Elezioni Moldavia interferenze

Elezioni e referendum in Moldavia. Interferenze, compravendita di voti, ma non solo

Il risultato delle elezioni in Moldavia, tra interferenze e irregolarità, ha sorpreso buona parte degli osservatori e degli analisti internazionali. La presidente Maia Sandu, accreditata come ampiamente favorita per la rielezione e il conseguente secondo mandato, ha ottenuto il 42.45% dei voti. Una percentuale che la costringerà ad affrontare, nel secondo turno del prossimo 3 novembre, il candidato del Partito dei Socialisti della Repubblica Moldova (PSRM), Alexandr Stoianoglo, che ha guadagnato un sorprendente 25.98%. Si tratta di un risultato ben superiore a quello previsto dai sondaggi, secondo i quali il candidato dei socialisti avrebbe dovuto attestarsi attorno ad uno scarno 11-15 %.

Ancora più sorprendente è forse il risultato del referendum con il quale i cittadini moldavi si sono espressi sulla possibilità di inserire nella Costituzione un articolo che dichiara l’ingresso nell’UE obiettivo strategico. A dispetto di una narrativa pre-elettorale che invocava un successo travolgente per il Sì, la contesa si è dimostrata ben più aspra. Il referendum ha restituito l’immagine di un paese spaccato, con i favorevoli all’integrazione europea in vantaggio di una manciata di voti: 50.38% contro 49.62%.

L’analisi dei risultati si è concentrata prevalentemente sulle interferenze russe, che hanno giocato un ruolo decisivo nell’impedire la cavalcata trionfale di Sandu verso la rielezione e la vittoria del Sì al referendum. La pervasività delle infiltrazioni di Mosca e l’effetto nefasto sul processo democratico moldavo non è assolutamente in discussione. Prima delle elezioni le autorità hanno scoperchiato un traffico di denaro volto a comprare i voti di migliaia di cittadini. Dietro l’operazione vi sarebbe Ilan Shor, l’imprenditore condannato per frode, attualmente all’estero, che da mesi porta avanti una guerra politica con mezzi per lo più illeciti contro Sandu. A ciò bisogna aggiungere la soverchiante campagna di fake news e disinformazione portata avanti da politici e media ostili alla presidente uscente.

Ciò non toglie che il risultato elettorale possa essere interpretato anche analizzando altre questioni, così da restituire un quadro più complesso e sfumato che permetta di approcciarsi in maniera più consapevole al tema dell’integrazione europea di Chișinău e all’imminente ballottaggio.

Una vittoria risicata è pur sempre una vittoria (specialmente in Moldavia)

I marchiani errori dei sondaggi e la mancata vittoria di Sandu al primo turno non devono cancellare un dato incontrovertibile. L’opzione europea ha vinto. Il fatto che il margine tra Sì e No sia ridotto non deve portare ad una sottovalutazione del referendum, che ha fatto registrare una percentuale di affluenza superiore alle aspettative. In futuro, quando i negoziati con Bruxelles entreranno nel vivo e, con ogni probabilità, le voci euro-scettiche aumenteranno d’intensità, l’esito del referendum costituirà un’arma retorica, politica e istituzionale di peso non trascurabile e difficilmente reversibile. Nelle ultime ore la spaccatura del paese è diventata il principale tema di discussione, ma non bisogna dimenticare che anche paesi con processi elettorali molto meno accidentati di quelli moldavi, dinnanzi a temi polarizzanti come l’integrazione europea, si siano drammaticamente divisi. La Gran Bretagna rappresenta sicuramente il caso più eclatante, ma non l’unico; il referendum svedese del 1994 sull’adesione all’UE fece registrare la vittoria del Sì con un “mero” 53%. Tralasciando le previsioni troppo ottimistiche della vigilia e tenendo conto delle peculiari condizioni di partenza e delle ingerenze esterne, la vittoria del Sì rappresenta un evento di portata storica per il paese.

A far pendere l’ago della bilancia è stato senza dubbio il voto dei moldavi della diaspora. Un fattore previsto dal governo, che non a caso ha lavorato alacremente nelle scorse settimane per garantire che le procedure di voto all’estero fossero favorite da una logistica certosina. E’ possibile (per non dire probabile) che nelle prossime settimane il numero di attacchi e aggressioni verbali contro i moldavi della diaspora da parte delle forze euro-scettiche cresca esponenzialmente. Anche in questo caso, tuttavia, la Moldavia non è un unicum. In Romania, paese membro dell’UE dal 2007, con istituzioni ben più solide ma con una simile storia migratoria, la spaccatura tra i cittadini rimasti in patria e la diaspora è stata per anni un tema caldo delle campagne elettorali.

