Il parlamento bulgaro ha approvato con ampi numeri una legge contro le cosiddette propaganda e ideologia di genere: proteste in piazza.
Metà agosto, piena estate. Il parlamento bulgaro, martirizzato e segmentato al punto che sei elezioni in poco più di due anni non sono state sufficienti a creare una stabile maggioranza (a ottobre si voterà per la settima volta), riesce ad approvare a larga intesa una legge che vieta la propaganda e l’ideologia di genere nelle scuole.
La modifica legislativa è stata proposta da Vazrazhdane, partito di destra radicale, estremo a tal punto da infastidire addirittura i suoi colleghi europei (a Vazrazhdane era stato impedito di entrare in Identità e Democrazia, l’ex partito europeo di Matteo Salvini e Marine Le Pen). L’organizzazione locale del partito a Varna (città dove Vazrazhdane è particolarmente forte) ha successivamente pubblicato una lista di insegnanti che hanno firmato una petizione contro l’emendamento, chiedendo ai genitori di chiedere spiegazioni ai presidi delle scuole dove questi “generi” – termine intraducibile in italiano che sfuma in chiave omofoba la parola “gender” – lavorano. La mossa ha sollevato aspre critiche.
In un (forse) ultimo sussulto nazional conservatore, il Partito Socialista Bulgaro (BSP) ha supportato il progetto. Dall’arrivo alla sua guida di Kornelia Ninova, lo storico partito di sinistra ha fortemente accentuato le sue posizioni conservatrici, facendo dell’opposizione all’ideologia di genere e alla ratificazione della convenzione di Istanbul le sue principali battaglie. Kornelia Ninova è stata di recente espulsa dal partito visti i continui insuccessi elettorali (da principale partito del paese, ora il BSP è intorno all’8%) e la nuova leadership ha iniziato un processo di riunificazione con le varie formazioni di centro-sinistra che nel corso degli anni si erano staccate dal BSP a causa dei modi autoritari di Ninova.
A sorpresa, anche il partito GERB ha votato a favore della modifica legislativa. Nonostante sia lontano da posizioni liberali, il partito dell’ex premier Bojko Borisov fa del supporto dell’UE una delle sue fonti di legittimazioni principali. È difficile pensare che Borisov non immaginasse che tale legge avrebbe avuto risonanza anche all’estero. Il partito della minoranza turca, il Movimento per i Diritti e le Libertà, ha votato ugualmente a favore, nonostante in Europa sieda tra i liberali. Ambigua la posizione dei liberali: nonostante Continuiamo il Cambiamento e Bulgaria Democratica, alleati liberali, siano scesi in piazza dopo il voto, diversi rappresentanti sono infatti accusati di non aver votato contro l’emendamento in prima lettura, mentre alcuni si sono astenuti al voto finale.
L’opposizione politica e civile (rappresentanti, appunto, di Continuiamo il Cambiamento e Bulgaria Democratica, ma anche organizzazioni a difesa dei diritti LGBT) si è subito mobilitata, sia in piazza che attraverso una richiesta firmata da oltre 6000 persone e 70 organizzazioni alla presidenza, sperando in un veto del presidente Rumen Radev. Che, ovviamente, non è arrivato.
Vazrazhdane non si ferma qui. Dall’opposizione cercherà di portare avanti, passo per passo, la to-do-list degli illiberali nella regione. Ha ora infatti proposto una legge che ricalca quella degli “agenti stranieri”, che dalla Russia si è poi sparsa in Ungheria, Slovacchia e Georgia. La proposta ha già sollevato qualche commento ironico, visto che diversi rappresentanti del partito, nonché la moglie del leader Kostadin Kostadinov, hanno beneficiato dei programmi contro cui il partito ora si scaglia.
Per cercare di risolvere l’impasse politica i bulgari si recheranno nuovamente alle urne il prossimo 27 ottobre. Il cordone intorno a Vazrazhdane è sempre più risicato: oltre alla graduale accettazione del discorso radicale da parte dei partiti mainstream, il voto all’estrema destra è in costante crescita. Sarà difficile continuare ad ignorare la sua ascesa.
Foto: Flickr, Sami C