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L’insostenibile insensatezza dell’accordo italo-albanese sui migranti

Quello in cui si sono andate a infilare Roma e Tirana con l’accordo per la deportazione dei migranti nei “centri di detenzione e rimpatrio” in Albania è un baratro umanitario insensato.

La deportazione, il baratro

Non si tratta di voler essere gratuitamente provocatori ma semplicemente di dare il giusto peso alle parole, per quel che sono e per quel che valgono. Magari con l’aiuto del dizionario della lingua italiana. Di deportazione si tratta, infatti, a tutti gli effetti, ovvero del trasferimento coatto, forzato, indesiderato e – soprattutto – ingiustificato di un essere umano da un luogo a un altro. E’ proprio il vocabolario a sottolineare che essa “si differenzia dal confino e dall’esilio principalmente perché si tratta in genere di una misura attuata su larga scala e su base razziale, etnica, politica o religiosa”. Esattamente quel che si sta prefigurando, quanto meno nelle intenzioni.

E che la questione abbia attinenza col razzismo è dimostrato dal fatto che in Europa nessuno, fortunatamente, s’è sognato di parlare d’invasione per descrivere l’arrivo degli oltre otto milioni di profughi ucraini dall’inizio dell’aggressione russa, cinque milioni dei quali hanno doverosamente ricevuto protezione temporanea – quasi duecentomila in Italia. Ma lo stesso criterio non è applicato a coloro che, spesso per ragioni del tutto simili, intraprendono viaggi pieni di rischi per tentare di ricostruirsi una vita altrove dal proprio paese: Siria, Afghanistan, Somalia solo per citare i principali.

Sul termine “baratro” la Treccani ci ricorda che esso indicava il nome di una voragine, fuori del centro urbano dell’antica Atene, nella quale si facevano precipitare i condannati a morte; solo che qua a precipitare, oltre che questa nuova categoria di colpevoli senza colpe, è un’intera classe dirigente, quella italiana, quella albanese e anche – da quel che è dato sentire in giro – quella di una fetta non trascurabile d’Europa, che ritiene questo “modello” degno d’attenzione e, addirittura, plausibile.

L’insensatezza

Ma è l’aggettivo “insensato” a offrire gli spunti di riflessione maggiori. Letteralmente significa “privo di sensibilità”, come riportato dal dizionario, e detto questo non servirebbe davvero aggiungere altro. Ma “insensato” è soprattutto ciò che è privo di logica, ragione, razionalità, raziocinio. Insensato, è sciocco, dissennato, sconclusionato, strampalato.

E comunque lo si rigiri, l’accordo italo-albanese è tutte queste cose insieme e lo è da ogni punto di vista. Lo è dal punto di vista giuridico e della normativa internazionale vigente, come dimostrato al di la di ogni ragionevole dubbio dalla sentenza di annullamento della convalida dei fermi dei primi deportati in Albania emessa dal Tribunale civile di Roma sabato scorso e, prima ancora, dal pronunciamento della Corte di giustizia europea. Ancor di più, lo è dal punto di vista economico – specie in un paese tecnicamente fallito e demograficamente decotto come il nostro – dove il lavoro degli immigrati rappresenta, da solo, quasi il 10% del PIL nazionale ed è concordemente considerato determinante nel sorreggere l’intero sistema paese supportandone anche l’equilibrio demografico, elemento essenziale per la sostenibilità dei conti pubblici e del sistema pensionistico.

L’umanità

Ma, in fondo in fondo, non è nemmeno questo il punto: a vederla solo da questa prospettiva, infatti, si rischia di porsi sullo stesso piano di coloro – e sono la maggior parte, anche a sinistra, triste dirlo – che in questi giorni hanno gridato allo scandalo per i costi dell’operazione, sicuramente insensati, pure quelli. Ennemila milioni di qua, ennemila milioni di là, cifre, numeri, dati: per viaggio, per migrante, per testa, per giorno, per pasto, per operazione di rimpatrio. Tutto giusto, tutto dissennatamente vero.

Così facendo, però, si perde irrimediabilmente il focus. Perché il punto centrale è un altro, perché la ragione vera per la quale quell’accordo è insensato, nel senso letterale del termine prima ricordato, è perché lo è dal punto di vista umano. Solo questo dovrebbe bastare perché è dannatamente solo questo il punto. Quell’accordo fa carne di porco delle mille storie che stanno dietro ogni singola persona, ogni singolo viaggio, ogni singolo passo di quel viaggio. Quell’accordo è pura macelleria umana.

Lo stesso giorno in cui la nave Libra della Marina Militare italiana ha iniziato il suo primo viaggio verso l’Albania col suo carico di sedici (sedici!) persone, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella era a Milano, città di immigrazione per antonomasia. Ed è proprio di immigrazione che Mattarella ha parlato, ricordando le difficoltà, lo sforzo ma, anche, la straordinaria generosità della gente comune per favorire l’integrazione della moltitudine inenarrabile di persone che negli anni Sessanta del secolo scorso si spostarono “al nord” in cerca di un’opportunità. Ha parlato di anima, Mattarella, un gigante nel panorama dei presunti leader politici dall’ego ipertrofico. Mi piace pensare che la scelta di Mattarella non sia stata casuale, né nel luogo, né nei tempi. E sono anzi certo che sia così.

Onore al merito?

Mi è tornata alla mente in questi giorni la storia di quel ragazzo maliano di quattordici anni morto annegato di fronte alle coste italiane, ormai dieci anni fa. Aveva cucita nei vestiti addosso la sua pagella scolastica, Makkox ne fece una splendida vignetta, quella che trovate nella copertina di questo articolo. Me n’ero dimenticato, lo ammetto, mi capita spesso di dimenticare le cose importanti, così come ho dimenticato il suo nome.

Ho provato a immaginare l’inimmaginabile; ho provato a immaginare lo strazio che deve aver accompagnato il gesto di quella madre nell’atto di cucire la pagella del figlio, deve essere stata una specie di morte. Cuciva e seppelliva, al contempo, le due cose si sovrapponevano, inscindibili. Cuciva e celebrava il funerale del figlio, che dolore più grande non c’è. Forse quella donna aveva sentito – chissà come, chissà dove – che da queste parti il merito era una cosa importante, talmente importante che anni dopo un governo ne avrebbe addirittura fatto un ministero. Difficile pensare a qualcosa di più millantato e disatteso.

Non è una questione di questo o di quel governo, beninteso, sebbene non voglia cadere nella trappola qualunquista di chi si rifugia confortevolmente nella formula autoassolutoria del “tutti colpevoli nessun colpevole”. E’, più in generale, una questione di questi giorni nostri e delle macerie che restano del nostro essere human beings, esseri umani. Esseri umani sparsi a casaccio sulla superficie terrestre dal vento, da Dio – uno dei tanti, a vostra scelta – da chi per lui.

E che fortuna t’assista. E che la buona stella t’assista e magari sappia indicarti la giusta direzione, farti nascere nel posto giusto, nel momento giusto.

(Foto: vignetta di Makkox)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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