A tutto questo bisogna aggiungere un’altra considerazione. Il risultato del referendum non indica necessariamente che tutti i moldavi abbiano una posizione netta sul tema, o che tutti coloro i quali abbiano votato No siano per forza di cose catalogabili come filorussi. Come ha giustamente fatto notare l’analista politico Cristian Cantar su X/Twitter, moltissimi moldavi detengono la cittadinanza romena, e di conseguenza possono godere di tutti i vantaggi pratici dell’appartenenza all’UE (libertà di movimento, accesso a posti di lavoro e finanziamenti) senza nessun ulteriore obbligo (reale ma, soprattutto, percepito). Questo potrebbe averli spinti a votare No al referendum, o addirittura a non presentarsi del tutto alle urne.

Quanto appena detto non vuole oscurare il fatto che l’ottimismo pre-elettorale sia stato clamorosamente spento, e che le forze euroscettiche e anti-Sandu siano ancora forti. Ribadendo ancora una volta l’importanza della compravendita elettorale già menzionata in apertura, bisogna chiedersi se, dietro l’esito del voto, ci sia anche qualcos’altro.

Cosa ha sbagliato Maia Sandu?

La presidente uscente ha ottenuto circa 8 punti percentuali in meno rispetto al Sì al referendum, nonostante il processo di integrazione europea sia stato non solo il principale cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, ma il più grande successo della sua presidenza. La Moldavia non è mai stata così vicina all’Occidente e all’UE come adesso. La guerra in Ucraina e il rapido deteriorarsi dei rapporti con la Russia ha giocato sicuramente un ruolo, ma fondamentale è stato anche l’attivismo internazionale di Sandu e la sua capacità di presentarsi ad ovest come interlocutore credibile e affidabile. Sebbene i sondaggi delle ultime settimane avessero iniziato ad abbassare le sue percentuali, la presidente ha comunque ottenuto meno di quanto si potesse immaginare solo qualche mese fa, e adesso si trova costretta ad affrontare un ballottaggio dall’esito quanto mai incerto.

Paradossalmente, l’elemento più preoccupante per Sandu è rappresentato dalla bassissima dispersione del voto europeista, che è confluito quasi del tutto verso di lei.  Gli altri candidati con posizioni di politica estera non del tutto difformi hanno ottenuto percentuali risibili, complicando ulteriormente la situazione in vista del ballottaggio. Tra le cause dei consensi inferiori alle aspettative, sia al referendum che alle presidenziali, va menzionata una non ben quantificabile disaffezione verso Sandu e il suo partito per questioni di politica interna. Pesano a tal proposito non solo le difficoltò economiche degli ultimi anni, ma anche gli scarsi risultati raggiunti nella lotta alla corruzione e nel rafforzamento dello stato di diritto, uno dei temi principali portati avanti da Sandu nella campagna elettorale del 2020. La grande riforma della giustizia promessa non è stata realizzata, e anche la confisca dei beni degli oligarchi condannati rimane lenta e farraginosa.

Secondo alcuni osservatori moldavi, tuttavia, la vera origine del risultato andrebbe ricercata nella tempistica del referendum. In un’analisi ospitata dal giornale online Ziarul De Garda, non passibile di accuse di euroscetticismo, l’analista politico Victor Ciobanu ha sottolineato come una consultazione di tale importanza, in un paese polarizzato e suscettibile ad influenze esterne illecite, avrebbe richiesto una preparazione superiore. La precocità del referendum e l’aver deciso di accorparlo alle elezioni presidenziali in un vero e proprio all-in politico potrebbe essere stata una delle cause del risultato più basso delle aspettative. Ciobanu ha poi sottolineato un altro problema non trascurabile: la struttura di partito dietro Sandu non si sarebbe prodigata abbastanza sul territorio per contrastare la disinformazione e le fake news portate avanti dalle forze anti-UE. Il punto sollevato da Ciobanu non è irrilevante, e anzi rappresenta una delle chiavi di lettura della tornata elettorale. Oltre ai fenomeni di compravendita di voti già menzionati, nelle scorse settimane i sostenitori del No al referendum hanno diffuso una serie di fake news sulle possibili conseguenze dell’ingresso nell’UE per l’agricoltura moldava. In particolare, ha iniziato a circolare una narrazione secondo la quale l’adesione all’Unione Europea avrebbe favorito l’ingresso di capitali stranieri nel paese e l’acquisto indiscriminato di tutte le terre coltivabili. Il tema è particolarmente sensibile in un paese ancora agricolo, e che sull’agricoltura basa una fetta consistente della sua economia. Poco è stato fatto per contrastare questa ondata di informazioni false. Se si escluse un pregevole lavoro di debunking condotto dalla redazione moldava di Radio Free Europe le forze filo-europee si sono concentrate più sulle questioni di sicurezza esterna e sugli aiuti economici legati all’avvicinamento a Bruxelles, marginalizzando questioni all’apparenza meno rilevanti ma pur sempre calde come, per l’appunto, il destino dell’agricoltura.

