Il Congresso Mondiale Uiguro si ritrova a Sarajevo, nonostante le minacce della Cina
Il Congresso Mondiale Uiguro (World Uyghur Congress, WUC) a Sarajevo, tenutosi dal 24 al 27 ottobre in occasione della propria ottava assemblea generale, ha eletto una nuova leadership. Il Congresso Mondiale Uiguro ha denunciato via twitter di aver ricevuto dall’ambasciata cinese a Sarajevo, incluse pressioni per annullare l’incontro, minacce di far arrestare i suoi delegati, in particolare la presidente uscente Isa Dolkun, e persino di inscenare incidenti stradali.
Durante la stessa settimana, si è tenuta a Sarajevo una conferenza internazionale sul tema “Dal genocidio bosniaco a quello uiguro: lezioni apprese” con studiosi e attivisti. Secondo il Congresso Mondiale Uiguro, l’obiettivo è di sviluppare la cooperazione di ricerca e di advocacy sui crimini contro l’umanità.
Gli uiguri e Srebrenica
Proprio quest’anno, l’Assemblea generale ONU ha decretato l’11 luglio come giornata internazionale di riflessione e ricordo del genocidio di Srebrenica. E lo scorso 11 luglio la presidente Isa Dolkun era proprio a Srebrenica, a partecipare alla commemorazione delle vittime del genocidio del 1995.
In tale settimana infatti i rappresentanti del Congresso mondiale uiguro avevano fatto visita al direttivo del Congresso degli intellettuali bosniaci a Sarajevo, e concordato di continuare gli scambi per una migliore conoscenza reciproca della storia e del patrimonio culturale dei bosniaci e degli uiguri.
Gli ospiti avevano in particolare sottolineato la loro preoccupazione per il silenzio mediatico globale sulla pulizia etnica degli uiguri condotta dal regime cinese nella provincia occidentale dello Xinjiang (o Turkestan orientale), dove il popolo uiguro (11 milioni di persone) è maggioranza demografica da secoli, e subisce oggi crimini sistematici con elementi di genocidio, come l’internamento di quasi un milione di persone in campi di “rieducazione” volti ad annientarne l’identità culturale.
“Indipendentemente dagli interessi nazionali strategici della Cina, è inaccettabile che gli interessi statali vengano perseguiti con la forza e uccidendo altri che sono diversi, soprattutto su base etnica e religiosa”, avevano concluso le controparti bosniache.
Le espulsioni degli uiguri dalla Bosnia
La Bosnia Erzegovina mantiene un sistema di mobilità senza visti con Turchia e Cina, il che rende il paese balcanico una destinazione ambita – non solo per i congressi internazionali, ma anche per chi è in fuga da regimi autoritari.
Eppure, come riportava il media bosniaco Detektor, negli ultimi quattro anni la Bosnia Erzegovina ha rimpatriato almeno dieci uiguri, mentre altri due, tra cui un ex prigioniero dei campi di lavoro forzato cinesi, hanno lasciato il paese dopo aver atteso invano l’asilo politico. E’ il caso di Nur: uigura residente in Turchia, dove non si sentiva abbastanza al sicuro dal rischio di essere deportata verso la Cina, nell’estate del 2019 aveva preso un volo per Sarajevo. Ma era stata fermata dalla polizia di frontiera per problemi al passaporto, e rinviata indietro in Turchia, nonostante fosse incinta di sei mesi e con una figlia piccola.
Come ricorda Hugues Bissot, dell’ufficio in Bosnia Erzegovina dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), a causa delle violazioni dei diritti umani che subiscono in Cina, gli uiguri possono nella maggior parte dei casi ottenere protezione internazionale. Ma nel 2022 non una sola persona ha ricevuto lo status di rifugiato in Bosnia Erzegovina.
Gli affari cinesi dell’ex gran muftì bosniaco
A inizio 2023, l’ex capo religioso dei musulmani di Bosnia Erzegovina dal 1999 al 2012 , il gran muftì Mustafa Ceric, è stato accusato di aver contribuito a insabbiare le violazioni dei diritti umani di Pechino nello Xinjiang contro gli uiguri e altre minoranze musulmane.
Come riporta Radio Free Europe, Ceric ha visitato la regione insieme ad altri 30 religiosi e studiosi islamici da 14 paesi (tra cui Bosnia e Serbia), in un viaggio organizzato dal World Muslim Communities Council, un’organizzazione finanziata dagli Emirati Arabi Uniti. Parlando ai media cinesi, Ceric ha elogiato il crescente ruolo globale della Cina e “la politica cinese di lotta al terrorismo e de-radicalizzazione per raggiungere la pace e l’armonia nello [Xinjiang]”. Una dichiarazione da cui i vertici della Comunità Islamica di Bosnia Erzegovina hanno preso le distanze.
Da quando sono emersi i primi resoconti sul sistema dei campi di internamento cinesi nello Xinjiang nel 2017, Pechino ha messo in atto una campagna globale per plasmare l’opinione mondiale sui suoi abusi sugli uiguri, anche tramite influencer e tour mediatici. “La Cina sta ancora cercando di ingannare il mondo“, aveva affermato Isa Dolkun: “è un dato di fatto che la Cina ha adottato una politica genocida nei confronti degli uiguri e, allo stesso tempo, ha dichiarato guerra all’Islam”.
La posizione serbo-bosniaca sulle azioni di Pechino nello Xinjiang
La questione degli uiguri ha inoltre avuto ripercussioni anche nella politica interna della Bosnia. Nel luglio 2021, la ministra degli esteri Bisera Turkovic ha firmato una dichiarazione congiunta al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite insieme ad altri 40 paesi, per lo più occidentali, in cui si esprimeva preoccupazione per la situazione dei diritti umani nello Xinjiang e si chiedeva un’indagine internazionale.
In risposta, il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, che sedeva allora nella presidenza tripartita, ha inviato una lettera ufficiale all’ONU in cui chiedeva che venisse ritirata la firma della Bosnia dal documento. Benché opposto dagli altri due membri della presidenza Sefik Dzaferovic e Zeljko Komsic, Dodik aveva continuato a sostenere che criticare Pechino le sue azioni nello Xinjiang avrebbe portato a una “grave interruzione delle buone e amichevoli relazioni con la Repubblica Popolare Cinese”.
Foto: Reuters /Dilara Senkaya