Novi Sad
Manifestanti protestano contro il governo dopo il crollo della tettoia alla stazione di Novi Sad costato la vita a quattordici persone

SERBIA: Tragedia alla stazione di Novi Sad, la corruzione che uccide

Migliaia di persone hanno manifestato per le strade della Serbia chiedendo giustizia dopo il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad lo scorso 1° novembre, costato la vita a quattordici persone.

L’incidente 

Lo scorso primo novembre quattordici persone sono morte e altre decine sono rimaste ferite in seguito al crollo della tettoia all’ingresso della stazione ferroviaria di Novi Sad, capoluogo della Voivodina e seconda città della Serbia. Al momento del crollo, avvenuto a mezzogiorno circa, erano molti i cittadini che transitavano in quel punto. La stazione di Novi Sad, costruita nel 1964, era stata recentemente ristrutturata grazie ai fondi ottenuti dalla Cina nell’ambito della “Belt and Road Initiative”, la nuova Via della Seta. La tettoia è una delle poche opere non coinvolte nei lavori di ricostruzione in corso nella stazione, inaugurata lo scorso 5 luglio e interessata dal progetto di linea ferroviaria ad alta velocità fra la città e Subotica, al confine con l’Ungheria. Da oltre un anno inoltre la cittadina è collegata con Belgrado da una nuova linea di treni veloci, primo tratto della linea prevista fra la capitale serba e Budapest.

I lavori di ricostruzione della ferrovia e della stazione sono stati affidati al consorzio di ditte cinesi composto dalla Chinese Railway International Company (CRIC) e la Chinese Communications Construction Company (CCCC) e, in base a quanto sta emergendo, subappaltati ad una ditta locale. La supervisione dei lavori era stata invece affidata ad una ditta ungherese. Il consorzio cinese subito dopo il crollo ha spiegato che la ricostruzione della tettoia non rientrava nei lavori che erano stati affidati loro, versione però smentita dall’ingegnere Zoran Đajić, che fino a marzo 2023 aveva lavorato come consulente al cantiere e aveva consigliato proprio degli interventi sulla tettoia in questione.

La reazione dei cittadini: un crimine, non una tragedia

La rabbia dei cittadini e la sfiducia verso le istituzioni sono esplose nelle strade di Belgrado già domenica 3 novembre, quando alcune centinaia di manifestanti hanno protestato prima davanti al palazzo del primo ministro Miloš Vučević e poi di fronte al Ministero delle Infrastrutture al grido unanime di “un crimine, non una tragedia”. I manifestanti, con le mani coperte di vernice rossa, hanno lasciato le loro impronte di fronte ai palazzi delle istituzioni prima di disperdersi.

Altre manifestazioni si sono tenute martedì 5 novembre in una Novi Sad decisa a voler ricevere delle risposte dal governo su quanto accaduto. La protesta ha visto un’enorme partecipazione ed è stata interessata da scontri, disordini e violenze. Quattordici persone ammanettate, tra cui i membri dell’opposizione Goran Ješić e Miša Bačulov, e attivisti dei gruppi studenteschi. Il governo ha attribuito la responsabilità delle violenze all’opposizione, mentre l’opposizione ha risposto che dietro le violenze si celava il governo stesso. Come riportato dai giornalisti di N1 e Radar presenti in loco, sembrava infatti che i gruppi di facinorosi fossero stati mandati lì apposta per scatenare il caos. 

A Belgrado cittadini ed esponenti dell’opposizione si sono dati appuntamento lunedì 11 novembre per chiedere le dimissioni di Vučević e del sindaco di Novi Sad, Milan Đurić. Durante le manifestazioni è stato anche chiesto che vengano ispezionati tutti i progetti infrastrutturali avviati o realizzati negli ultimi 10 anni. Pavle Cicvarić dell’organizzazione studentesca Mladi Borba ha affermato in sede di manifestazione che i politici al potere “hanno le mani sporche di sangue“, mentre per l’ex sindaco di Novi Sad Borislav Novaković il furto, l’arroganza e l’incompetenza non sono i punti deboli di questo governo, “ne sono l’essenza“.

I cittadini serbi, che hanno scritto sugli striscioni delle parate di avere “fame di giustizia”, chiedono quindi che le autorità si assumano le proprie responsabilità e che giustizia sia fatta, rendendo pubblici i contratti legati alla ristrutturazione in tutte le loro parti e rilasciando i cittadini e i membri dell’opposizione arrestati durante la manifestazione del 5 novembre.