E adesso?

Alla luce dei risultati del primo turno, il ballottaggio del prossimo 3 novembre appare quanto mai aperto. Subito dopo la pubblicazione degli esiti del voto Maia Sandu si è appellata non soltanto agli elettori dei candidati a lei più affini (Andrei Năstase, Ion Chicu e Octavian Țîcu), ma anche a quelli del terzo classificato, l’ambiguo imprenditore Renato Usatîi, che ha ottenuto il 13.79%. Usatîi, ex sindaco di Bălți con un passato da uomo di affari nel settore dei trasporti, si era già candidato nel 2020, arrivando terzo. In quel caso decise di sostenere Maia Sandu al secondo turno, invitando i suoi elettori a votare contro il candidato socialista Dodon. Non è tuttavia chiaro se lo stesso schema si ripeterà anche nel 2024. Usatîi è infatti uomo dalle torbide posizioni. Per anni ha avuto atteggiamenti apertamente a favore della Russia, paese dove ha lavorato e intrattenuto affari fino a quando non è entrato nel mirino della giustizia locale. Tornato in Moldavia si è mostrato più conciliante verso il mondo filo-occidentale, come dimostrato dai fatti del 2020, il che però non rappresenta una garanzia delle sue scelte future. Al momento della stesura di questo articolo, Usatîi non ha ancora dichiarato chi sosterrà al secondo turno. A rendere il ballottaggio ancora più incerto sono inoltre i consensi guadagnati da Irina Vlah, l’ex governatrice della Gagauzia, e Victoria Furtuna, una ex procuratrice che, secondo Ziarul de Garda, sarebbe sostenuta da Ilan Shor. Vlah ha un passato da aperta euroscettica; nell’ultimo periodo si è mostrata più conciliante e filo-occidentale, ma è difficile dire dove si sposteranno i suoi voti. Furtuna, dal canto suo, ha mostrato posizioni più anti-occidentali e filorusse di quelle dello stesso Stoianoglo, ottenendo il 4.45%. Pertanto, ci sono pochi dubbi sul fatto che questi voti confluiranno verso il candidato dei socialisti. Il bacino di consensi di Usatîi diventa quindi il vero terreno di gioco in cui, nelle due settimane che precedono il voto, la presidente uscente e il suo avversario si contenderanno la vittoria, in una contesa non scontata.

Come è andato il voto in Gagauzia e Transnistria?

L’andamento del voto in Gagauzia e Transnistria ha offerto spunti di riflessione. Come prevedibile, in entrambe Stoianoglo (lui stesso di origine gagauza) ha ottenuto la vittoria con ampio margine. E’ interessante notare, però, come in Gagauzia il voto anti-Europa e anti-Sandu sia stato molto più netto che in Transnistria. Nella regione autonoma il No al referendum ha raggiunto un inappellabile 94%, condito dal misero 2.26 % di Sandu. I cittadini della Transnistria, cui era dedicata una sezione di voto nella città di Rezina, hanno votato in larga parte No al referendum (68%). Alle presidenziali, tuttavia, la presidente uscente è riuscita a raggiungere il secondo posto, con il 25.21 %. Il drastico risultato della Gagauzia non può essere spiegato soltanto con la compravendita di voti. Già nel 2014, infatti, nel quadro di un referendum svolto contro i voleri di Chișinău, i cittadini gagauzi avevano mostrato la loro ostilità all’UE esprimendosi per una maggiore integrazione economica con la Russia. Il dialogo con Comrat (città più importante della regione autonoma) sarà quindi una delle sfide più serie per Sandu in caso di rielezione.

 

FOTO: Flickr

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' attualmente assegnista di ricerca presso la medesima università. E' stato research fellow presso il New Europe College di Bucharest e professore di storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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