Srebrenica? Una fandonia. Mladić? Un eroe. Karadžić? Un padre della patria che ha combattuto “una guerra difensiva e patriottica”, una specie di partigiano, insomma, un Sandro Pertini in salsa balcanica.
“Srebrenica” sempre più negata
Il Memoriale di Srebrenica ha appena pubblicato un rapporto che analizza gli episodi in cui, personaggi più o meno noti, hanno pubblicamente negato il genocidio di Srebrenica.
Un reato, nella fattispecie, perlomeno da quando l’allora Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Valentin Inzko, impose emendamenti al Codice penale che proibivano la negazione del genocidio e la glorificazione dei criminali di guerra. Era il luglio 2021 e quell’imposizione portò nel paese una escalation di tensione politica che si protrasse per mesi e rinvigorì quei desideri secessionisti mai sopiti, anzi.
La relazione del Memoriale non si limita a documentare le centinaia di violazioni della legge, 305 per l’esattezza, ma evidenzia un andamento crescente di casi dalla sua entrata in vigore, correlandolo alla sostanziale impunità di chi la infrange: dal presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik – vero recordman con ben 24 citazioni – a quello serbo, Aleksandar Vučić, tanto per menzionare i più significativi. La legge c’è ma non spaventa nessuno, ecco tutto.
Il cambio del programma di storia nella scuola
È questo il brodo di cottura dentro il quale si sta avvitando la società bosniaca, lo stesso contesto che ha appena partorito una riforma del programma di studi di storia per gli studenti del nono anno nella Republika Srpska (RS) – l’entità a maggioranza serba della Bosnia – che mette i brividi e che ha inevitabilmente scatenato un putiferio di reazioni indignate.
La riforma si basa sull’adozione di un nuovo libro di testo preparato da Dragiša Vasić, professore di storia presso l’Università di Banja Luka, che introduce un nuovo capitolo intitolato “La Republika Srpska e la guerra difensiva- patriottica”, al cui studio saranno dedicate dieci ore di lezione.
Nel nuovo programma scolastico 2024/2025, Radovan Karadžić e Ratko Mladić – rispettivamente presidente della RS e comandante delle truppe serbo-bosniache negli anni del conflitto – saranno insegnati come figure storiche che hanno ricoperto importanti posizioni militari e politiche durante la “guerra difensiva e patriottica” della Republika Srpska. Non un massacro orchestrato per eliminare definitivamente bosgnacchi e croati da una terra che si voleva solo serba, ma “una guerra difensiva”, dunque; non due “genocidari”, come definitivamente suggellato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, ma due eroi di quella guerra, appunto. Eh già, perché di quei processi e di quelle sentenze nel nuovo libro non c’è traccia, nessuna menzione. Così come non c’è traccia di Srebrenica che viene citata nelle conclusioni del capitolo solo per riportare che la guerra finì con “l’occupazione di Srebrenica e Zepa da parte dell’esercito della RS”.
Alla fine, tutto torna
Lasciano di stucco le dichiarazioni del Ministero dell’istruzione dell’entità serbo-bosniaca che, fingendosi sorpreso delle reazioni di sdegno, parla di un programma volto a presentare gli eventi della guerra in modo “obiettivo e imparziale”, puntando a sviluppare il pensiero critico degli studenti. Affermazioni con cui non solo si seppelliscono le sentenze dei tribunali, ma si deforma orrendamente la verità accertata della storia, quella ricostruita inequivocabilmente dai fatti, quella descritta dagli avvenimenti nel loro succedersi e dalle cause nel loro scatenarsi.
L’ambasciata statunitense in Bosnia ha definito “irresponsabile” la politicizzazione dell’istruzione e “vergognosa” la negazione del genocidio, mentre Christian Schmidt – attuale Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina – ha sottolineato come “la retorica negativa” stia “rallentando i progressi sulla via delle riforme”. Posizione analoga anche dall’OSCE.
Fadila Efendić, presidente dell’associazione “Madri di Srebrenica” si è detta “indignata per le bugie e le falsità”, mentre il vicepresidente dell’entità e già sindaco di Srebrenica, Ćamil Duraković – espressione dei bosgnacchi che vivono nella RS – ha invitato la Procura statale a reagire, perché vengono “imposti fatti storici che non sono veri”. Il sollecito a intervenire alle autorità giudiziarie viene mosso da più parti, proprio in ragione della legge voluta da Inzko nel 2021.
Tutto torna, dunque, si chiude il cerchio. Alla negazione si aggiunge la contro-narrazione, l’una complementare dell’altra. Entrambe parte integrante – colonne portanti, anzi– della politica nazionalista di Milorad Dodik. La revisione della storia non solo come atto autoassolutorio, ma come fulcro per la propria sopravvivenza politica, di una politica portata avanti in modo sempre più aggressivo nel sogno non sognato della secessione.
Non ci sarebbe alcun Dodik senza contrapposizione, così come non ci sarebbe alcun Dodik senza l’accerchiamento, senza i nemici dentro e fuori casa. Anche a quelli si rivolge, il nuovo testo scolastico, affermando più o meno velatamente che la comunità internazionale – gli Stati Uniti, l’Unione europea – starebbe dalla parte dei bosgnacchi e che l’Ufficio dell’Alto rappresentante avrebbe spesso lavorato contro gli interessi della RS. Da una parte, nemici – dunque – dall’altra solo povere vittime. Un film già visto, sempre il solito. I libri di scuola – non solo da ora, per la verità – si allineano e finalmente riportano tutto ciò che l’attuale governo ha creato come narrazione per anni, fino a far sembrare vero ciò che vero non è.
Fa paura, molta paura, quel riferimento del ministero al desiderio di sviluppare “lo spirito critico” nei ragazzi. La manipolazione, la distorsione, la deformazione di quelle pagine e il revisionismo ad esse sotteso rischiano, al contrario, di essere semi che attecchiscono nelle nuove generazioni e di far germogliare la pianta dell’inconciliabilità, dell’odio. Ecco, quei libri rischiano di essere un investimento su un futuro di odio.
Foto: Sarejevotimes.com