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CROAZIA: Femminicidi e aborto, le donne scendono in piazza

In Croazia le donne scendono in piazza per rivendicare giustizia e per difendere la legge sull’aborto. Femminicidi, violenze di genere, insindacabilità dei diritti acquisiti sono i temi portati per le strade nel giro di pochi giorni, temi che rimettono al centro del dibattito le donne e le loro istanze.

Giustizia per i femminicidi

Le prime piazze si sono riempite il 23 settembre scorso nella ricorrenza della Giornata nazionale contro la violenza sulle donne, giornata istituita vent’anni fa dal Parlamento croato in ricordo dell’eccidio compiuto da Mato Oraškić nel 1999 quando, nel pieno di una causa di divorzio, entrò armato in un’aula di tribunale a Zagabria uccidendo la moglie, la sua avvocata e il giudice.

Mentre nella stessa aula dove avvennero quei fatti si celebrava il rito ufficiale alla presenza del presidente della Repubblica Zoran Milanović e del ministro della Giustizia Damir Habijan, centinaia di manifestanti si sono dati appuntamento davanti al tribunale di Osijek, nell’est della Croazia, per protestare contro i presunti “insabbiamenti istituzionali” nelle cause di femminicidio. Non una scelta casuale quella di Osijek, ovviamente: è qui, infatti che si sta svolgendo il processo a Marko Smažil, agente di polizia accusato per l’omicidio della ventunenne Mihaela Berak, un anno fa. Ed è sempre qui che Zlatko Topalović, ginecologo all’ospedale cittadino, ha continuato a lavorare per mesi, nonostante la condanna in primo grado per lo stupro di una paziente, venendo poi rimosso solo a seguito delle pressioni esercitate dall’opinione pubblica.

All’inizio di quest’anno la Croazia ha introdotto una legge sul femminicidio nel Codice penale, unico stato europeo a farlo dopo Malta e Cipro. Una legge che non solo inasprisce le condanne per i colpevoli di femminicidio, ma anche quelle per la violenza sessuale, abolendo i termini di prescrizione e trasferendo le molestie alla sfera delle responsabilità penali. In linea con la Convenzione di Istanbul – la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, ratificata dalla Croazia e dall’UE – è stato introdotto il concetto di violenza di genere, indicandolo come circostanza aggravante.

La legge c’è ma la sua applicazione è ancora carente, al punto che ad oggi non ha ancora portato ad alcuna condanna. È Marija Lugarić, presidente del Comitato parlamentare per la parità di genere a suonare il campanello d’allarme, lamentando l’eccessiva lunghezza dei dibattimenti ed evidenziando come durante il loro svolgimento le vittime subiscano una “nuova vittimizzazione”, rendendole così riluttanti a denunciare.

Anche il presidente della Corte suprema, Radovan Dobronić, ha ammesso che seppure la situazione sia migliorata “non è ancora quella che dovrebbe essere”, sottolineando l’esistenza di “un grave problema sociale”. E, in effetti, sono i numeri ad avvalorare questa conclusione: una ricerca condotta lo scorso anno dal European Data Journalism Network notificava che la Croazia è terza in Europa per numero di omicidi commessi da parenti o compagni, mentre le statistiche mostrano che negli ultimi anni i reati compiuti da persone vicine si sono quadruplicati.

Va notato, tuttavia, che dall’inizio dell’anno i femminicidi sono stati quattro, in calo rispetto ai quindici che mediamente sono stati denunciati su base annua nell’ultimo decennio. Una diminuzione però poco significativa, non solo per testimoniare l’inizio dell’auspica inversione di tendenza della società croata, ma anche – più semplicemente – per certificare l’efficacia dell’effetto deterrente della nuova legge. Effetto, peraltro, evocato anche dal ministro della giustizia che nel suo intervento a Zagabria ha riconosciuto quanto sia necessario una maggiore sinergia tra coloro che hanno il compito di far applicare la legge. Un riconoscimento indiretto, questo, a quanti a Osijek hanno parlato di “insabbiamenti istituzionali”.

La legge sull’aborto non si tocca

La seconda piazza dei giorni scorsi è stata quella di Europski Trg a Zagabria, dove il collettivo femminista fAKTIV – un’associazione che da anni si batte per i diritti sociali e lavorativi delle donne – si è radunato per protestare contro la conferenza organizzata da una rete ultraconservatrice mondiale, Vision Network. Sotto lo striscione “non nella nostra città, conosciamo i vostri programmi” le attiviste hanno denunciato il presunto tentativo del network di “vietare l’aborto e la contraccezione, rendere più difficile il divorzio e criminalizzare la comunità LGBTIQ+”.

E in effetti il curriculum di Vision Network lascia poco spazio ai dubbi: costituita da varie associazioni dell’ultradestra mondiale è dichiaratamente antiabortista e contraria ai matrimoni egualitari ed è rappresentata, in Croazia, da gruppi come “40 Giorni per la Vita”, CitizenGo e In the Name of Family, apertamente supportati da diversi esponenti della Chiesa cattolica.

Sono proprio questi gruppi che, nel 2013, si erano attivamente spesi per il referendum che mise la pietra tombale sul possibile riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e furono ancora loro a ostacolare il percorso che ha poi portato alla stipula della Convenzione di Istanbul. È in questo contesto che l’associazione Croatian Life ha dato vita al cosiddetto rito degli “inginocchiati”, ovvero raduni di uomini che si incontrano in luoghi pubblici per pregare inginocchiati e che sostengono l’idea dell’uomo come autorità spirituale della famiglia, la castità e la fine degli aborti. Raduni che, già nel luglio scorso, avevano causato la reazione dei movimenti femministi croati e la richiesta di intervento del governo, oltre che di un ulteriore rinforzo della legge sull’aborto.

Un contesto, insomma, più che sufficiente per portare fAKTIV in piazza e per far dire a Vedrana Bibic, coordinatrice del collettivo, che le intenzioni di Vision Network “sono chiare e pericolose”.

Dopo il Me Too, movimento mondiale che aveva avuto un suo significativo sviluppo anche in Croazia e nei Balcani, le donne croate tornano dunque a far sentire la propria voce. Un segnale necessario, specie in una società che vira sempre più a destra.

(Foto: Pagina Facebook di fAKTIV)

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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