Il vertice dei BRICS tenutosi in Russia è stato un successo propagandistico per Putin e il Cremlino. Quali sono le possibilità che questo clamore mediatico si trasformi in una svolta concreta degli equilibri internazionali?
Putin da pariah a Trimalcione della politica internazionale
Non c’è dubbio che, dal punto di vista dell’immagine, il vertice dei BRICS tenutosi dal 22 al 24 ottobre a Kazan sia stato un successo per Putin e il Cremlino. Soltanto un anno fa, nell’agosto 2023, Putin aveva rimediato una figuraccia scegliendo di non partecipare al summit dei BRICS in Sudafrica, paese firmatario dello statuto di Roma e quindi tenuto a ratificare i mandati della Corte penale internazionale. Volendo evitare una situazione evidentemente imbarazzante a Johannesburg, costretta in teoria ad eseguire il mandato di arresto che pende sulla testa di Putin – e quindi scegliere uno dei due campi, con possibili ripercussioni in entrambi i casi –, Putin aveva scelto infine di seguire i lavori da casa, alimentando il clima di isolamento internazionale che accompagna la Russia dall’inizio dell’invasione su larga scala.
Quest’anno invece, ospitando l’evento, il Cremlino ha avuto l’occasione di mostrarsi amichevole con tutti i leader dei BRICS, con tanto di battute, abbracci e strette di mano. Unici assenti l’atteso principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman, e il presidente del Brasile, Lula, costretto da condizioni di salute non eccellenti. Ciliegina sulla torta – se così si può dire – è stata la presenza del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, di cui non sono passati inosservati i comportamenti apparentemente distesi con Lukashenko e Putin.
Cosa sono i BRICS? In due parole
BRICS è un acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Il termine, coniato agli inizi degli anni 2000 dal banchiere della Goldman Sachs Jim O’Neill, indicava semplicemente delle economie in rapida ascesa. Dal 2009 gli stessi paesi hanno cominciato a riunirsi annualmente in un vertice che viene ospitato a rotazione da uno dei paesi coinvolti, cui si sono aggiunti, nel tempo, anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran.
L’obiettivo a lungo termine del gruppo è quello di creare un “nuovo ordine mondiale”, che metta freno all’egemonia occidentale. In questo senso al vertice di Kazan si è parlato in particolare di affrancamento dal dollaro per i commerci internazionali e creazione di una piattaforma unica per gli scambi, agevolazione verso un’indipendenza finanziaria.
Situazioni simili, agende diverse
Al netto del successo propagandistico, poco è stato fatto concretamente per raggiungere gli obiettivi a lungo termine del gruppo e l’appuntamento di Kazan non deve essere ingigantito. I paesi dei BRICS, nonostante non sembrino destinati a diventare le economie trainanti nel 2050, come aveva predetto Jim O’Neill, rappresentano un’importante fetta dei mercati internazionali; ma allo stesso tempo rimangono un insieme piuttosto eterogeneo di stati, ognuno con le proprie ambizioni e agende politiche, accomunati ora da esigenze contingenti comuni e ora da prospettive opposte.
Per fare qualche esempio:
• India e Cina hanno insieme interessi comuni e contrastanti, alcuni dei quali riguardanti i confini dei due stati.
• Emirati Arabi Uniti e Iran hanno agende politiche molto differenti, soprattutto per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente. Basti ricordare che gli Emirati furono uno dei principali promotori degli Accordi di Abramo.
• Un discorso simile si può fare per il conflitto in Ucraina. Non esiste una politica comune: più che supportare Putin, la maggior parte dei paesi dei BRICS vorrebbero piuttosto una cessazione del conflitto
A questo quadro si devono aggiungere i recenti rifiuti a partecipare al vertice da parte di paesi che qualche anno fa sarebbe stato plausibile vedere a Kazan, tra Putin e Xi Jin Ping, come l’Armenia, il Kazakhstan e l’Argentina.
D’altra parte è quantomai difficile sviluppare orizzonti comuni per paesi accomunati dal solo fatto di non rientrare nell’orbita delle istituzioni politiche e militari occidentali, ma per il resto profondamente diversi dal punto di vista geopolitico, culturale e, per quanto banale, geografico.
La Russia non è sorella maggiore di nessuno
Mosca sembra aver perso il fascino culturale, economico e militare che il secondo dopoguerra le aveva riservato nei confronti dei paesi del Sud globale. E questo avviene in favore di altri paesi dei BRICS, come la Cina, l’India e gli Emirati, che più congenialmente possono assumere il ruolo di partner affidabile o arbitro terzo e imparziale.
L’impressione, fallace, che Putin si sia ritrovato nuovamente circondato da leader di paesi disposti ad accettare le politiche russe semplicemente in nome di una comune affiliazione è presto smentita se si dà uno sguardo più attento alle relazioni che i vari membri del gruppo intrattengono con Mosca. L’Iran e la Corea del Nord non forniscono armi alla Russia, come si potrebbe dire per i paesi europei e Kiev, ma le vendono. Lo stesso vale per la Cina, che vende alla Russia materie prime. Altri paesi acquistano gas a buon prezzo dalla Federazione, ma questo non si tramuta nella proiezione di una qualche influenza politica, economica o militare.
In un contesto in cui risulta difficile sviluppare prospettive comuni se non sotto il profilo economico, con i paesi dei BRICS che intrattengono relazioni tanto buone gli uni gli altri quanto con i paesi occidentali, Mosca ha tanti amici quanti se ne può permettere. Ma i soldi non sono infiniti.
—
FOTO: Kazan, WikimediaCommons