Elezioni senza candidati
Dal 6 all’8 settembre si sono tenute in Russia le elezioni regionali e comunali, svoltesi secondo la formula del giorno di votazione unico. Nessun aspetto degno di nota sul piano dei risultati: la macchina del Cremlino è riuscita a mettere i suoi uomini ai posti desiderati, come ampiamente previsto. Tuttavia, vale la pena soffermarsi su alcuni aspetti indicativi dei problemi che Mosca si trova ad affrontare per quanto riguarda la politica interna.
Fare il governatore non va più di moda
Quella della politica locale è ad oggi, in Russia, una carriera che non vuole intraprendere nessuno. Lo testimoniano i numeri forniti dal servizio indipendente Golos: se prendiamo in considerazione l’elezione dei governatori regionali del 2019 e quella odierna notiamo che, se nella prima il numero di candidati era di 10,2 per regione, oggi quella cifra è scesa a 7,0 per regione. Stessa situazione per quanto riguarda l’elezione dei parlamenti locali: 8,7 liste per regione nominate nel 2018 contro le 6,3 del 2024. Quadro identico, se non peggiore, per livelli ancora inferiori di governo (villaggi, zone rurali).
Perché questa improvvisa emorragia di candidati? Da una parte è evidente che il Cremlino – cui spetta non solo la nomina del futuro vincitore, spesso del partito di governo Russia Unita, ma anche di eventuali “sparring partners” da piazzare al secondo o terzo posto– tema i voti di protesta. Il risultato delle elezioni, condite di brogli e irregolarità, è ampiamente scontato. Eppure c’è vittoria e vittoria. La strategia è più evidente nei luoghi in cui i candidati scelti per la vittoria sono particolarmente deboli (a San Pietroburgo, per esempio, dove l’uscente di Russia Unita, Beglov, è costantemente oggetto di battute e meme) e nei luoghi con un alto potenziale di protesta (come il Krai di Khabarovsk, ancora in fermento per la questione che ha riguardato Sergei Furgal).
Dall’altra parte però sembra che la politica locale abbia perso quasi completamente la sua attrattività. Da sempre ha conservato un certo grado di ambivalenza: tappa imprescindibile del cursus honorum per arrivare alle vette della politica federale da una parte – vedi Aleksei Dyumin, che da governatore dell’oblast’ di Tula è arrivato alla segreteria del Consiglio di Stato; dall’altra punizione ed esilio per i politici che si sono legati alle persone sbagliate o hanno alzato troppo la testa.
Ma oggi più che mai le posizioni di potere della politica regionale portano a pochi benefici e tante grane. I fatti di Kursk (dove si terranno le elezioni per il governatore della regione) hanno bene evidenziato le problematiche a cui l’amministrazione locale deve far fronte senza poter sempre contare sull’appoggio federale. Ciò, ovviamente, è tanto più vero per le regioni di confine, maggiormente interessate dal conflitto e dalle continue incursioni delle Forze Armate Ucraine. Evacuazione dei civili, cambiamenti ai programmi d’istruzione, addirittura alcune mansioni di difesa territoriale: sono tutti aspetti a cui un governatore deve far fronte, che si tratti di Kursk, Bryansk, Voronezh o Belgorod. E non c’è soltanto la guerra a complicare il quadro: la prima risposta (e la responsabilità) di fronte alle calamità naturali, come l’inondazione che ha colpito Orenburg qualche tempo fa, sono affidati alla politica regionale.
Inoltre, i fondi sono cronicamente insufficienti, rendendo così virtualmente impossibile amministrare un territorio senza ricorrere a sistemi più o meno leciti. Così facendo governatori, sindaci e ministri dei parlamenti regionali – che per questo finiscono molto spesso in manette – si costruiscono una sorta di spada di Damocle a cui il Cremlino può tagliare il filo in qualsiasi momento e secondo necessità.
Di chi è la colpa?
Come sottolinea Irina Busygina nel suo “Non-Democratic Federalism and Decentralization in Post-Soviet Space”, questa moltitudine di responsabilità, mansioni e potere decisionale elargita alla politica locale non serve, come nei paesi democratici, a decentralizzare il potere e corroborare lo stesso processo di democraticizzazione. Anzi. La politica regionale e la politica locale diventano uno scaricabarile, la possibilità di attribuire le colpe ai livelli bassi e intermedi della verticale del potere senza che venga messa in discussione la bontà delle autorità federali. Perciò non ci deve stupire quando incappiamo in video che ritraggono la popolazione di Kursk, di Belgorod o di Orenburg invocare l’aiuto diretto di Vladimir Putin – la stessa persona che contribuisce a guastare la politica locale – affinché metta una pezza alla disastrosa gestione delle élite regionali.
In conclusione, si può dire che queste elezioni – pur abbruttite dal regime, insignificanti dal punto di vista elettorale, ennesimo palcoscenico di brogli e irregolarità – saranno un’altra occasione di constatare come, nonostante tutto, le “province” russe conservino un potenziale di protesta a cui il Cremlino dà molta attenzione.
—
Foto: Proteste a Khabarovsk, WikimediaCommons