CAUCASO: L’Inguscezia tra corruzione, paganesimo e Islam

di Enzo Nicolò Di Giacomo

Lo scorso dicembre un “burlone” di ministro inguscio, aveva annunciato alla stampa che sulle montagne caucasiche era stato catturato un esemplare dell’abominevole uomo delle nevi. A catturare lo yeti, sarebbero state le forze di polizia dell’Inguscezia, una piccola repubblica autonoma del Nord Caucaso. Tutto assolutamente falso. A dire tutto ciò è stato il ministro per il Lavoro e lo Sviluppo sociale Bagaudin Marshani, che ha ideato l’intera operazione pubblicitaria per finanziare alcuni progetti sociali in favore dei bambini bisognosi della piccola repubblica.

Ci troviamo in Inguscezia (Glalglaĭ), una repubblica autonoma della Russia, un tempo accorpata alla vicina sorella Cecenia e che sino al 1992 formava con essa la Repubblica Autonoma della Cecenia-Inguscezia. Poco più grande della Valle d’Aosta, conta meno di 500mila abitanti. I ceceni e gli ingusci (anche se diversi tra loro) condividono la medesima genesi etnica e linguistica, e assieme vengono definiti “Popolo-Vainakh”.

Contrariamente a ciò che si possa pensare tra ingusci e ceceni non è corso mai buon sangue. Accusati da Stalin di collaborazionismo coi nazisti, furono scacciati dalle loro terre e deportati alla stregua di bestie, nei Gulag siberiani e kazaki. Rientrati in patria e riabilitati nel 1956, gli ingusci trovarono le loro terre confiscate ed assegnate ai vicini osseti, popolo anch’esso caucasico ma di religione cristiana e di lingua vicina all’iraniano. Da quel momento per l’Inguscezia si aprì un lungo stato di semi-belligeranza con la vicina Ossezia, a causa dei territori oggetto della requisizione stalinista e della relativa attribuzione ai loro vicini persiani.

Oggi sulla linea di confine tra Nord Ossezia e Inguscezia stazionano migliaia di soldati russi che costituiscono le forze di interposizione, a garanzia del mantenimento della pace tra i due popoli. Rispetto agli altri popoli caucasici di fede islamica, gli ingusci hanno subito un’islamizzazione superficiale e hanno mantenuto quasi intatto, un certo sistema di credenze pagane che pervade tutto il sentimento religioso e domestico delle famiglie vainakh. Formalmente musulmani (convertitisi ‘solo’ 150 anni fa) questo popolo professa un islam molto soft e anomalo, che si accompagna a un tacito e silenzioso universo di pratiche animistiche, che sfocia in atti di devozione per le divinità protettrici degli armenti e dei raccolti.

Tutto ciò traspare anche, nella scelta di avere adottato una certa simbologia nella bandiera nazionale inguscia. Questa è costituita da un tricolore a strisce orizzontali verdi e bianche, con al centro la “Triscele rossa”, un simbolo magico-religioso, sotto forma di tripode rotativo raffigurante il cammino del sole, ricorrente in molte culture antiche. La triscele è presente in varie forme, in diverse aree dell’Eurasia: dal Mediterraneo (presente quale stemma ufficiale della Regione Sicilia), al Nord Atlantico (Bandiera dell’Isola di Man); dall’India all’Irlanda e dall’Inguscezia all’Estonia; rappresenta il ciclo cosmico dell’universo, ed è un richiamo alla primordiale fede animistica di questi popoli.

L’Inguscezia, assieme al Dagestan e alla Cecenia, probabilmente è oggi una delle repubbliche più corrotte e violente del Caucaso. Bisognosa d’ordine, oscilla tra ricchezza (si vedono in giro automobili di grossa cilindrata, costruzioni mirabolanti, lussuosi centri commerciali frutto di torbidi intrighi moscoviti-caucasici) e miseria rurale. Questo schiacciante dualismo spinge molti giovani ossessionati dal terrore di finire in mezzo ai blitz delle forze speciali filo-russe, a fuggir via o ad essere conniventi coi malavitosi locali. Alla fine molti di essi si ritrovano costretti ad arruolarsi nelle file dei “Mujaheddin di montagna”, non per amor religioso, né tantomeno per sentimento nazionalistico, ma solo per vedersi salva la vita. Proprio così, i mujaheddin ingusci: poco islamici e molto Vainakh.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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