di Francesco Mazzucotelli *
Il nuovo libro “Empire of Refugees: North Caucasian Muslims and the Late Ottoman State” di Vladimir Hamed-Troyansky (Stanford: Stanford University Press, 2024) esamina la storia dell’esodo di milioni di musulmani (prevalentemente circassi, ceceni e abkhazi) dal Caucaso settentrionale verso l’impero ottomano nella seconda metà dell’Ottocento.
Si tratta di una storia poco nota al grande pubblico e che è direttamente legata alla conquista e definitiva incorporazione di quelle regioni nell’impero russo, con un corollario di massacri e violenze che sono state definite variamente come genocidio o pulizia etnica.
L’autore del volume mostra come l’afflusso di un numero enorme di profughi, in condizioni spesso spaventose, abbia indotto il governo ottomano a creare una politica sistematica di accoglienza dei rifugiati, utilizzando all’inizio anche un registro linguistico e simbolico di tipo religioso, connotato in senso islamico. Questo si nota ad esempio dalla scelta di chiamare i rifugiati con il termine muhājirūn, come i primi credenti nell’islām che seguirono il profeta Muhammad a Medina.
L’arrivo dei profughi e la necessità di una loro sistemazione definitiva creò tuttavia anche l’occasione per una politica di ingegneria sociale. Le autorità ottomane decisero di insediare i rifugiati in aree rurali periferiche, da un lato per aumentare la produttività agricola e dall’altro per stabilizzare le zone di frontiera che non erano mai state governate in maniera diretta e continuativa.
L’arrivo di centinaia di migliaia di rifugiati musulmani, caratterizzati da una cultura di tipo tribale, feudale e cavalleresco, ma anche dal risentimento e dalla rabbia nei confronti dell’esercito russo, ebbe tuttavia effetti deleteri sulle relazioni tra musulmani e cristiani in alcune regioni particolarmente delicate come la Bulgaria e l’Anatolia orientale.
La storia dell’esodo e delle traiettorie di vita dei rifugiati musulmani del Caucaso non è soltanto importante per la storia contemporanea della Turchia e della Giordania – dove i principali centri urbani, compresa l’attuale capitale Amman, furono popolati di circassi e ceceni. Secondo l’autore, sarebbe necessario studiare insieme le traiettorie di genocidio e pulizia etnica che hanno attraversato l’impero russo e l’impero ottomano, dai Balcani al Caucaso al Levante.
Concettualizzare i massacri nei Balcani, le deportazioni di massa nel Caucaso, il genocidio armeno, i trasferimenti forzati di popolazioni a margine del trattato di Losanna, le politiche staliniane e quelle kemaliste, la nakba come capitoli di un più grande volume non sarebbe allora un’azzardo; bensì, anche senza alcuna ingenua nostalgia mal riposta, un’analisi impietosa sul crollo dei modelli imperiali e sull’avvento del paradigma degli stati nazionali omogeneizzanti.
È difficile comprendere le pratiche odierne di confessionalismo, nazionalismo ed etnocidio senza considerare complessivamente la storia delle violenze di massa tra la metà del diciannovesimo secolo e la prima guerra mondiale.
*Francesco Mazzucotelli insegna storia del vicino e del medio oriente presso l’Università di Pavia.
- Book presentation: Empire of Refugees: North Caucasian Muslims and the Late Ottoman State
Immagine di sfondo: Dipinto di Pyotr Gruzinsky, The Abandonment of the Village by the Mountaineers as the Russian Troops Approach, 1872