In Bosnia Erzegovina si sono tenute le prime elezioni con la legge elettorale modificata a marzo dall’Alto Rappresentante: ecco i risultati.
Domenica 6 ottobre si sono tenute le tanto attese elezioni locali in Bosnia Erzegovina. Questa tornata elettorale è stata la prima ad essere organizzata secondo le modifiche legislative imposte lo scorso marzo dall’Alto Rappresentante Christian Schmidt, che ha fatto ricorso ai “poteri di Bonn” con l’obiettivo di migliorare l’integrità del voto. Queste modifiche legislative hanno suscitato diverse critiche, accendendo i riflettori sulle elezioni municipali che non sono state solo un test politico per le forze in campo, ma anche un banco di prova della qualità delle procedure democratiche.
I risultati elettorali
Il voto era rimasto in sospeso fino all’ultimo. Oltre alle questioni politiche tra Schmidt e Dodik, le alluvioni e smottamenti che il 3-4 ottobre hanno fatto 25 morti in Bosnia centrale avevano messo le autorità di fronte alla difficile decisione se mantenere o meno la consultazione. La Commissione elettorale centrale ha infine deciso di rimandare il voto solo nei sei comuni più colpiti. In cinque di questi le elezioni si sono tenute questa domenica 20 ottobre, mentre a Jablanica, epicentro del disastro, devono ancora essere calendarizzate.
In termini di risultati, le elezioni non hanno mostrato grandi cambiamenti. I partiti etno-nazionalisti hanno confermato la loro forza. L’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD), partito nazionalista serbo di Milorad Dodik che minaccia la secessione della Republika Srpska (RS), ha vinto nell’80% dei comuni dell’entità. Il Partito d’Azione Democratica (SDA), storica forza dei bosgnacchi, ha vinto in otto comuni in più, come rimarcato anche dal leader Bakir Izetbegović. Infine, il partito nazionalista croato, l’Unione Democratica Croata di Bosnia ed Erzegovina (HDZ BiH), ha ottenuto la maggioranza nel consiglio comunale di Mostar, principale città dell’Erzegovina dove il sindaco viene eletto indirettamente. Il leader del partito, Dragan Čović, si è detto soddisfatto del risultato, enfatizzando che Mostar era il principale obiettivo dell’HDZ.
Il sostegno ai partiti etno-nazionalisti è stato più ridotto nelle altre grandi città, confermando invece la loro forza nelle zone rurali. A Tuzla ha prevalso il Partito Socialdemocratico (SDP), progressista e multietnico, il cui candidato, Zijad Lugavić, ha ottenuto il 75% di voti. A Zenica è stato confermato l’indipendente Fuad Kasumović, sindaco dal 2016. Il suo movimento, che punta molto sulla lotta alla corruzione e al clientelismo, ha ottenuto il 45,3% dei voti, seguito dall’SDA con il 38,5%. Anche a Banja Luka, è stato confermato il sindaco uscente Draško Stanivuković del Partito Democratico del Progresso (PDP), frustrando il tentativo del partito di Dodik (fermo al 36,1% delle preferenze) di riconquistare il capoluogo della Republika Srpska. Benché sempre di stampo nazionalista serbo, il PDP si oppone alla sua gestione autoritaria del potere da parte di Dodik.
A Sarajevo, infine, la situazione è rimasta invariata, e i partiti della “trojika” (la coalizione anti-SDA di partiti bosgnacchi e multietnici, oggi al governo) dovrebbero riuscire a far eleggere un proprio esponente. Come a Mostar infatti, anche a Sarajevo il sindaco della città viene eletto indirettamente dai rappresentanti delle quattro municipalità che compongono la città – dove i partiti uscenti hanno confermato la propria presa: i socialdemocratici del SDP nella città vecchia (Stari Grad Sarajevo); i liberali progressisti di Naša Stranka nel comune del centro (Centar Sarajevo); l’indipendente Semir Efendić a Novi Grad Sarajevo; e di nuovo l’SDP nei quartieri più periferici di Novo Sarajevo, dove si è presentata la sindaca uscente di Sarajevo, Benjamina Karić, che ha raccolto il 42% dei voti.
Il processo democratico e i problemi persistenti
Le elezioni municipali solitamente non ricadono sotto lo scrutinio degli osservatori elettorali, ma questa volta è stato diverso. Tra le ragioni, anche la sfida di Dodik alle modifiche imposte da Schmidt. La Republika Srpska aveva infatti a fine aprile adottato una propria legge elettorale, e minacciato di organizzare da sé il voto nei propri 80 comuni. Alla fine, Dodik ha fatto retromarcia, anche per non rischiare di mettere a rischio l’accesso del partito ai fondi pubblici. In ogni caso, per la prima volta dal 2004, una missione di osservazione OSCE-ODIHR ha monitorato il voto. E nel loro rapporto preliminare, gli osservatori – tra cui sette eurodeputati guidati dall’italiana Lucia Annunziata – hanno parlato di elezioni competitive e ben organizzate, benché svoltesi in un contesto privo di coesione sociale.
Tra le varie misure imposte da Schmidt c’era anche l’incandidabilità per chi era stato condannato per crimini di guerra. Casi rari, a trent’anni dal conflitto, ma che facevano scalpore: come a Velika Kladuša, dove l’ex maggiorente jugoslavo Fikret Abdić, condannato a 20 anni in Croazia, era stato eletto e rieletto sindaco dal 2016 in poi. Come sottolineato dal giornalista Fahrudin Bender, a seguito del suo allontanamento i temi di economia e attualità abbiano ripreso vigore nella campagna elettorale sostituendo le narrative belliche ed etniche.
La missione di osservazione ha tuttavia sottolineato vari problemi persistenti. In fase di campagna elettorale diversi amministratori locali hanno abusato delle risorse pubbliche e diversi partiti sono stati multati per azioni illecite. Gli osservatori hanno inoltre sottolineato il limitato pluralismo dei media e la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica.
In Bosnia c’è una mancanza di coinvolgimento critico, e i partiti nazionalisti continuano a primeggiare non tanto per una reale affezione delle popolazione nei loro confronti, quanto per il radicato sistema di clientelismo che domina in molte aree del Paese. Come segnalato dal centro studi IFIMES di Lubiana, la popolazione, sfiduciata verso una politica che si interessa di temi lontani dalle problematiche quotidiane, utilizza il voto come mezzo per ottenere un beneficio personale: un lavoro, un sostegno istituzionale. La riforma elettorale è un primo passo, ma molti altri sono necessari per alimentare una democrazia più robusta in Bosnia ed Erzegovina, specialmente nelle aree rurali.
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