Maia Sandu elezioni

MOLDAVIA: Se Maia Sandu non vince le elezioni

Il voto del 20 ottobre potrebbe cambiare l’orientamento della politica estera moldava, strettamente dipendente dalla situazione interna al paese. Se Maia Sandu dovesse perdere le elezioni, il vento europeista smetterebbe di soffiare, lasciando il posto alle correnti che spirano verso Mosca. Dal Mar nero al Baltico, passando per l’Adriatico, un altro focolare può incendiare l’Europa.

L’incertezza moldava nel voto di ottobre  

Nelle televisioni e nei giornali l’ombra lunga dell’Ucraina oscura le vicende moldave, lasciando a queste uno spazio minimo e (apparentemente) non indispensabile. Le notizie che arrivano da Chisinau, anche le più rilevanti, non sembrano poter cambiare il corso degli eventi su scala europea, né tantomeno globale. Al contrario, tra Bruxelles e Washington, tra l’UE e la NATO, la Moldavia fa parlare di sé; è un tema caldo in materia di politica estera e sicurezza, caldissimo in questo periodo. Fra pochi giorni, infatti, un doppio appuntamento elettorale potrebbe cambiare i destini della repubblica, e con lei quelli dell’Europa. Il 20 ottobre si terranno sia le elezioni presidenziali, per eleggere in uno o due turni il nuovo Capo di Stato, che il referendum di adesione all’UE, per portare avanti il processo di integrazione europea. 

Il voto di ottobre può cambiare davvero i destini della Moldavia, non c’è retorica. Lo insegna la storia recente del paese, ma anche la sua stessa struttura costituzionale. Per come stanno le cose, l’Unione Europea non da nessuna garanzia concreta alla Moldavia: gli accordi e gli impegni presi sono importanti ma non definitivi, e rimarranno tali fino a che Chisinau non li inserirà in costituzione (il referendum punta proprio a questo). Allo stesso modo, il processo di integrazione è il frutto di una scelta politica intrapresa negli ultimi anni che, in quanto tale, può cambiare da un giorno all’altro, soggetta agli umori e alle paure di politici ed elettori. Per questo, dalla proclamazione di indipendenza ad oggi, la politica estera moldava ha sempre rispecchiato la situazione interna al paese: profondamente incerta e conflittuale. 

Nel 1991, all’indomani del crollo sovietico, la Moldavia sembrò andare verso l’unificazione con la Romania, attraverso un progetto politico la cui irrealizzabilità si sarebbe svelata nel giro di pochi mesi. Fu solo l’inizio, negli anni successivi la stessa incertezza e volatilità avrebbe caratterizzato i programmi politici di tutti i partiti moldavi, inconsistenti perché destinati a durare – nel migliore dei casi – per una legislazione. Alcune volte, l’orientamento internazionale cambiò perfino all’interno dello stesso mandato; vedi Petru Lucinschi (1997-2001), passato dalla nostalgia sovietica ai dialoghi con l’UE. Lo scoppio della crisi ucraina poi, ha congelato il paese tra le figure di Maia Sandu e Igor Dodon, tra i filo-russi e i filo-europei, nella convinzione che il vincitore potesse imporre il proprio volere tout court, anche se inconciliabile con quello dell’avversario. Una partita di tiro alla fune più che una dialettica politica. 

In questo senso, il fatto che nell’ultimo anno l’integrazione europea abbia fatto grandi passi avanti non può far pensare che la partita sia chiusa. Guardandolo in una prospettiva storica, l’avvicinamento all’UE potrebbe non esser altro che l’ennesimo artificio politico destinato a spegnersi dopo un repentino cambio di governo. In tal caso, le conseguenze andrebbero ben oltre il Danubio e i Carpazi. 

 Se non vince Maia Sandu 

La sconfitta di Maia Sandu significherebbe il trionfo del PSRM (Partito Socialista), questa volta riunito nella figura di Alexander Stoianoglu, delfino di Igor Dodon e leader unico dell’opposizione. Seppur non ufficialmente supportati dalla Russia, i socialisti riaprirebbero il dialogo con Mosca, marginalizzando invece quello con Bruxelles; considerata una forza maligna che punta a soggiogare il paese attraverso prestiti di denaro. A questo risultato corrisponderebbe – con ogni probabilità – anche la vittoria del “no” al referendum, che non permetterebbe di inserire la prospettiva europea in costituzione. Da un giorno all’altro quindi, attraverso un solo voto, la Moldavia tornerebbe indietro di anni, e gran parte degli sforzi fatti con l’UE risulterebbero vani.  

Un presidente filo-russo e un diffuso sentimento euroscettico potrebbero ridisegnare anche la posizione geopolitica del paese, ri-orientando la bussola verso Est. Putin troverebbe in Chisinau un prezioso alleato sul fronte ucraino e più in generale nella sua guerra non dichiarata all’occidente atlantico. Con un solo passo la Russia otterrebbe un nuovo confine sia con la NATO (attraverso la Romania) che con l’Ucraina, guadagnando ulteriore potere negoziale nelle trattative per il cessate il fuoco con Kiev.  

Tuttavia, a prescindere dai risultati elettorali, il PAS di Maia Sandu godrà di una maggioranza assoluta in parlamento, e ciò dovrebbe consentirgli di bloccare eventuali iniziative volte a riavvicinare il paese alla Russia; perlomeno fino alle prossime elezioni parlamentari, da svolgersi entro giugno 2025. Inoltre, non è scontato che i Socialisti di Dodon puntino tutte le proprie carte su Mosca, chiudendo ogni dialogo con l’UE. Infatti, dagli anni dell’ultimo governo rosso sono cambiate molte cose, a partire dal contesto internazionale. Allearsi con la Russia in questo momento potrebbe avere più costi che benefici, anche per quelle forze che si proclamano filo-russe. Per questo, è più credibile pensare ad una politica di compromesso, che però potrebbe stagnare il paese in un limbo senza vie d’uscita. 

In ogni caso, la sconfitta di Sandu creerebbe ulteriori problemi in una zona d’Europa già carica di tensioni, e di certo non faciliterebbe il percorso di pace nel Vecchio continente. Ad esempio, se mal gestite, le irrisolte questioni in Gagauzia e Transnistria potrebbero definitivamente esplodere, aprendo prospettive incerte in tutta l’area danubiano-balcanica. Non solo, perché un focolare in Moldavia si inserirebbe nel più ampio quadro di un’Europa orientale riaccesa dai conflitti politici di natura etnica, che nel triangolo mar Nero, Adriatico e Baltico ritrova indomati i fantasmi del suo passato. 

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Chi è Livio Maone

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Universitá di Roma Tre. Attualmente è studente magistrale all'Università di Bologna.

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