1 novembre 2011
Wszystkich Świętych– il giorno dei santi, ma soprattutto, nel cattolicesimo popolare polacco, la vigilia del giorno dei morti.
Il cimitero ebraico di Varsavia si trova a Wola, ed ha la stessa dimensione del camposanto munumentale cattolico con cui divide il grosso isolato. Dall’altro lato, i due cimiteri luterani – l’asburgico e il riformato – e attorno i due piccoli cimiteri musulmani – tatarski e kaukaski. Se ai cimiteri cristiani si accede dal lato ovest, con l’inevitabile folla di visitatori, venditori di lumi e di biscotti, il cimitero ebraico è accessibile dal lato est, dalla fermata del tram Cmetarz Zydowski. Poche persone all’ingresso – un gruppo di liceali ebrei in gita, famiglie con bambini, donne e vecchi che portano fiori.
L’autunno di Varsavia è stato dolce e secco. Le foglie sono ingiallite sugli alberi – Golden Autumn – e solo ora cadono leggere, sotto un cielo grigio ma ancora chiaro. Oltre le sculture celebrative dell’ingresso, e la porta del ghetto ricostruita, si stende il bosco di latifoglie sotto cui cresce l’immensità di lapidi e tombe abbandonate. Dal 1806 ad oggi, qui è sepolta la comunità ebraica della città di Varsavia, dai suoi momenti d’oro nel XIX secolo alle tragedie del XX. Uno spazio circolare vuoto, privo di tombe, e ricoperto solo di foglie e di ortiche, ricorda le vittime dell’insurrezione del ghetto; poco distante, una serie di tombe tutte uguali simboleggia la deportazione e lo sterminio.
La giornata è velata e il vento è debole. La terra è umida, sotto il tappeto di foglie palmate gialle e rosse. I vialetti del cimitero sono sterrati – tranne qualche breve pezzo iniziale con targhe di ringraziamento alla famiglia Lewicz di Houston o alla famiglia Horowitz di Sidney. Attorno sembra estendersi infinito, sotto i tronchi fini degli alberi, il sottobosco di lapidi e tombe, con le loro iscrizioni in ebraico e in polacco. Nessuno viene più ad accendere un cero, per famiglie scomparse da due generazioni. Nessuno perpetua l’usanza ebraica di posare una pietra sopra la stele. Solo le foglie gialle degli alberi, cadendo dall’alto, ricoprono lievi i nomi e le date, e si fermano sulla cima delle lapidi, come una carezza della natura ad alleviare la fatica degli uomini. Passerà il mese di novembre, verrà l’inverno, e la coltre bianca nasconderà alla vista le iscrizioni e le pietre divelte, almeno fino ad un’altra estate.
Oltre il muro di cinta in mattoncini rossi si stende il cimitero cattolico, brulicante di ceri accesi, di fiori e di persone in visita. Da questa parte, invece, è solo il silenzio. Solo l’ultimo lotto, una volta usciti dal bosco, riporta alla società viva: qui vengono sepolti, ancora oggi, i morti della comunità ebraica di Varsavia, quelle poche migliaia di discendenti dei sopravvissuti che non hanno scelto l’emigrazione in Israele o quella nei nuovi mondi. Le tombe sono fresche – l’ultima è di un mese e mezzo fa – e meno gravi delle lapidi anziane: una riporta, oltre al nome e la data, lo stemma della Legia Warszawa, una delle squadre di calcio della capitale. Le vedove e i figli passano con mazzi di fiori, e abbonderà lo spazio per accogliere anche altri corpi in futuro. Eppure, anche qui un giorno si stenderà il bosco, e solo le foglie gialle accarezzeranno le lapidi dimenticate, guardiane delle ossa sepolte.
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Il cimitero asburgico è un quadrato a sud del cimitero ebraico. Brulicante di vita in questa giornata di visita, qui sono raccolte le memorie delle famiglie e delle personalità protestanti della città. Tra nomi tedeschi e nomi assimilati alla grafia polacca, spiccano alcune steli in stile neogotico. Sotto una di queste, il busto di un militare con ampi mustacchi e iscrizioni in cirillico – un generale dell’esercito zarista, di fede luterana. Più oltre, una lapide annerita riporta il simbolo della falce e martello trionfante sul globo terrestre: la tomba di un militante trotzkista.
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Il cimitero musulmano “caucasico”, incastonato tra quello luterano-asburgico e quello ebraico, è un fazzoletto di terra quadrato chiuso da una cancellata. Vi si contano in tutto cinque tombe. La più antica sembra essere una colonna ingrigita; a poca distanza, una lapide, e una stele di legno verde nella più semplice e moderna tradizione islamica. Lo spazio, originariamente pensato per i membri dei diversi gruppi musulmani dell’impero russo, testimonia di una comunità sradicata prima ancora che potessere mettere radice alcuna.
A nord del cimitero cattolico, a dare il nome a ulica Tatarska, si apre la porta ad arco del cimitero dei tatari. Questo gruppo di musulmani turcofoni vanta una presenza antica in Polonia, sin dal tempo del granducato rinascimentale. All’interno, la maggioranza delle tombe riporta nomi di famiglia adattati all’uso locale: Achmadowicz, Bajramowicz, Bogdanowicz. I nomi propri, invece, si dividono tra quelli più tradizionali – Ali, Chadidzia, Serbi – e quelli più assimilati – Emilia.
Tre placche bianche, appese al tronco di un albero, ricordano il sacrificio di tre polacchi tatari morti a Katyn; poco distante, la tomba di un generale dell’esercito. E ancora, le steli degli imam delle moschee polacche, “laureato ad Al Azhar”, mentre qualche fila più in là l’ambasciata azera ha organizzato una piccola cerimonia di commemorazione. All’uscita un pannello invita a partecipare al convegno universitario sulla cultura tatara, organizzato a Bialystock.
articolo interessante e ben scritto, peccato io non possa viaggiare di più, un po’ fuori tempo, ma va bene lo stesso
avrò la possibilità di “visitare” questo “incontro con Dio”, ricorderò il vs articolo. grazie per la segnalazione.
Un articolo pieno di bellezza e di fascino! Suggestivo ed incantevole. A tratti sembra poesia, a tratti sembra rievocativo di tante memorie personali!!! Bellissimo! Grazie.
Complimenti davvero.
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