loro che clima si respirasse, hanno detto che si sentivano bene, che era bello trovarsi tra volti amici, uniti per una causa. Mentre parliamo, intanto, un piccolo gruppo di persone con bandiere ucraine si è riunito intorno al memoriale per Navalny. Sui cartelloni c’è scritto: “Putin – criminale, russi – complici”, “Russia stato terrorista” o “Non è solo la guerra di Putin”. In mattinata, d’altra parte, lo stesso ambasciatore ucraino in Germania, Oleksij Makejev, aveva dato la sua opinione sulla manifestazione in un articolo per il quotidiano Zeit. “Una campagna di pubbliche relazioni il cui target non è la popolazione russa, bensì i media e i politici tedeschi. Una richiesta certamente creativa da parte di una ONG inutile per ottenere finanziamenti federali e europei. La lotta non è contro il regime russo, ma per attirare l’attenzione tedesca”.
Chiediamo conto dei cori che provengono da poco distante ai nostri interlocutori. “Beh, hanno le loro ragioni per dire quello che dicono” dice Polina. “Ma noi, dopotutto, che dovevamo fare? Rimanere a casa? Questa manifestazione serve proprio a ribadire che la Russia siamo anche noi, qui, nelle città europee”.
Un ragazzo suona la chitarra elettrica accompagnato dalle voci di tanti presenti – salvo poi essere invitato a smettere dalla polizia. La luce cala e la temperatura si abbassa a Berlino, e i manifestanti – chi interdetto, chi soddisfatto – ritornano alle loro case e alle loro vite. La sera, intanto, lascia spazio alle indiscrezioni, secondo le quali l’uscente presidente americano, Joe Biden, avrebbe dato il suo assenso alle azioni militari ucraine per colpire in profondità il territorio russo.