Le indagini

La procura ha immediatamente aperto un’indagine e ha ascoltato finora 66 testimoni, con lo scopo di accertare le responsabilità dell’accaduto e soprattutto se la tettoia fosse stata interessata o meno dai lavori di ristrutturazione. Tra i testimoni interrogati dalla procura c’è anche il Ministro delle costruzioni, dei trasporti e delle infrastrutture, Goran Vesić, responsabile anche delle ferrovie serbe e fedelissimo del presidente Alkesandar Vučić già ai tempi dei progetti dell’urbicidio di Belgrado.

Tuttavia la procura, il cui ultimo comunicato stampa in merito all’indagine risale al 5 novembre, non ha ancora reso noto se verrà avviato un procedimento contro gli interrogati. Quello stesso giorno, forse su pressione dello stesso Vučić, Vesić ha presentato le proprie dimissioni, dichiarandosi esente da qualsiasi responsabilità nel disastro. Vesić ha infatti spiegato che la maggior parte delle decisioni prese dal suo dicastero precedevano il suo mandato e che il Ministero aveva il compito unico di finanziare l’opera. Sarà dunque la procura, secondo Vesić, che dovrà stabilire perché la tettoia non è stata ricostruita.

Da canto suo, il presidente Vučić ha prima gongolato per la presunta scarsa partecipazione alle manifestazioni di Belgrado, accusando l’opposizione di “cavalcare qualsiasi tragedia per ottenere voti”. Successivamente ha dichiarato che i contratti con le due società cinesi responsabili dei lavori sono vincolati da “accordi segreti”, e poi, come Vesić, ha tentato di scaricare la colpa sul governo precedente, reo di aver concluso un accordo con la Cina che includesse clausole di riservatezza una quindicina di anni prima. I rappresentanti dell’opposizione hanno respinto le accuse, dichiarando che nei contratti firmati con le aziende cinesi non vi è cenno ad alcuna clausola di riservatezza.

Vučić ha recententemente proposto di organizzare un referendum consultivo per rimuoverlo dall’incarico, operazione giudicata da molti incostituzionale a riprova della volontà del presidente di giocare con le istituzioni a suo piacimento. Nella Serbia stritolata dal regime è lecito chiedersi se la procura sarà in grado di condurre le indagini senza interferenze e ostacoli, e se queste indagini getteranno luce su tutte le responsabilità delle morti.

Le conseguenze politiche della tragedia

Di fronte alla tragedia, la prima mossa dei funzionari serbi è stata quella di cercare di tenere nascosti all’opinione pubblica i documenti degli investimenti, rendendo così difficoltoso determinare con precisione quali parti della stazione fossero state affidate agli appaltatori cinesi per la ristrutturazione, nonché i compiti specifici assegnati a queste aziende. Secondo il portale d’informazione della Vojvodina Szabad Magyar Szó i dettagli sull’intera portata della ristrutturazione rimangono riservati, poiché il Ministero dei trasporti “non ha rilasciato la documentazione” del progetto alla stampa, seguendo le istruzioni del consorzio cinese. Tuttavia, Radio Free Europe ha pubblicato alcuni documenti che rivelano come la tettoia in questione non fosse stata presa in considerazione dagli esperti e dalle autorità serbe durante la fase di pianificazione del progetto di ristrutturazione. Assenti anche i documenti disponibili al pubblico riguardanti le scadenze date agli appaltatori cinesi per i lavori alla stazione.

Tra i manifestanti e i cittadini aumenta la certezza che la tragedia non sia stata un incidente, ma un vero e proprio crimine, dal momento che secondo buona parte dell’opinione pubblica le vittime del crollo sono state uccise dalla corruzione e dal malgoverno che dilagano nella Serbia del presidente Vučić e dei suoi alleati, un paese che sta cadendo a pezzi.

Il clima che si respira oggi in Serbia ricorda quello dopo le terribili stragi nella scuola Ribnikar di Belgrado, il 3 maggio 2023 e di Mladenovac il giorno dopo, quando il governo venne accusato di aver creato i presupposti per le sparatorie in un controverso processo di normalizzazione della violenza. Stragi che scatenarono accese proteste che durarono mesi e che condussero alle elezioni straordinarie del dicembre scorso.

La sensazione è che da quel tragico maggio in Serbia nulla sia cambiato: la repressione del dissenso attuata dalle forze dell’ordine e dal partito al potere è in costante e indisturbato aumento. Forse la tragedia avvenuta a Novi Sad, con le sue responsabilità così evidenti, scuoterà la coscienza dei serbi in maniera ancora più profonda di quanto già accaduto dopo le sparatorie del maggio 2023, spronando alla rivolta una società ottenebrata da anni di malgoverno, corruzione e distorsioni mediatiche. Una corruzione che uccide. Forse stavolta i serbi andranno alle urne e potranno davvero sperare in un cambiamento, così da non essere costretti a vivere ancora in un paese che non si evolve mai.

Foto: reuters.com

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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