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GEORGIA: Guida alle elezioni 2024

A Tbilisi, per le strade e non solo, il fermento pre-elezioni è già davanti agli occhi di tutti.  Si parla di speranza, di libertà ma anche di paura e guerra. Ad un osservatore esterno non è subito chiara la situazione, poiché, a giudicare dai sondaggi, il partito attualmente al governo “Sogno Georgiano” è in netto vantaggio rispetto a tutti gli altri e ci si aspetterebbe una tranquilla vigilia di noiose elezioni dagli esiti già prevedibili, eppure così non è.

A fine Ottobre il popolo georgiano sarà chiamato alle urne per quelle che secondo alcuni saranno le elezioni più importanti nella storia della Georgia indipendente. Preoccupazione e interesse dominano tanto la popolazione quanto gli osservatori internazionali nell’attesa di comprendere la direzione politica del paese caucasico per i prossimi anni. Ad un primo sguardo ai sondaggi, però, l’attuale partito di governo “Sogno Georgiano” (GD), al potere dal 2012 e alla ricerca del quarto mandato consecutivo, non sembra avere rivali, con un consenso misurato al 32% (se non addirittura 60%, secondo fonti più posizionate) e con il secondo partito, il Movimento Nazionale Unito (UNM), dietro con 12 punti percentuali di distanza.

Eppure, nella narrazione che se ne fa, la Georgia viene dipinta come un paese ‘al bivio e queste elezioni, a detta dell’attuale Primo Ministro Kobakhidze, un ‘referendum fra pace e guerra‘. Evitando slogan propagandistici, però, l’importanza di queste elezioni sarà nella effettiva misurazione della posizione della società rispetto all’integrazione e al futuro europeo del Paese, e un test per la democrazia georgiana. Non perché, come qualcuno ha un po’ troppo brevemente ridotto, Sogno Georgiano rappresenti il ‘partito filo-russo’ e l’opposizione l’alternativa europeista, ma per ragioni ben più complesse.

Sogno Georgiano (?)

Quello che era cominciato infatti come la realizzazione del sogno Georgiano, considerando l’unità che per ben due volte aveva raggruppato sotto di sé la figura del magnate Ivanizishvili, fondatore del partito GD, e le sue posizioni generalmente moderate, ad oggi è per molti sempre più simile ad un incubo, e in particolare all’incubo georgiano per eccellenza: quello di uno stato mono-partito in deriva filo-russa.

Ovviamente sono da riconoscere i risultati ottenuti, soprattutto nei primi due mandati, dai governi di Sogno Georgiano, con varie riforme del sistema sanitario (2013), giudiziario (2013), per lo sviluppo regionale (2016) e in modo particolare per una maggiore trasparenza del settore pubblico (2015), attraverso programmi anti-corruzione (2016) e di libertà di accesso alle informazioni pubbliche (2016). Riforme volte anche a segnalare un modo diverso di fare politica rispetto al modo di amministrare a tratti torbido del governo precedente, che ha portato al controverso arresto di Saakashvili. Ma a definire i primi anni di governo guidati da Sogno Georgiano, è stata soprattutto un maggiore senso di moderazione rispetto alle tendenze più radicali dei governi UNM. Le quali, sempre secondo fonti di partito, sarebbe alla base dei conflitti che hanno interessato il paese negli anni 2000, tanto da rinominare UNM come ‘il partito della guerra’. Una retorica, che vera o meno, ha assicurato al partito 12 anni di governo consecutivo e un inusualmente lungo periodo di pace per il Paese, come sottolineato dallo stesso Ivanizishvili durante l’attuale campagna.

Lentamente, però, le istanze moderate hanno cominciato a lasciare spazio a sempre più centralizzazione, autoritarismo e un crescente sbilanciamento filorusso, seppur continuando a sostenere, almeno a parole, la volontà di procedere in direzione europeista. In particolare, nell’ultimo mandato, la ‘deriva filorussa’ si è fatta particolarmente evidente. Basti ricordare le tristemente famose ‘leggi russe’ sullo stato delle ONG finanziate da soggetti stranieri ma anche la crescente preoccupazione che invece riguardano diritti civili, comunità LGBTQ e certe tensioni autocratiche, che si sono espresse anche nelle ultime dichiarazioni di voler bandire dalle elezioni praticamente tutti gli altri partiti di opposizione. Tanto da costare alla Georgia il congelamento del processo di integrazione con l’UE (2024) e un peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti, che in una nota diplomatica sottolineano come “le democrazie non eliminano l’opposizione“.

E l’opposizione? 

Fino a qualche anno fa, simbolo dell’opposizione era il United National Movement (UNM) sotto la guida di Saakashvili, che ha guidato il paese dalla rivoluzione delle rose (2004) fino al 2012 quando è stato surclassato da GD. Poi, come notato da qualcuno, l’UNM era più precisamente simbolizzato dai suoi uffici in via Kakheti, vuoti e privi di manutenzione. Il partito, con gli anni,  e dovendo affrontare varie crisi – la prima delle quali è stata proprio l’arresto di Saakashvili – si è andato via via frammentando in diversi piccoli partiti che non hanno più avuto la forza di rimuovere GD dal governo: European Georgia (2017); Droa (2021) Strategy Aghmashenebeli (2016), Ahali (2024)... Ma le cose potrebbero cambiare.

Di fronte alle derive autoritarie e filo russe del governo, infatti, un nuovo senso di unità sembra raccogliere molti dei partiti d’opposizione, in varie coalizioni (Unity to save Georgia, Coalition for change, Strong Georgia and For Georgia), con l’obiettivo primario di superare la soglia di sbarramento al 5% e riuscire a contenere GD, più o meno uniti. In questo contesto, non si può non menzionare anche il ruolo dell’attuale presidente Zourabichvili come ‘fattore chiave di coesione.

Imprevedibilità e polarizzazione

Dunque ci si aspetta una sorta di tutti contro uno, rendendo i sondaggi trascurabili a fronte di una crescente imprevedibilità, anche considerata la risposta civile e la polarizzazione. Polarizzazione che si può misurare nella sempre piùavvelenata‘ retorica di GD che grida come l’opposizione trasformerebbe il Paese in una seconda Ucraina, sia riportando la guerra nel Paese, facendone territorio di scontro fra Occidente e Russia, ma anche per le preoccupazioni riguardo una ‘maidan Georgiana’. Accuse sostenute da indagini dei servizi segreti, ma che secondo altri, rientrano invece in una strategia di de-responsabilizzazione, trovando nell’Occidente collettivo un buon capro espiatorio da additare per le questioni domestiche.

La Georgia si ritrova, alla vigilia delle elezioni, a dover inevitabilmente fare i conti con la giovane età della propria democrazia, e con una serie di crisi politiche che di certo non semplificano la situazione, e si scopre ancora troppo immatura per sperare in elezioni trasparenti, democratiche e che non mettano continuamente in discussione la linea base del Paese facendo dell’appuntamento elettorale del 26 ottobre una data decisiva per i prossimi anni.

Chi è Luca Ciabocco

Nato nel 2000, è laureato in Lingue e Culture straniere presso l'Università di Urbino e attualmente studente presso l'Università di Bologna, Studi dell'Est Europa ed Euroasiatici (MIREES).

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