In Bosnia, l’Alto Rappresentante riforma la legge elettorale in vista delle elezioni municipali. Ennesimo braccio di ferro con Dodik, che si conclude con una sentenza della Corte costituzionale
A pochi mesi dalle elezioni municipali in entrambe le entità della Bosnia-Erzegovina, in programma il prossimo 6 ottobre, la Corte Costituzionale ha prima sospeso e poi dichiarato incostituzionale la legge elettorale approvata lo scorso aprile dall’assemblea della Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serbo-bosniaca della BiH, ritenendo che potrebbe destabilizzare il paese. La decisione è stata l’epilogo dell‘ennesimo scontro tra l’Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina (OHR) ed il leader della RS, Milorad Dodik.
Il contesto
Nell’estate del 2023, l’assemblea nazionale della Republika Srpska ha approvato due leggi. Una ha reso inapplicabili nell’entità le sentenze della Corte costituzionale, l’altra ha impedito la pubblicazione delle decisioni dell’Alto Rappresentante Christian Schmidt, ovvero l’organo internazionale deputato a vigilare sul rispetto degli accordi di pace sottoscritti a Dayton nel 1995.
Immediatamente, l’Alto Rappresentante ha annullato le due leggi e modificato il Codice penale bosniaco rendendo reato “l’attacco all’ordine costituzionale della Bosnia Erzegovina” e “il mancato rispetto delle decisioni dell’Alto rappresentante”. In risposta, l’Assemblea della RS ha adottato una nuova legge sull’immunità per proteggere i propri funzionari da procedimenti giudiziari di questo tipo. La vicenda ha come cornice il graduale e preoccupante allontanamento della Republika Srpska dalle strutture federali del paese. Una cosiddetta “secessione silenziosa“, di cui è parte anche la nuova legge elettorale.
Una riforma elettorale imposta
Già nel dicembre 2023, l’HR aveva chiesto ai rappresentanti del governo centrale di riformare la legge elettorale, di cui si discute da anni. Tuttavia, la leadership politica della Bosnia non è riuscita a trovare un accordo sulle riforme necessarie.
Poco dopo il via libera all’avvio dei negoziati UE nel marzo 2024, Schmidt ha usato i propri poteri esecutivi per modificare la legge elettorale, emendandone 114 articoli. La riforma prevede un “pacchetto integrità” con più controlli sul processo elettorale a garanzia di “maggiore trasparenza”, oltre che il divieto per i criminali di guerra di candidarsi (si ricorda il caso di Fikret Abdić, ritornato come sindaco di Velika Kladuša) e misure contro la manipolazione degli elettori e la diffusione di fake news.
Le reazioni e la nuova legge elettorale
Se da un canto la riforma di Schmidt ha incontrato il favore delle ambasciate di Stati Uniti, Gran Bretagna e Paesi Bassi, d’altro canto ha causato malumori all’interno dell’UE. Il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna, Peter Stano, ha voluto ricordare che “i poteri esecutivi [dell’Alto Rappresentante] dovrebbero essere utilizzati solo come misura di ultima istanza contro atti illegali irreparabili”. Non è la prima volta che Schmidt sorprende per l’utilizzo massiccio dei “Poteri di Bonn“, che gli permettono di rimuovere funzionari pubblici e imporre decisioni vincolanti senza alcun controllo democratico e che erano rimasti inutilizzati per un intero decennio dal 2011 al 2021.
Critiche di diverso tenore sono arrivate anche da Milorad Dodik, presidente della RS, secondo il quale “Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale”. Anche il presidente serbo Aleksandar Vučić non ha perso l’occasione di aggiungere che questo intervento legislativo “minaccia direttamente i nostri interessi nazionali vitali, sia della Serbia sia della Republika Srpska”.
Dodik ha dunque annunciato una legge elettorale separata per l’entità dei serbo-bosniaci, in contrasto con la legge elettorale statale. Approvata in aprile ed entrata in vigore il 17 luglio, la nuova legge usurpa i poteri della Commissione elettorale centrale a favore di una nuova istituzione volta a gestire il voto a tutti i livelli nel territorio dell’entità: per comuni, assemblea e presidenza dell’entità, nonchè deputati statali e rappresentante serbo della Presidenza bosniaca.
L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OSCE) ha criticato la nuova disposizione, affermando che l’istituzione di strutture parallele mina la sicurezza e la stabilità del Paese, essendo in contrasto con l’ordine costituzionale.
La decisione della Corte Costituzionale
Dello stesso avviso è la Corte Costituzionale bosniaca. Il 24 luglio scorso, la Corte ha dichiarato temporaneamente invalida la nuova legge elettorale adottata in RS. I giudici costituzionali hanno rilevato che l’attuazione della legge in vista delle elezioni del prossimo 6 ottobre “comprometterebbe seriamente il ruolo della Commissione elettorale centrale” e “potrebbe causare danni irreparabili alla legittimità del processo democratico e alla certezza del diritto”.
A fronte della sospensione, Dodik pur avendo subito tacciato la Corte di violare lei stessa la costituzione, e nascondendosi dietro la solita roboante retorica su Srebrenica e sulla secessione, ha poi scelto di partecipare alle elezioni secondo la “legge imposta” da Schmidt, per evitare “una situazione drammatica”. Il presidente della RS ha aggiunto di voler attendere i risultati delle elezioni negli Stati Uniti, confidando in una nuova vittoria di Donald Trump, cui conseguirebbe la fine “dell’arroganza di alcuni paesi occidentali” impersonata, secondo il leader serbo-bosniaco, dall’Alto Rappresentante. In questa ipotetica costellazione politica a lui favorevole, Dodik auspica che la nuova legge entri in vigore dal primo gennaio 2025.
Nel frattempo, il 19 settembre la Corte Costituzionale ha stabilito nel merito che la legge elettorale della RS è effettivamente incostituzionale poiché usurpa competenze delle istituzioni statali. Dodik ha reagito lanciando strali contro la Corte – che include tre giudici internazionali, e da cui Dodik aveva già spinto al ritiro i due giudici di nomina della RS – affermando che il tribunale costituzionale mira a riscrivere la Costituzione e minare lo status della RS, rifiutando di riconoscere la sentenza e annunciando infine che la RS applicherà la propria legge elettorale. Quando, non si sa.
Imporre la democrazia?
Le vicissitudini estive del codice elettorale bosniaco riportano al centro il complesso dibattito intorno all’imposizione da parte dell’Alto Rappresentante di misure che dovrebbero essere frutto di un processo legislativo democratico.
Se è vero che Dodik gioca spesso la parte del provocatore, a tratti in maniera preoccupante, è altrettanto vero che utilizzare i “poteri di Bonn” per regolare materie delicate, come la legislazione elettorale e penale, rischia di accentuare la polarizzazione e la percezione di deficit democratico nel paese.
Il compito dell’Alto Rappresentante, che non è organo eletto dai cittadini, è di vigilare sul rispetto degli Accordi di Dayton e non di sostituirsi in toto ad un, seppur disfunzionale, ordine democratico. D’altro canto non va sottovalutata la responsabilità della classe politica del paese, spesso incapace di trovare soluzioni condivise, cui è stata pur data – perlomeno in questa occasione – la possibilità di adottare autonomamente le riforme necessarie.
Foto: NYT, Ranko Cukovic/Reuters